D. A cosa stai pensando? R. Al socialismo cinese. La Cina vola - TopicsExpress



          

D. A cosa stai pensando? R. Al socialismo cinese. La Cina vola verso il primo posto globale In evidenza Venerdì, 08 Novembre 2013 09:24 Claudio Conti La Cina vola verso il primo posto globale Partiamo dalla notizia di stamattina. Dice lAnsa: Le esportazioni della Cina sono cresciute in ottobre del 5,6% su base annua, superando le previsioni degli economisti. Le importazioni sono cresciute ad un ritmo superiore, il 7,6%, provocando una riduzione dell avanzo commerciale di Pechino del 3,3%. In cifre assolute il surplus della Cina sul resto del mondo e pari a 31,1 miliardi di dollari. Nel loro complesso, i dati indicano che la salute della seconda economia del mondo è migliore di quanto si pensasse. Poi chiediamoci cosa accade e perché. Intanto notiamo che i due numeri relativi a import ed export segnalano un processo opposto a quello propagandato dagli isolazionisti nostrani (come il Tremonti di qualche anno fa): le importazioni cinesi crescono molto più delle esportazioni, segno che lattuale fase di crescita delleconomia di quel paese è trainata dal mercato interno (investimenti, consumi, ecc) e non dalle esportazioni (il modello mercatilista che caratterizza in questo momento la Germania, distruggendo di fatto sia il mercato interno che la competitività europea). Di conseguenza, il surplus cinese si va riducendo, in direzione di un equilibrio della bilancia commerciale che dovrebbe far invidia sia a chi soffre dello squilibrio opposto, sia a chi (Bundesbank e Merkel, in primo luogo) vede proprio nellaumento perenne del surplus il segno della salute economica invece che, come si dovrebbe, della malattia. La seconda cosa da notare è che questa corsa è trainata dagli investimenti, non dalla riduzione del costo del lavoro. Vero è che il salario medio cinese era una frazione infinitesima di quelli europei o statunitensi, trentanni fa; ma da allora è cresciuto a un ritmo del 15% annuo, tirando fuori dalla povertà la maggioranza assoluta della popolazione e avvicinandosi molto agli standard dei paesi più avanzati. Non ci credete? Colpa dellinformazione di cui vi nutrite, ormai ideologia allo stato puto. Vediamo cosa diceva IlSole24Ore due giorni fa a proposito di prospettive di inserimento di lavoratori che emigrano in un altro paese, stilando una classifica insospettabile: Sul gradino più alto del podio, Pechino. Può sorprendere che il gigante asiatico, con i suoi deficit democratici e tassi da allarme su inquinamento dellaria e sicurezza del cibo, scavalchi le più prevedibili Germania e Svizzera nella graduatoria dei paesi expat friendly, a misura di espatriato. Il dominio della Cina sta tutto nella chance professionali, amplificate rispetto a qualsiasi concorrente europeo o nordamericano. Il 41% degli emigrati si ritiene più soddisfatto dellambiente lavorativo. Quasi tre intervistati su cinque (il 59%), segnalano un rialzo di scatti di carriera, retribuzione ed eventuali benefit. Lo confermano i numeri: il 10% di emigranti qualificati guadagnano dai 250mila dollari in su allanno. Non è un caso che career sia al centro di qualsiasi indagine sul prima e il dopo dei curricula inviati nella nazione più popolosa del mondo. La Cina investe soprattutto sullimmigrazione ad alto tasso di competenze, intercettando talenti in fase di formazione e professionisti intralciati dallo stallo del ricambio generazionale. I principali bacini di immigrazione high skills sono Regno Unito (20%), Stati Uniti (46%), Hong Kong (8%) e Russia (3%). Tra le branche di occupazione più richieste svettano educazione e insegnamento (25%), costruzioni, manifatture e servizi (17%), management, consulenza, marketing, pubbliche relazioni (11%). Un expat su due non ha ancora compiuto 34 anni (53%), due su cinque viaggiano tra 35 e i 54 (41%). Tra i generi, il primato è rosa: 61% di emigrate donne contro il 39% dei colleghi di sesso maschile. Sul piano strutturale, invece, nelle stesse ore il Corriere della sera spiegava (ai pochi che arrivano a leggere le sue pagine economiche, scavalcando a pie pari quelle dedicate a Berlusconi-Letta-Renzi e compagnia di giro): La Cina verso il sorpasso sullAmerica. Ma come? Avevano scavalcato lItalia solo qualche anni fa... Il calcolo da fare non è sul Pil conteggiato in dollari, ma a parità di potere di acquisto, come spiega lottimo Danilo Taino: Secondo calcoli condotti sulla base di una nuova elaborazione statistica effettuata da un organismo che lavora sotto legida della Banca mondiale, alla fine del 2013 il Prodotto interno lordo (Pil) cinese dovrebbe essere attorno ai 16.400 miliardi di dollari: quello degli Stati Uniti a poco meno di 16.200. Lorganismo in questione - lInternational Comparison Program (Ipc) - è una partnership statistica internazionale che periodicamente effettua uno studio ponderoso sulle parità di potere dacquisto: in sostanza conteggia beni e servizi prodotti in ogni Paese usando lo stesso prezzo, immaginando che un telefono cellulare o una manicure abbiano lo stesso valore in Cina, in Italia, in Brasile. Usare questo metodo «invece dei tassi di cambio di mercato - spiega lIpc - rende possibile paragonare la produzione delle economie e il welfare dei loro abitanti in termini reali (cioè controllando le differenze nei livelli di prezzo)». Il problema è che a livello internazionale cè una certa insoddisfazione per lo studio Ipc realizzato nel 2005, sul quale si basano le principali classifiche dei Pil: parecchi esperti sostengono che ha sopravvalutato il livello dei prezzi in Cina, con ciò abbassando il Pil del Paese di circa il 20% (nel caso di altre economie emergenti come India e Bangladesh anche del 40%). Ora, lIpc sta conducendo un nuovo studio che tiene conto di quelle critiche. I risultati saranno presentati in dicembre. Branko Milanovic, un lead economist della Banca mondiale, sostiene che, sulla base dei risultati preliminari, «si ritiene che il nuovo round dellIpc rovescerà in una certa misura, per quel che riguarda la Cina, i risultati del 2005. Questo implica che il Pil della Cina può allimprovviso fare un balzo di qualcosa come il 20%». Significa che, con i nuovi numeri, il Pil cinese in termini di parità di potere dacquisto del 2012 (dato Fondo monetario internazionale, Fmi) passerebbe dagli attuali 12.471 miliardi di dollari a 14.965. Che si confronta con quello americano di 15.685 miliardi di dollari. Se si suppone che questanno leconomia cinese cresca, sempre a parità di potere dacquisto, del dieci per cento e quella americana del tre, risulta che Pechino potrà segnare sulla lavagna circa 16.460 miliardi di dollari di Pil, Washington qualcosa tra i 16.150 e i 16.200. Le statistiche sul valore comparato dei Prodotti lordi internazionali variano parecchio proprio perché trovare dati paragonabili in tutti i Paesi è complicato. Classifiche usando il Pil di ogni Paese in valuta locale non si possono fare, essendo le unità di misura diverse. Quando invece i Pil vengono espressi in una sola valuta - di solito il dollaro - tutto viene distorto dai tassi di cambio, che possono anche avere variazioni consistenti di anno in anno. In più, non si tiene mai conto che un taglio di capelli o il famoso Big Mac hanno valori diversi in ciascun Paese. Con questo metodo, il Pil americano del 2012, per dire, sarebbe stato quasi doppio rispetto a quello cinese: 16.244 miliardi contro 8.221 (ancora dati Fmi). Confrontare i Pil sulla base della parità di potere dacquisto sembra dunque più corretto, se si vuole avere un raffronto realistico della dimensione delle economie: in questo modo, le differenze sono differenze di volumi di beni e servizi. Anche se la revisione che sta conducendo lIpc non avvenisse, il sorpasso della Cina allAmerica non sarebbe comunque lontano. Se ci si basa sulle tabelle dellFmi e sui ritmi di crescita previsti dal Fondo stesso, avverrebbe nel giro di un paio danni anche considerando i valori delle parità di potere dacquisto calcolati nel 2005. Sulla base dei dati Penn World Tables della Pennsylvania University, invece, Milanovic ha calcolato che il sorpasso avverrebbe tra circa un anno. Secondo il Maddison Project, che cerca di ricostruire a ritroso i Pil mondiali (e non usa i valori Ipc del 2005) sarebbe addirittura già avvenuto nel 2009. Messi in politica, i dati pongono una sfida non da poco a Washington. E una forse più grande, in termini di responsabilità globale, ai leader comunisti riuniti a discutere di economia nello smog da crescita di Pechino. Ci siamo, insomma. Il declino degli Usa come unica potenza egemocica globale è roba di oggi, al massimo di domattina, non di un lontanissimo futuro. Se poi aggiungiamo ai calcoli gli effetti di una crescita di produttività media nellordine di un 15% annuo, vediamo che il sorpasso che sta avvenendo riguarda una macchina di F1 alle prese con un trattore... Perché qui da noi - Usa ed Europa - il capitale investe sempre meno (leggetevi questo rapporto Kairòs, per molti versi illuminante: pdfREPORT_KAIROS.PDF). Il successo del capitale contro il lavoro dipendente è stato infatti così clamoroso che le imprese hanno perso ogni ansia di rinnovamento tecnologico: non compri un nuovo robot se hai una fila di disoccupati fuori la porta che chiede di lavorare a qualunque prezzo. Mentre lo fai solo quando hai una fila di dipendenti che chiede un aumento di stipendio. Quando si parla dunque di calo della produttività bisogna guardare a quello che fanno le imprese, non a quanto lavorano i dipendenti. E infatti probabile - sicuro - che questi stiano al chiodo anche 12 ore al giorno, ma con una produttività bassissima perché impegnati su macchinari obsoleti o addirittura su nessun macchinario. Sono dunque gli investimenti a trainare la produttività (laumento nellestrazione di plusvalore relativo), che batte sempre la semplice estensione dellorario di lavoro a parità di salario. Insomma: il capitale occidentale ha avuto tutto quel che sognava e si è seduto sugli allori, cercando rendimenti alti, su tempi brevi e senza grande sforzo (si è concentrato sulla finanza invece che sulleconomia reale); quello orientale - la Cina è solo il paese dove il modello funziona meglio - ha fatto il contrario ed ora galoppa alla grande. Non è una dichiarazione di schieramento. Il capitalismo è uno, i capitali molti; quando il sistema va in crisi, come oggi, alcuni sopravvivono meglio o più a lungo di altri. Per un po di tempo, però...
Posted on: Sun, 10 Nov 2013 15:47:03 +0000

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