Che cos’è l’identità nazionale? Quello di identità - TopicsExpress



          

Che cos’è l’identità nazionale? Quello di identità nazionale è uno dei concetti su cui la geografia, la sociologia e la filosofia dibattono maggiormente. Per chiarire le dinamiche umane che portano alla definizione di identità nazionale, è quantomeno opportuno chiarire meglio le definizioni di identità e di nazione. La nazione è, anch’essa, un concetto arduo da esplicare in poche parole: è immediato pensare, ad esempio, che “gli Italiani vivono in Italia”; ma questa proposizione spesso non risponde alla realtà. Un Italiano nato e cresciuto in Italia, che oggi vive in un altro paese, non è meno italiano di chi invece in Italia sceglie di rimanere a vivere. Allo stesso modo, un Rom che vive in Italia non è più italiano di un Rom che si trasferisce in qualche altra nazione. In conclusione, la nazione non è un concetto unico, ma si compone di svariate categorie sostanziali che tuttavia non staremo ad analizzare in questa sede. Sicuramente, per continuare il discorso, occorre capire quali sono le dinamiche che portano alla nascita dei luoghi e dei popoli. Un luogo è definibile, in parole povere, come “una parte del mondo che si distingue dal resto per via di particolarità secondo determinati criteri”. Per fare un esempio: se guardiamo una mappa dell’Italia, notiamo che “Lombardia” e “Piemonte” risultano essere luoghi diversi; mentre osservando una mappa politica dell’Europa, queste regioni ci appariranno nient’altro che come parte di un unico paese. Tuttavia, questo è il più semplice degli esempi che possono far notare come il luogo sia qualcosa che cambia costantemente a seconda del punto di vista: una casa abitata da una famiglia è diversa per il bambino che ci abita, per il genitore che se ne occupa e per il genitore che la abbandona ogni giorno per andare a lavorare. Stesso discorso si può benissimo applicare alle nazioni: l’Italia è diversa quando vista dall’Italiano che ci è nato e ci vive, dall’Arabo che ci emigra, dallo Svizzero che ci abita occasionalmente per lavoro o dal Tedesco che la visita. In sostanza: le nazioni non sono qualcosa di emanato da un’intellighenzia trascendente, sono bensì frutto delle naturali dinamiche umane che portano i luoghi a divenire tali per via di particolarità. Queste particolarità che definiscono i confini tra due nazioni – historia magistra – sono date dai popoli, intesi come “associazioni di individui che condividono storia, lingua, tradizioni e cultura”. Non sono i territori a fare i popoli, sono invece i popoli che territorializzano un lembo di terra, determinandolo e stabilendone la differenza con un altro lembo di terra. Basti pensare che in Asia e in Europa, dove per lo più si sono fino ad oggi mantenuti i confini di nazioni storiche, i nomi dei paesi sono dati dai nomi dei popoli che ci abitano: Germania per i Germani, Francia per i Franchi, Inghilterra per gli Angli, Russia per i Rus’, Danimarca per i Dani, Finlandia per i Finni, Turchia per i Turchi, Kazakistan per i Kazaki, Mongolia per i Mongoli e così via. L’identità nazionale è un concetto attuale? Naturalmente, la società occidentale moderna, con le sue logiche di libero mercato, mette sempre più in crisi l’idea di Nazione: quando cittadini di paesi occidentali si trovano a lavorare insieme per una ditta multinazionale, allora non esistono più sudcoreani, inglesi, francesi, svedesi o americani, ma secondo la visione del momento si è tutti uniti dall’essere lavoratori della stessa azienda, accomunati dalla parlata inglese. Mentre un Italiano va la spesa in un grande magazzino, sta andando a fare la spesa nello stesso posto in cui un Giapponese o un Greco va a fare la spesa allo stesso modo. A un occhio attento salta subito come, tuttavia, questa logica di appiattimento delle differenze funziona solo quando il mercato lo richiede: alla fine della sessione di lavoro e ritornati nei rispettivi paesi, i lavoratori torneranno alle loro nazioni e alle loro identità particolari. Alla fine della spesa ognuno torna alla propria casa nella propria nazione. Però, il capitalismo è, per ora, il sistema economico in testa nel mondo ed è naturale che le esigenze e gli schemi del capitalismo siano estesi ad ogni sfera della vita umana. Per questa ragione, nelle società capitaliste, è andata e va generandosi una critica della Nazionalità: lo slogan one world one people, secondo il quale le Nazioni non sarebbero che costrizioni limitative della libertà umana, da combattere con il rifiuto della propria stessa Identità. Per rispondere alla domanda di questo punto basta studiare con mente aperta l’attuale condizione dell’umanità e porsi le domande: “le nazioni sono forse costrittive della libertà umana?” e “è forse sparita l’esigenza sociale dell’uomo di essere parte di un popolo?”. La realtà dei fatti dimostra come si sprechino gli esempi per dare risposte negative ad ambedue le domande. In primo luogo, è contro realtà dire che le nazioni limitino la libertà dell’uomo, poiché in tutta la storia dell’umanità non esiste prova che dimostri che le differenze tra due popoli abbiano limitato le possibilità di comunicazione e di scambio tra individui appartenenti a diverse identità. Mentre in Terrasanta infuriavano le Crociate, i monaci Europei traducevano opere di filosofia dall’Arabo. Infine, è semplicistico dire che sia sparita la funzione sociale della Nazione, quando è dimostrato che solo il capitalismo sia il modello economico tuttora esistente che mira all’abbattimento di ogni confine. Volersi fare portatori dello slogan one world one people significa affermare che un pastore dell’Altaj, un contadino del Galles e un uomo rosso dell’Amazzonia condividano la stessa identità. Qualsiasi persona dalla mente sviluppata si accorgerebbe che non esiste niente di più razzista. Quali sono le minacce all’identità nazionale? Abbiamo già visto come nazione sia una parola messa sotto attacco da un’ideologia tuttora imperante in Occidente. Rimane comunque opportuno capire quali sono le logiche di questa sopracitata ideologia. Abbiamo già visto come l’anti-identitarismo (che così chiameremo in questo breve saggio) sia definibile come un’ideologia che pretende di modificare il comportamento umano adeguandolo all’idea per cui non esistano differenze tra i popoli. Questa è la visione “sociologica” dell’anti-identitarismo. Nella politica, però, l’abbattimento dei confini tra i popoli si scontra con l’esigenza intrinseca di mantenere i confini di uno Stato, inteso come insieme di individui retti dal medesimo Potere, ed ecco che l’anti-identitarismo si presenta “travestito” da patriottismo: il “patriottismo costituzionale”, caratteristico degli Stati Occidentali e padre dello Ius Soli, secondo il quale la Patria (quindi l’Identità) di un individuo non debba essere determinata dall’appartenenza ad un popolo, bensì dall’appartenenza ad uno stato. Questo patriottismo caro alle sinistre, ma anche alle destre storiche, è chiaramente figlio dell’ideologia anti-identitaria in quanto ammette sì l’esistenza di una “Patria”, ma negando o volendo negare le differenze che persistono tra i popoli. Per questa ragione la prima minaccia all’Identità è il patriottismo costituzionale: perché si fa creatore di Stati che mettono secoli di storia e di dinamiche umane vissute in una terra sullo stesso piano di un nome scritto su un passaporto. Da cosa trae origine l’ideologia anti-identitaria? Non è un caso che l’anti-identitarismo sia presente maggiormente nei paesi dell’Occidente. Se andiamo ad analizzare le dinamiche che hanno portato alla nascita dell’ecumene culturale denominata Occidente, differenziandola da quella chiamata Europa; notiamo che l’ideologia è nata e cresciuta di pari passo con l’Occidente e con il capitalismo. Nella Francia rivoluzionaria già assistiamo a simili forme di negazione delle identità: dopo la Rivoluzione le varie minoranze linguistiche della Francia furono prontamente perseguitate da Parigi, secondo l’ideale per cui siamo francesi e parliamo francese. Ma è nel Commonwealth che si delinea la prima chiara forma di opposizione all’idea di popolo: siamo nell’epoca degli imperialismi e delle grandi colonizzazioni in Africa, l’epoca in cui si diffonde l’idea del white man’s burden, il fardello dell’uomo bianco, secondo la quale l’uomo occidentale e civilizzato deve sforzarsi per “civilizzare” (di fatto occidentalizzare) le altre razze. Certo, le buonanime del moderno antirazzismo storceranno il naso all’idea di essere figli ideologici di questo; ma non è difficile trovare il parallelismo fondamentale: l’imperialismo ottocentesco si faceva portatore dell’idea che “il bianco potesse sbiancare il nero” semplicemente trasmettendogli (o imponendogli) i valori della civiltà capitalista. Nulla di troppo distante dal moderno voler estendere i valori della propria costituzione agli immigrati. Comunque, l’anti-identitarismo moderno è sicuramente differente da queste forme di nazionalismo capitalista ed è opportuno capire come si sia esso diffuso in Europa. Il “patriottismo costituzionale”, che è deleterio e dannoso per le nazioni fortemente radicate nel loro passato, è invece socialmente necessario agli stati che non hanno né un’identità etnica né una storia su cui basare la propria identità. Tant’è che il patriottismo Americano non è basato sull’etnia, ma sullo stato: gli individui appartenenti a qualunque etnia, siano essi Inglesi, Italiani, Tedeschi, Cinesi o Arabi possono “diventare Americani” per il solo fatto di avere la cittadinanza di uno stato Americano (medesimo discorso si applica all’Australia, anch’esso stato coloniale). Il razzismo Americano, infatti, non è basato su dicotomie di etnia ma su mere dicotomie di razza, in cui il “bianco” si oppone al “nero”; e non ha nulla da spartire con il patriottismo Europeo in cui la dicotomia è tra appartenente ad un popolo Europeo e un non appartenente ad esso. È infatti con la vittoria degli Stati Uniti sui fascismi europei, e la conseguente imposizione del vassallaggio politico dell’Europa occidentale allo Zio Sam, che si è andato ad imporre anche in Europa l’ombra del patriottismo costituzionale; sia nella sua forma “razzista” che nella sua forma “antirazzista”. Non è un caso che questa forma di patriottismo sia maggiormente in voga nei paesi NATO, ma non sia neanche presa in considerazione nei paesi eredi del Blocco Sovietico. Non è nemmeno un caso che le prime forme di aperto anti-identitarismo in Europa (se non dopo alcune teorie dei Giacobini) siano nate con il Sessantotto, movimento politico e sociale nato provenuto dalla borghesia statunitense. Come combattere l’ideologia anti-identitaria? Innanzitutto, per opporsi a questa ideologia è fondamentale prendere coscienza della propria identità etnica, opponendola all’identità di stato. Noi non siamo Italiani, Sloveni, Spagnoli, Norvegesi o Irlandesi solo perché un foglio di carta ha detto che lo siamo. Lo siamo perché siamo parte integrante di un popolo partorito da precise dinamiche storiche e sociali, e che come membri di una società abbiamo degli impegni nei confronti del nostro popolo. La coscienza della propria identità, si intende, non sia da vedere come limite. Anzi, l’acculturamento circa le culture differenti dalla nostra è, al pari della conoscenza della propria cultura, il primo passo per opporsi all’ideologia dell’appiattimento delle differenze tra i popoli. Occorre inoltre diffidare di tutte le forme di identità occidentale, e comprendere che Europa e Occidente sono concetti differenti se non antagonisti: l’Europa è figlia dell’identità etnica, l’Occidente è figlio dell’identità di stato. L’Europa e l’America sono, pertanto, ecumeni culturali diverse e opposte: il patriottismo dell’una non ha nulla da spartire con il patriottismo dell’altra. Infine faccio presente un memento: se è vero che precise contingenze storiche in Europa hanno portato alla nascita dell’anti-identitarismo, è anche vero che future contingenze storiche possono portare l’anti-identitarismo ad estinguersi. La Storia non è qualcosa che comanda su di noi: noi siamo la Storia e noi possiamo essere le cause sociali della nostra vittoria.
Posted on: Sun, 25 Aug 2013 10:22:10 +0000

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