Da Redinking Nel suo discorso alla Leopolda Davide Serra attacca - TopicsExpress



          

Da Redinking Nel suo discorso alla Leopolda Davide Serra attacca la classe dirigente che ha governato dal 1971 al 1990 portando il debito pubblico dal 40% del Pil al 130% del Pil. Si tratta, a suo dire, della più grande rapina intragenerazionale. Noi non vogliamo difendere quella classe dirigente, ci limitiamo a mostrare lo stereotipo insito nelle sue considerazioni e ci meravigliamo che un uomo di mondo come lui possa avere tali retaggi moralistici. Quello che Davide Serra non sa è che se il debito è interno1, ovvero se i creditori sono cittadini dello Stato, il debito ha essenzialmente una funzione redistributiva. Alcuni cittadini, quelli che detengono i titoli di Stato, ottengono degli interessi, mentre coloro che pagano le imposte ripagano questi interessi. Così come diceva Einaudi, non è affatto vero che con il debito pubblico veniamo a godere noi vivi oggi i vantaggi della spesa e lasciamo pagare il conto ai lontani nipoti. Non è vero perché il debito pubblico che lo Stato contrae si accompagna sempre ad un credito per altri. Se si guarda quindi la comunità nel suo complesso (e se il debito è interno) la presenza del debito pubblico non emerge come un problema generazionale, ma come un problema di redistribuzione, ovvero di spostamento di reddito da chi paga le tasse a chi incassa gli interessi sui titoli di Stato. Per comprendere perché il debito pubblico non sia un problema di trasferimento intergenerazionale, ma sia soprattutto un problema redistributivo tra contribuenti e percettori degli interessi sui titoli pubblici, può essere utile riportare un passo di A. De Viti De Marco: “a misura che l’acquisto di titoli del debito pubblico si estende e si generalizza quale forma preferita di investimento per nuovi risparmi, soprattutto della media e piccola fortuna si riscontra presso un sempre maggior numero di persone la qualità di essere contemporaneamente creditori dello Stato per gli interessi del consolidato, e suoi contribuenti per fornirgli i fondi necessari al pagamento degli interessi […] Il giorno quindi che il debito pubblico fosse nazionalizzato e poi fosse nell’interno dello Stato per ipotesi ripartito tra tutti i cittadini, in modo che ogni contribuente riceva tanto di interessi tanto quanto paga di imposta a quel titolo, il gran libro del debito pubblico potrebbe essere soppresso senza danno né giovamento alcuno. Una volta compreso che occorre concentrarsi sull’aspetto redistributivo, è necessario andare a capire in che direzione opera la redistribuzione e quindi occorre comprendere chi è che paga le tasse e chi possiede il debito pubblico. Per quanto riguarda i possessori del debito pubblico c’è da dire che la distribuzione della proprietà del debito pubblico tra gli italiani è estremamente concentrata. Nel 1991, ad esempio, il 75% degli interessi pagati dallo Stato ai detentori del debito andava alle imprese e al 40% più ricco delle famiglie. “Quale padre di famiglia spende il 10% di più di ciò che guadagna e poi lascia la carta di credito e il mutuo ai propri nipoti?” (Davide Serra) Come abbiamo dimostrato non esiste un problema intra-generazionale, esiste un problema di scelta tra spesa, tasse e debito. Vediamo allora di analizzare come è stato l’andamento della spesa pubblica. I numeri ci dicono che la spesa pubblica italiana in rapporto al PIL non si è mai attesta a livelli molto diversi da quella di altri paesi europei come la Francia e la Germania. Molto più alta è stata invece la spesa per interessi (per via dell’elevato debito pubblico e degli alti tassi di interesse seguiti al divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro). Se si guarda, invece, alla spesa al netto degli interessi, l’Italia è sempre stata al di sotto delle altre nazioni europee. All’inizio degli anni Settanta la spesa al netto degli interessi in Italia era del 6% più bassa della spesa in Francia e Germania. Nel 1980 in Italia era pari al 37%, mentre in Francia al 45,5% e in Germania al 46,5%. Alla fine degli anni Ottanta era al 43% come quella tedesca e sotto di 5 punti percentuali rispetto a quella francese. Alla fine degli anni Novanta è pari in Italia al 41,5% del PIL contro il 44,9% della Germania e al 49,6% della Francia. In sintesi: a partire dalla seconda metà degli anni Settanta abbiamo avuto un aumento della spesa primaria (al netto degli interessi), essenzialmente della spesa sociale. Tuttavia la spesa sociale in rapporto al PIL si è attestata in Italia a livelli sempre inferiori rispetto a quelli di altri paesi europei continentali come la Francia e la Germania. Nonostante la spesa sociale fosse inferiore, abbiamo assistito ad una espansione del debito pubblico. Ciò è avvenuto essenzialmente per due motivi: mancata monetizzazione del debito (e alti tassi di interesse, a seguito del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro) e mancato adeguamento del sistema fiscale. Con il risultato che anziché organizzare il sistema fiscale in modo da fare pagare anche ai più ricchi l’aumento della spesa sociale, così come è avvenuto nel resto d’Europa, abbiamo assistito ad un aumento del debito e della spesa per interessi a giovamento soprattutto di quegli stessi ricchi, i quali come abbiamo visto erano i principali detentori dei titoli di stato e quindi percettori degli interessi. Se di grande rapina si è trattato, non è stata una questione generazionale ma di redistribuzione al contrario da chi aveva di meno a chi aveva di più. A chi volesse approfondire questa tematica consiglio il breve saggio: LA REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO NELL’ITALIA DI MAASTRICHT del prof. Aldo Barba. 1 Il debito comincia a non essere più interno e a diventare esterno con la liberalizzazione dei movimenti internazionali dei capitali, sul quale siamo curiosi di sapere che ne pensa il nostro finanziere internazionale.
Posted on: Sun, 03 Nov 2013 14:08:27 +0000

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