E così vuoi fare la cantante I bambini ridono e io me ne vado - TopicsExpress



          

E così vuoi fare la cantante I bambini ridono e io me ne vado arrabbiata. Ho cinque anni ma quando mi arrabbio non piango. Rifaccio la strada che dalla Pinetina arriva dritto a casa. La casa non è casa mia, è casa dei miei nonni, i genitori di mia madre. Mia nonna mi chiama da parte e dice: non devi essere così permalosa. Le dico: ma ridevano di me. Mi dice: sì ma se sei permalosa avrai una vita infelice. Mi dice così e io mi fermo impietrita davanti all’idea di un futuro di profonda infelicità. I bambini che ridevano di fatto sono i miei cugini e mia sorella. Ridevano perché sono stonata e un certo punto alla Pinetina giocavamo che cantavamo e abbiamo deciso di cantare la sigla di Bia, il cartone animato, e io ero tutta contenta che sapevo tutte le parole e allora mi sono messa a cantarla e la cantavo benissimo, a squarciagola, interpretando a modo mio i biababebibebi e tutto, che a quell’età non si capisce come avevo capito tutto del punk. A cinque anni canto a squarciagola e sono contenta. E poi mi giro e ridono tutti. Quei deficienti ridono e mi additano perché dicono che non so cantare. E allora io li mollo lì e me ne vado. Poi a casa incontro mia nonna e non mi è proprio di nessun aiuto. Mia nonna da giovane voleva fare la cantante. L’ho scoperto a ventidue anni facendo la tesi di laurea. La mia tesi di laurea erano tutte interviste a donne che avevano vissuto in Sicilia sotto il fascismo. In pratica intervistavo le nonne dei miei amici, tendenzialmente tutti di sinistra, per dimostrare che il fascismo era stato proprio negativo per le donne siciliane. Ho intervistato anche mia nonna, e mio nonno, che non era femmina ma da marito e padre secondo me mi poteva raccontare le donne sotto il fascismo dal suo punto di vista (poi però quando l’ho intervistato s’è sdraiato tipo lettino di Freud e per tutto un pomeriggio m’ha raccontato tutto quello che gli passava per la testa). Quando ho intervistato mia nonna la prima cosa che mi ha detto è che lei prima di sposare mio nonno voleva fare la cantante. Poi da sposata non lo poteva fare e allora ascoltava le canzoni alla radio. Poi sua suocera le ha proibito di avere una radio. E mentre l’ascolto penso che è proprio una storia di merda. Dice pure che voleva laurearsi e con la guerra e la casa e tutti bambini (otto) non ha potuto studiare e allora ha deciso che in casa sua anche il gatto doveva studiare. Ha detto proprio così: il gatto. Dopo i bambini sono arrivate le suore, quelle della scuola dove ho fatto asilo, elementari e medie. La scuola delle suore era di una noia mortale. Dovevi mettere il grembiule, pregare con le suore e se a pranzo restavi alla mensa c’era una suora che passava con la foto di un bambino del terzo mondo magro magro che non stava affatto bene. Per incoraggiarci a mangiare tutto quello che avevamo nel piatto diceva di pensare ai bambini che poveretti morivano di fame. Il primo giorno che sono andata alla mensa ho chiesto alla suora di far recapitare il mio cibo al bambino della foto, poi ho denunciato la cosa a mia madre che giustamente alla mensa non mi ci ha più mandato. In prima elementare, per ravvivare un po’ la faccenda invece dei libri mi portavo da casa le pentoline e gli ortaggi giocattolo e allestivo un piccolo mercatino sul mio banco in fondo alla classe. Poi ogni volta la maestra si arrabbiava, e io più di lei, buttavo la cartella all’aria, uscivo dalla scuola infuriata e me ne tornavo a casa. Ancora mi chiedo com’è che mi facessero uscire dalla scuola a sei anni da sola, però io uscivo. L’unica attività divertente di quella scuola era il coro, per cui quando in classe è passata la suora capocoro a chiedere a noi bambini chi voleva fare parte del coro io sono subito scattata in piedi. Poi hanno fatto tipo dei provini e mia sorella è diventata cantante solista del coro mentre a me la suora capocoro ha detto ti teniamo solo per non fare disparità con tua sorella ma quando cantiamo tu muovi le labbra e non cantare veramente che altrimenti roviniamo tutto. Ha detto così e io nella mia testa mi sono domandata se fosse cristiano dire una cosa così a una bambina di sei anni. Le prove del coro non me le ricordo, mi ricordo però che è andato tutto liscio fino al saggio finale. Il saggio finale si faceva in una grande chiesa fuori dalla scuola. Qualche giorno prima la suora capocoro ci annuncia che prima del saggio saremmo andati a cantare a un programma tv e noi siamo tutti eccitati di andare in tv (un tv regionale del cazzo, ma comunque sempre una tv era). Il giorno prima di andare alla tv la suora capocoro ritorna in classe e ci raccomanda di dire ai nostri genitori di non vestirci di azzurro. Ci dice che quelli della tv le hanno detto che se ci vestiamo di azzurro poi alla tv diventiamo invisibili. Non ci capisco niente di quello che dice ma dico a mia sorella di non dire niente alla mamma. Le dico tu non ti preoccupare tanto non sono nemmeno cantante solista. Le dico così e l’indomani sono azzurra dalla testa ai piedi. Sono così azzurra che la suora capocoro quando mi vede le piglia un colpo. Ma comunque siccome sono cristiane e devono praticare la bontà mi portano con loro. Quando poi qualche ora dopo mi rivedrò alla tv di me resteranno solo la testa, le mani e le scarpe. Il resto del corpo è tutto un fondale con i santi e gli angeli dipinti da Giotto in movimento. Tipo la donna invisibile che cammina dentro il Louvre. Poi al saggio finale non mi hanno fatto partecipare.
Posted on: Thu, 28 Nov 2013 10:47:08 +0000

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