Franco Sciacca, (Antonio Di Grado) Franco Sciacca ha - TopicsExpress



          

Franco Sciacca, (Antonio Di Grado) Franco Sciacca ha maturato una laboriosa, strenua, transizione dalla “macchia” alla “divisione”, ma senza quanto di corrivo, di lambiccato, di manieristico è del pointillisme scolastico, dell’ortodossia post-impressionistica: e piuttosto che a uno stremato epigonismo sulla scia del Seurat o Signac variamente degradati e patinati la sua ricerca s’è rivolta, perciò, al nume tutelare sobrio e terragno, e insieme folgorante e astrale, di Segantini. Sciacca ha studiato a lungo la sua luce, le sue gamme cromatiche: uno studio, il suo, tanto esatto e scrupoloso quanto, negli esiti, nelle variazioni sul tema, nel gioco cioè delle riprese e delle modulazioni, libero, ispirato, proteso a nuovi equilibri e a coraggiose innovazioni. Scrivevo di lui, più d’un anno fa: “La Sicilia divisionista di Franco Sciacca è il frutto maturo d’un innesto senza precedenti: le opere e i giorni della fatica contadina, scremati d’ogni traccia di querimoniosa retorica verghiana, si trasfigurano in luminose epifanie di nordica, rarefatta purezza; le lacrimae rerum del verismo si illimpidiscono di impressionistici azzardi; e dunque, nel ceppo robusto della tradizione fermenta il germoglio dell’innovazione”. Nord-sud, luce-buio, tradizione-innovazione, veristica “vita dei campi”-astratta epifania luministica e cromatica: quegl’innesti, intanto, si sono radicati e fruttificano. E non solo la ricerca di Sciacca s’approfondisce, ma dà prova d’una tenuta, d’una coerenza, d’una compattezza tematica sempre maggiori: sotto il segno d’un primitivismo colto che recupera, come i colori primari, così gli elementi primordiali (notte, fuoco, sole, terra, vento, acqua: “fratelli” e “sorelle” d’un moderno “cantico delle creature”), e li dispone e li varia nell’arco d’una dialettica che ha ai suoi estremi il lavoro e la quiete, le ore colme del meriggio e quelle precarie, trascoloranti, abbrividenti dei tramonti e dei mutamenti atmosferici. Colore e luce polverizzano la materia, la fanno fermentare sotto i nostri occhi, come ad assecondare un quieto bisogno di entropia, di disgregazione, di sonno, di tenebra. Ma ho detto fin troppo. Le immagini parlano meglio da sè, da sole, senza schermo di inutili parole. Antonio Di Grado
Posted on: Thu, 15 Aug 2013 10:42:05 +0000

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