Il 7 Novembre cade il 93esimo anniversario della gloriosa - TopicsExpress



          

Il 7 Novembre cade il 93esimo anniversario della gloriosa rivoluzione d’Ottobre (1917), di seguito un’analisi dettagliata degli avvenimenti, uno spunto, quindi, per il presente ed il futuro : A 93 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, qualcuno potrebbe chiedersi (e chiederci) perché celebriamo ancora quell’evento. A parte il fatto che anche date come il 14 luglio 1789 continuano a essere giustamente ricordate e celebrate, il punto centrale è un altro; e cioè che continuiamo a pensare che quell’evento abbia cambiato la storia del mondo, e che i suoi insegnamenti – e in generale la lezione del leninismo – siano tuttora fondamentali. Tanto per cominciare, non si ricorderà mai abbastanza il fatto che quella Rivoluzione nacque in opposizione al massacro della guerra imperialista – la I Guerra mondiale – che stava devastando il mondo, trasformò l’ennesimo macello prodotto dalle logiche del capitale in un’occasione di trasformazione sociale, e costituì la leva essenziale della dissociazione della Russia – ormai Russia dei soviet – da quella “inutile strage”, giungendo a una pace giusta e senza annessioni (anzi, con la perdita di rilevanti pezzi di territorio), con un gesto che valeva molto di più delle vuote invocazioni pacifiste di tante forze democratiche e socialiste, cui poi non corrispondevano scelte conseguenti. Gli altri decreti varati all’indomani della Rivoluzione – quelli sulla terra ai contadini, la nazionalizzazione dei grandi impianti, il potere dei soviet, il rispetto delle nazionalità e il criterio della libera adesione al nuovo Stato – costituirono le prime realizzazioni di quegli obiettivi che i bolscevichi avevano proclamato prima della presa del potere: anche in questo caso, una coerenza tra il dire e il fare, che accrebbe grandemente il consenso popolare. In secondo luogo, la soluzione rivoluzionaria di quel conflitto consentì di porre all’ordine del giorno – e di rendere per la prima volta concreto, dopo il generoso tentativo della Comune di Parigi – l’obiettivo della costruzione di un sistema economico e sociale diverso, di un sistema socialista. Ciò implicava un primo tentativo di dar vita a un’economia non più regolata dalla legge del profitto e dalle stesse regole del mercato, che pure avevano una storia secolare, realizzando un’organizzazione economica e produttiva il cui criterio essenziale fosse quello del benessere collettivo anziché dell’arricchimento individuale, e al fondo quello del prevalere del valore d’uso di risorse e merci, anziché del loro valore di scambio, che in regime capitalistico porta alla “mercificazione di ogni cosa”, compresi ormai l’acqua, i semi da cui nascono i frutti, il corpo e il DNA. Questa trasformazione costituiva un’impresa enorme, di portata storica, che i bolscevichi dovettero affrontare senza poter contare, come speravano, nella contemporanea trasformazione socialista dei paesi europei più sviluppati (che avrebbe posto su basi strutturali più solide il processo di transizione al socialismo), in un paese arretrato, devastato dalla guerra e poi dalla guerra civile, invaso e poi accerchiato da eserciti stranieri; un paese in cui la grande maggioranza della popolazione era analfabeta e viveva e lavorava nelle zone rurali. In un paese del genere, e con strumenti di calcolo rozzi, lontani anni luce dai moderni computer e calcolatori, si sarebbe dovuta avviare un’economia pianificata, che consentisse una modernizzazione equa, uno sviluppo economico ma al tempo stesso sociale e civile – e l’esempio dei paesi capitalistici ci mostra come raramente questi elementi procedano assieme; e quello sviluppo ci sarà, sebbene con contraddizioni drammatiche, errori e costi umani pesanti. Infine, quel nuovo sistema produttivo poneva il problema del superamento del lavoro alienato, non solo nel senso dell’espropriazione del lavoratore dal prodotto che ha realizzato, ma anche nel senso della scissione tra lavoro manuale e intellettuale, tra funzioni direttive ed esecutive; il tutto contando, nella migliore delle ipotesi, ossia nelle punte più avanzate delle città industriali, sulla catena di montaggio taylorista, uno strumento di produzione rigido che, come è stato rilevato, ben difficilmente poteva costituire la base di una liberazione del lavoro. E tuttavia anche qui si tentò, lasciando maggiore spazio al ruolo creativo e alle innovazioni dei lavoratori, a una loro funzione anche direttiva, e poi, in anni di maggiore sviluppo e benessere, allentando i ritmi di fabbrica in misura tale che la competizione economica internazionale intanto avviata coi paesi capitalistici non avrebbe perdonato. Il tema della liberazione del lavoro rientra peraltro in un problema più generale, quello del superamento della scissione tra dirigenti e diretti, governanti e governati, e dunque al tema della democrazia – intesa etimologicamente come potere del popolo –, del potere e dei suoi meccanismi. Anche qui l’Ottobre è essenziale per il tentativo di superare la democrazia come delega, di andare al di là di una democrazia meramente rappresentativa e formale, per affermare un modello di democrazia diretta, sostanziale, basata sulla partecipazione costante dei lavoratori, su un loro effettivo potere di controllo e gestione, su funzioni di delega ben delimitate: il contrario, insomma, di quella delega in bianco, professionalizzazione della politica e quindi crisi della partecipazione e della stessa democrazia, che viviamo oggi nei paesi capitalistici; e invece qualcosa di simile a quello che si cerca di realizzare in esperienze come quelle del Venezuela bolivariano e di Cuba, e soprattutto punti essenziali della riflessione di Lenin, da Stato e rivoluzione agli ultimi scritti sull’“ispezione operaia e contadina” e sulla necessità di difendere e sviluppare questo modello, scongiurando il riproporsi dei vecchi sistemi. Come si vede, sono tutti obiettivi di portata storica, che alludono a un vero e proprio salto di civiltà e a un processo anch’esso storico, come peraltro preconizzavano Marx ed Engels. La Rivoluzione d’Ottobre e l’esperienza complessa e articolata che ne seguì semplicemente non potevano risolvere da sole questi problemi, vincere da sole e in 74 anni queste sfide. E tuttavia esse hanno costituito un primo, gigantesco passo in questa direzione, hanno consentito l’ingresso nella storia – stavolta da protagonisti – dei popoli coloniali e dei paesi periferici e semiperiferici del sistema, avviando quello smantellamento del modello coloniale che sarebbe proseguito nel secondo dopoguerra; hanno costituito un input essenziale per l’affermarsi dei diritti sociali nell’agenda politica mondiale, favorendo con la loro stessa esistenza la costruzione di sistemi di Welfare anche in Occidente. Ma soprattutto i problemi e gli obiettivi che quella Rivoluzione poneva sono oggi ancora più attuali di ieri: sono più necessari, poiché solo un sistema economico che sostituisca all’anarchia del mercato e alla produzione illimitata di merci la pianificazione razionale delle risorse e il loro uso sociale potrà salvare il Pianeta dalla crisi alimentare, dalla tragedia della fame e della sete, dalla catastrofe ecologica, dalle guerre per le risorse; e sono maggiormente possibili, perché lo sviluppo delle forze produttive, delle tecnologie informatiche, dei mezzi di comunicazione e degli strumenti di calcolo, e infine il passaggio stesso a un sistema produttivo più flessibile, pongono basi enormemente più avanzate per un’economia socialista. Dunque per chi come noi, marxisti e comunisti, crede nella storia e nelle sue possibilità, l’Ottobre è un esempio ancora vivo; è una tappa essenziale di quello che Domenico Losurdo definisce il lungo “processo di apprendimento” delle classi e dei popoli oppressi per emanciparsi e prendere nelle proprie mani la loro vita, scalzando le vecchie classi dirigenti e superando la vecchia società. Per questo nel nostro calendario il 7 Novembre sarà sempre segnato in rosso. (tratto dal sito de l’Ernesto) Nel quarto anniversario della Rivoluzione d’Ottobre Lenin, 14 ottobre 1921 … Noi abbiamo cominciato quest’opera. Quando, entro che termine precisamente, i proletari la condurranno a termine? Ed a quale nazione apparterranno coloro che la condurranno a termine? Non è questa la questione essenziale. È essenziale il fatto che il ghiaccio è rotto, la via è aperta, la strada è segnata. Continuate pure le vostre ipocrisie, signori capitalisti di tutti i paesi, che «difendete la patria» giapponese contro quella americana, l’americana contro la giapponese, la francese contro l’inglese, ecc! …. Alla guerra imperialista, alla pace imperialista, la prima rivoluzione bolscevica ha strappato i primi cento milioni di uomini. Le rivoluzioni successive strapperanno a simili guerre ed a simili paci l’umanità intera. E l’ultima nostra opera — la più importante, la più difficile, la più incompiuta — è l’organizzazione economica, la costruzione di una base economica per il nuovo edificio socialista che sostituisce quello vecchio e feudale distrutto, e quello capitalista semidistrutto. In questa opera, che è la più difficile e la più importante, abbiamo, più che in ogni altra, subito insuccessi e commesso errori. Come se si potesse incominciare senza insuccessi e senza errori un’opera simile, nuova al mondo! Ma noi l’abbiamo iniziata. Noi la continuiamo. Noi correggiamo appunto ora, con la nostra «nuova politica economica», tutta una serie di errori da noi commessi, noi impariamo come si deve proseguire nella costruzione dell’edificio socialista, in un paese di piccoli contadini, senza cadere in questi errori. Le difficoltà sono immense. Noi siamo abituati a lottare contro difficoltà immense. Non per nulla i nostri nemici ci hanno soprannominati uomini «granitici» e rappresentanti di una «politica che spezza le ossa». Ma noi abbiamo imparato anche, per lo meno sino a un certo punto, un’altra arte, necessaria nella rivoluzione, la flessibilità, la capacità di cambiare rapidamente e bruscamente la nostra tattica, di tenere in considerazione i mutamenti delle condizioni obiettive, di scegliere una nuova via verso il nostro scopo se quella di prima si è dimostrata inapplicabile, impossibile per un determinato periodo di tempo… …Con uno studio tenace e perseverante, verificando praticamente l’esperienza di ogni nostro passo, non temendo di rifare più volte ciò che si è incominciato, correggendo i nostri errori, considerandone attentamente il significato, noi passeremo anche nelle classi successive. Noi seguiremo tutto il «corso», quantunque le circostanze della economia e della politica mondiale lo abbiano reso molto più lungo e difficile di quanto non avremmo voluto. Per quanto siano dure le sofferenze del periodo transitorio… noi non ci perderemo d’animo e, ad ogni costo, condurremo la nostra causa a una fine vittoriosa … (tratto dal sito de l’Ernesto) Storia della Rivoluzione d’Ottobre Nel dicembre del 1907 Lenin, che era rientrato in Russia nel 1905, fu costretto ad emigrare in Svizzera per la seconda volta per sfuggire ad un mandato d’arresto della polizia zarista. Trascorse all’estero quasi dieci anni. All’inizio del 1917 nonostante la legalizzazione di alcuni partiti politici, il sistema zarista rimaneva rigidamente assolutistico. I primi mesi, dato il disastroso andamento della Prima Guerra Mondiale, erano stati caratterizzati nelle città da continue sommosse per la carestia che aveva assunto le dimensioni di una catastrofe. Le spese di guerra venivano finanziate attraverso i prestiti e l’aumento della circolazione di moneta (inflazione) che avevano da tempo fatto crollare l’economia. Il malcontento era generalizzato: nelle campagne la popolazione contadina, in continua crescita, aspirava alla distribuzione delle terre, nelle città la classe operaia, concentrata in grandi nuclei industriali, poneva le sue rivendicazioni. Il 18 Febbraio (o 3 Marzo secondo il calendario moderno) 1917 nelle officine Putilov di Pietrogrado scoppiò uno sciopero ad oltranza: per ritorsione tremila operai furono licenziati. Gli scioperi di protesta si estesero a quel punto a valanga in tutte le altre industrie della capitale e il 23 Febbraio fu proclamato lo sciopero generale. Lo Zar Nicola II informato nel suo quartier generale a Mogilev degli avvenimenti, non rendendosi conto dell’enorme portata della protesta, diede l’ordine al generale Chabalov di “liquidare l’indomani stesso i disordini della capitale”. Il 26 Febbraio un reparto del reggimento della guardia di Volinia aprì il fuoco sulla prospettiva Nevskij, dove era in corso una dimostrazione. Sessanta tra uomini e donne caddero morti sulla piazza: fu la scintilla che innescò la rivoluzione. Il presidente della Duma, Rodzianko, telegrafò allo Zar scongiurandolo di fare delle concessioni alla volontà del popolo per salvare la monarchia ma non ricevette risposta: Nicola II continuava ad illudersi di padroneggiare ancora la situazione. Il 27 Febbraio (12 Marzo) la sede della Duma, nel palazzo di Tauride, fu occupata da soldati e operai armati, la sera stessa si riunì lì il Primo Soviet di Pietrogrado, mentre anche a Mosca divampavano vaste sommosse. Quando l’8 Marzo (21) 1917 si scatenò a Pietrogrado l’ennesima insurrezione popolare, lo Zar Nicola II nell’impossibilità di reprimerla, fu costretto ad abdicare in favore del fratello, il Granduca Michele, ma questi lo stesso giorno rifiutò la corona. La cosiddetta Rivoluzione di Febbraio, durante la quale perirono nella sola capitale più di milequattrocento persone, pose fine alla dinastia dei Romanov dopo quasi trecento anni di dominio. Il soviet di Pietrogrado, composto in maggioranza da menscevichi e da socialisti di destra, diede il suo appoggio alla costituzione di un governo provvisorio, formato dai maggiori partiti allora presenti nella Duma, sotto la presidenza del latifondista liberale Lvov. La Russia, stremata da tre anni di guerra, si rese conto ben presto che le speranze di cambiamento riposte nel nuovo governo borghese erano rimaste tradite. Infatti il governo, che era dominato da rappresentanti della grande proprietà fondiaria e del capitale, si dichiarò per il proseguimento della guerra, mentre le riforme agrarie venivano rimandate. Le perdite al fronte, tra morti, feriti e prigionieri, ammontavano ormai a più di sei milioni. La Polonia russa era persa. Nelle città mancava tutto, gli approvvigionamenti erano resi difficili anche a causa delle condizioni disastrose del sistema ferroviario. Nelle campagne l’inquietudine dei contadini aumentava a causa del numero sempre crescente di reclutati per il fronte. Lenin tornò in patria nell’aprile del 1917. Francia ed Inghilterra gli rifiutarono il visto di transito temendo che avrebbe fatto di tutto per indurre la Russia a concludere una pace separata con la Germania. Per la stessa ragione, però, la Germania era interessata a favorire il rientro di Lenin in patria. Con un accordo stipulato a Ludendorff, il governo tedesco permise a Lenin e ad altri trenta emigranti il transito. La sera del 3 (16) aprile 1917 Lenin e il suo seguito giunsero alla stazione finnica di Pietrogrado. In una sala d’onore lo accolse il socialdemocratico menscevico Ccheidse che lo salutò a nome del Soviet di Pietrogrado. Lenin lo trascurò totalmente e rivolse ai presenti nella sala le seguenti parole: ”Compagni! Soldati, marinai e lavoratori! Sono felice di salutare in voi la rivoluzione russa vittoriosa, avanguardia dell’armata proletaria mondiale… La rivoluzione russa compiuta da voi ha dato inizio ad una nuova epoca. Viva la rivoluzione mondiale socialista!” Davanti alla stazione di Pietrogrado premeva una folla enorme. Lenin fu issato su un carro armato e nella luce dei riflettori e delle fiaccole, tenne il suo primo discorso accolto da ovazioni. L’indomani Lenin espose alla conferenza del partito bolscevico le sue Tesi del 4 Aprile chiedendo che il proletariato abbattesse il governo provvisorio e affidasse “Tutto il potere ai soviet!”, spronò quindi i contadini affinché si appropriassero con la forza delle grandi proprietà terriere. I menscevichi non lo presero sul serio , rinfacciandogli di parlare come un pazzo in preda a un delirio, ma Lenin non si lasciò impressionare. Domenica 18 giugno (1 luglio) 1917 fu organizzata una grande manifestazione a favore del governo provvisorio. Parteciparono quattrocentomila persone ma nessuno fece propri gli slogan filogovernativi diffusi da fonti ufficiali. La dimostrazione assunse, sotto le pressioni dei bolscevichi, un carattere ostile al governo che da poco aveva ostinatamente rifiutato di approvare anche le proposte più moderate di riforma agraria. Centinaia di cartelli riportavano: “Tutto il potere ai soviet!” “Basta con la guerra!” “Pane, pace, libertà!” Negli stessi giorni era cominciata l’offensiva contro i tedeschi. Il socialista Kerenskij, divenuto nel frattempo ministro della Guerra, tenne in diverse località entusiastici discorsi in favore dell’offensiva militare, ma, quando più di settantamila uomini perirono e la controffensiva nemica costrinse i russi ad indietreggiare, l’euforia si spense ovunque. Un odio violento divampò contro Kerenskij, mentre crescevano le simpatie per i bolscevichi che promettevano la pace. Al fronte e nelle retrovie la disciplina scomparve, spesso gli ufficiali venivano fucilati dai loro soldati. Nelle campagne le azioni illegali dei contadini si facevano sempre più frequenti, nel mese di giugno si registrarono ottocentosessantacinque espropriazioni. In diversi luoghi, sopratutto in Siberia, i contadini attaccarono anche le proprietà dei conventi. Molte fabbriche furono chiuse per mancanza di rifornimenti di materie prime. I costi della guerra ammontavano ormai a quaranta milioni di rubli al giorno: i prezzi salivano senza sosta, mentre la disoccupazione aumentava. Ad accrescere l’esasperazione delle masse contribuivano i dati apparsi nei giornali che attestavano inauditi profitti di guerra agli industriali e fornitori dell’esercito. Il governo provvisorio nel tentativo di arginare il malumore, decise di inviare al fronte le truppe di stanza a Pietrogrado, illudendosi così di poter disarmare la classe operaia e sciogliere i consigli degli operai e dei soldati. Ma le truppe intuirono perfettamente il piano ed insorsero. Migliaia di proletari si unirono a loro. Il 3 (16) luglio 1917 i dimostranti si recarono alla sede del partito bolscevico chiedendo l’immediato abbattimento del governo provvisorio e il passaggio dei poteri ai consigli degli operai e dei soldati. Trotzki organizzò la rivolta guidando la neonata Guardia Rossa. Il giorno seguente si unirono alla folla diecimila marinai e operai provenienti da Kronstadt. Dopo numerose sparatorie il corteo si impossessò del palazzo di Tauride, ma l’entusiasmo popolare si spense all’arrivo dei soldati della guardia fedeli al governo, i quali dispersero la folla e repressero la rivolta. Il presidente del consiglio, il principe Lvov, emise mandati d’arresto contro tutti i capi del partito bolscevico. La sede del partito fu occupata, la redazione e la tipografia del giornale bolscevico Pravda devastate. Lenin riuscì a fuggire in Finlandia travestito da operaio. Nel frattempo la situazione al fronte degenerava sempre più, i tedeschi avanzavano e gli episodi di insubordinazione diventavano sempre più frequenti. La presidenza del consiglio dei Ministri allora fu assunta da Kerenskij nel tentativo di ristabilire la disciplina nell’esercito. Fu reintrodotta la pena capitale ma oramai i russi erano dovunque in ritirata. Il 26 Luglio (8 Agosto) 1917 i bolscevichi si riunirono illegalmente per il loro sesto congresso. Lenin dal suo esilio propose di accelerare la caduta della dittatura controrivoluzionaria della borghesia e di sostituirvi la dittatura del proletariato, ritenendo peraltro impensabile una conquista del potere per via pacifica. Il congresso approvò la sua linea. Kerenskij, sperando di consolidare la sua posizione, fece riunire il 12 (25) Agosto 1917 nel Teatro Grande di Mosca, un’assemblea di oltre duemila persone in rappresentanza di tutti i partiti politici (tranne quello bolscevico), dell’esercito, della marina, dei soviet locali, delle associazioni imprenditoriali, dei sindacati, degli industriali, dei proprietari terrieri e dei banchieri. I bolscevichi scatenarono a Mosca uno sciopero di protesta al quale aderirono quattrocentomila persone. Il primo giorno di riunione il cosiddetto Consiglio di Stato si ritrovò senza elettricità, senza tram e senza ristoranti aperti; Kerenskij intimorito fece disporre dei cannoni a difesa del Teatro Grande. Questa assemblea non produsse gli effetti sperati: il prestigio di Kerenskij (schernito ormai dalla popolazione con il soprannome di Bonaparte) era completamente distrutto, dimostrandosi incapace di incitare ancora l’esercito e di frenare l’adesione delle masse al bolscevismo. Il popolo chiedeva terra e pace, solo il bolscevismo era in grado di prometterle, tutti gli altri partiti si battevano per il seguito della guerra e il rinvio delle riforme agrarie. Il generale Kornilov, nominato comandante supremo dell’esercito, fu sospinto alla ribalta della scena politica. Nell’illusione di spingere i bolscevichi alla resistenza e di annientarli, liquidando al tempo stesso anche i soviet degli operai e dei soldati, il 19 Agosto (1 settembre) 1917 egli abbandonò Riga ai tedeschi ritirando un numero rilevante di unità dal fronte, aprendo così al nemico le porte di Pietrogrado. Kornilov diresse le proprie truppe contro la capitale dove voleva assumere il potere assoluto e chiese a Kerenskij di proclamare lo stato d’assedio. Il piano del generale trapelò anzitempo, suscitando irritazione e sdegno tra la popolazione. Kerenskij che aveva appoggiato Kornilov solo nella speranza di avere un alleato contro il pericolo bolscevico, lo esonerò telegraficamente dal comando e lo accusò insieme ai suoi sostenitori di alto tradimento. Il generale Kornilov si rifiutò di deporre il comando e ordinò al dispotico generale Krymov di marciare su Pietrogrado alla testa di un corpo di cavalleria. Nella capitale Kerenskij perse la testa, dimostrandosi incapace di opporre la benché minima resistenza al tentativo di colpo di stato di Kornilov. Il partito bolscevico invece agi con calma e sicurezza: insediò un consiglio di guerra in difesa della capitale, venticinquemila operai aderirono alla Guardia Rossa, i lavoratori delle industrie belliche Putilov prolungarono l’orario di lavoro portando a termine in due giorni l’assemblaggio di quasi duecento cannoni, i sindacati armarono altri cinquemila operai. Le locomotive che trasportavano la cavalleria di Krymov vennero disperse dai ferrovieri verso direzioni sbagliate o su binari morti, mentre molti agitatori bolscevichi raggiunsero le truppe di Krymov e le informarono delle intenzioni per le quali si intendeva sfruttarle; si ebbero così numerose defezioni. Dopo appena due giorni il generale Krymov si arrese a Kerenskij e a causa dell’umiliazione subita si tolse la vita. Il colpo di stato di Kornilov, l’uomo “dal cuore di leone ma dal cervello d’un coniglio”, era fallito miseramente. Tutti i capi dell’esercito furono arrestati. La popolazione si rese conto ancor di più che la vera forza rivoluzionaria era in mano al partito bolscevico, se ne ebbe riprova nelle elezioni successive che si ebbero di lì a breve. L’aggravarsi della crisi alimentare, la diffusa disoccupazione, l’incapacità di fronteggiare il collasso economico acuirono ulteriormente le difficoltà del governo di Kerenskij, mentre la marea del bolscevismo cresceva di giorno in giorno. Lenin rientrò di nascosto a Pietroburgo il 10 (23) ottobre 1917 per orientare e guidare il comitato centrale alla conquista del potere: l’insurrezione armata doveva scattare senza indugio. Due giorni dopo fu creato il Comitato Militare Rivoluzionario sotto la presidenza di Trotzki, e fu alloggiato nell’istituto Smolnyi, già sede del partito bolscevico. Il comitato poteva contare su dodicimila guardie rosse e tremila soldati. Gli operai delle industrie belliche fornirono le armi, si unirono ai bolscevichi le navi da guerra della flotta del baltico e molte truppe del governo provvisorio. La sera del 24 ottobre (6 novembre) 1917 Lenin, sotto false sembianze, si recò all’istituto Smolnyi per organizzare la presa del potere: durante la notte le guardie rosse ed i soldati occuparono senza incontrare resistenza i ministeri, la banca nazionale, la centrale telefonica, le stazioni ferroviarie e tutti gli altri punti nevralgici di Pietrogrado. Kerenskij riuscì a fuggire dalla capitale ma gli altri membri del governo provvisorio rimasero chiusi nel Palazzo d’Inverno nell’attesa disperata quanto vana dell’intervento dell’esercito. Il Governo provvisorio mobilitò le poche forze ancora fedeli: gli allievi ufficiali delle scuole, tre reggimenti di cosacchi e qualche altro reparto tra cui il Battaglione femminile della signora Botchareva per difendere il Palazzo. Gli insorti accerchiarono l’edificio ed intimarono al governo di arrendersi entro mezz’ora, in caso contrario le navi da guerra avrebbero aperto il fuoco dei loro cannoni. L’ultimatum non ebbe risposta e due ore dopo una cannonata a salve, partita dall’incrociatore Aurora provocò una sparatoria tra le due parti. Il Battaglione femminile, dopo aver tentato una sortita, fu catturato dagli insorti che penetrarono nel palazzo e in poco tempo disarmarono gli ufficiali. All’alba del 26 ottobre (8 novembre) tutti i ministri furono arrestati e trasferiti sulla fortezza di Pietro e Paolo. L’assalto al Palazzo costò la vita a cinque marinai e ad un soldato. Alcune ore prima si era radunato allo Smolnyi il secondo congresso panrusso dei soviet composto da seicentocinquanta delegati, sotto la presidenza del bolscevico Kamenev, il quale annunciò all’assemblea che il palazzo d’Inverno era stato occupato ed il governo (ad eccezione di Kerenskij) tratto in arresto. Tra ripetuti e scroscianti applausi fu decretato il passaggio del potere ai soviet e proclamata la Repubblica dei Soviet. La sera di quello stesso giorno si aprì la seconda seduta del congresso: in un tripudio di ovazioni Lenin salì sul podio. Il suo discorso salutò la vittoria della rivoluzione ed espresse la speranza di una rivoluzione socialista mondiale, che si poteva delineare anche in Germania, in Italia ed in altri paesi europei. Poi Lenin annunciò il decreto di espropriazione della terra che fu dichiarata patrimonio del popolo, insieme alle risorse petrolifere, carbonifere e minerarie. Il congresso approvò ed infine intonò l’Internazionale. La conquista del potere da parte dei bolscevichi passò alla storia come la Rivoluzione d’Ottobre. Le guardie rosse continuarono a combattere contro le truppe di cosacchi ancora fedeli a Kerenskij e le sconfissero a Pulkovo e Gacina. Kerenskij si rifugiò in Inghilterra. A Mosca la presa del potere fu più drammatica che a Pietrogrado. Il colonnello Rjabzev occupò con i pochi ufficiali rimastigli fedeli il Cremlino dopo grandi spargimenti di sangue. La popolazione non gli offerse alcun aiuto; le forze bolsceviche e i lavoratori gli tagliarono ogni rifornimento. Il 2 (15) novembre 1917 Rjabzev si arrese e sul Cremlino fu issata per la prima volta la bandiera rossa. Nelle altre città della Russia le forze rivoluzionarie di Lenin presero il potere in circostanze analoghe. Il nuovo governo fu chiamato Soviet dei Commissari del Popolo quale governo provvisorio degli operai e dei contadini. La presidenza ovviamente andò a Lenin, mentre a Trotski fu affidato il commissariato degli Esteri, a Rykov il commissariato dell’Interno, a Lomov la Giustizia, a Nogin il Commercio e l’Industria, a Miljutin l’Agricoltura, ed a Lunacarskij la Pubblica Istruzione. Il compito che attendeva Lenin era enorme, imponendo una profonda riorganizzazione dell’apparato statale e dell’economia in pieno sfacelo, la pace con la Germania e la repressione dell’opposizione politica interna. I primi atti del governo rivoluzionario furono l’approvazione di un decreto sulla terra che nazionalizzava le grandi proprietà fondiarie proponendone la suddivisione tra i contadini, e un decreto sulla pace che annunciava l’avvio delle trattative per la pace immediata. Seguirono altri decreti sulla limitazione della libertà di stampa e sulla nazionalizzazione delle ferrovie e della flotta. La gestione delle industrie passò sotto il controllo degli operai. Tutte le banche si fusero con la Banca di Stato. Le istituzioni del vecchio stato furono liquidate: il sistema giudiziario fu soppiantato dai tribunali del popolo, la polizia venne sostituita da una milizia formata in prevalenza da operai, la Chiesa fu separata dallo Stato e dalla scuola. Fu introdotto il matrimonio civile e la donna venne legalmente equiparata sotto ogni aspetto all’uomo. Fu introdotta la giornata lavorativa di otto ore. Il 5 (18) dicembre 1917 venne riconosciuta l’indipendenza della Finlandia e fu promulgata la Dichiarazione dei popoli della Russia che riconosceva l’uguaglianza di tutte le minoranze etniche e il loro diritto all’autodecisione. Fra i centri di resistenza al nuovo regime, il più vicino alla capitale fu Mohilev, dove il generale Duchonin rifiutò di eseguire l’ordine del Governo sovietico di concludere un armistizio. Duchonin venne destituito ed al suo posto fu nominato generale il bolscevico Nicola Krylenko, che a capo di un contingente di marinai occupò Mohilev. Duchonin venne ucciso dai soldati. Frattanto a Kiev, l’Assemblea nazionale (la Rada centrale) manifestò un’opposizione contro il nuovo governo e dichiarò di assumere il potere sino alla convocazione dell’Assemblea costituente. Ma l’influenza della propaganda bolscevica aveva provocato numerose brecce anche nelle regioni cosacche del sud-est, ove avevano trovato rifugio Kornilov ed altri generali, ed il 26 dicembre a Charkov, si formò un governo sovietico ucraino che schiacciò il governo della Rada. Lenin nel cammino della rivoluzione Dopo lunghi anni di studio trascorsi per lo più in esilio, Lenin apparve alla ribalta della politica clandestina nel 1903, anno in cui si svolse a Bruxelles il secondo congresso socialdemocratico russo (il primo si era svolto mentre Lenin era detenuto in Siberia). Durante quel congresso si consumò il primo atto della frattura del partito tra bolscevichi e menscevichi. Il nodo centrale del disaccordo, che a prima vista poteva apparire come un fatto di minore importanza, fu dovuto alla diversa concezione della struttura del partito stesso: i menscevichi sostenevano la necessità di organizzare il partito sul modello occidentale, cercando l’appoggio di determinati strati sociali (ad esempio i professori e gli studenti universitari), Lenin ritenne invece che queste classi sociali medio-alte non avrebbero mai rispettato la disciplina necessaria al lavoro illegale. I bolscevichi proposero un partito tenuto insieme da un completo accordo sugli obiettivi fondamentali, i cui membri fossero disposti ad eseguire, se necessario, anche compiti assegnati da altri. Per comprendere meglio le vicende del II° congresso socialdemocratico ed evitare di attribuire alle azioni dei protagonisti dei giudizi fuorvianti, è bene considerare il clima in cui si svolgevano queste assemblee: le riunioni provocavano spesso antagonismi e scissioni, sopratutto a causa della natura dei militanti rivoluzionari, ambiziosi ed idealisti. I membri delle organizzazioni clandestine avevano scelto una vita che li conduceva spesso alla prigionia, alla deportazione, all’esilio (se non alla fucilazione); pertanto erano poco avvezzi a metodi diplomatici per superare i dissensi. Negli anni successivi menscevichi e bolscevichi si riunirono sporadicamente per fronteggiare i nemici comuni (come i rivoluzionari non marxisti), la forza numerica delle loro fazioni variò spesso: era diffusa la consapevolezza che i bolscevichi fossero più numerosi tra le popolazioni industriali del centro e del nord della Russia, ed i menscevichi avessero maggior seguito nella Russia meridionale ed in Georgia. Nei primi anni trascorsi all’estero Lenin arrivò ad avere una corrispondenza di circa 300 lettere al mese, che giungevano sia da politici russi sia da semplici operai. Ciò permise al capo bolscevico di seguire l’evolversi della situazione sociale che portò, dopo il conflitto russo-giapponese, alla prima rivoluzione contro l’impero degli zar (1905). La notizia delle sommosse scoppiate in Russia nel gennaio 1905 colse Lenin ed i suoi seguaci mentre si trovavano a Ginevra. La sensazione condivisa dal gruppo era che la tanto auspicata rivoluzione fosse cominciata in quel momento. Alcuni compagni spinsero per un rientro immediato in Russia al fine di battersi a fianco del popolo, ma il leader bolscevico non mutò i suoi programmi di lavoro, suscitando così le polemiche tra i membri del partito. Lenin sapeva di non essere un uomo d’azione; il suo contributo alla lotta rivoluzionaria fu rappresentato dall’incessante opera di statista e stratega. Egli non cessò mai di imparare dalla realtà, decidendo di dare sempre la priorità alla pratica: questo fu un suo tratto caratteristico del suo carattere. Dopo la sanguinosa conclusione dei moti rivoluzionari del 1905, volle incontrare il pope Georgij Gapon, il promotore dell’iniziativa insurrezionale. I due ebbero numerosi colloqui a Ginevra e la cosa fu vivamente criticata negli ambienti rivoluzionari: Gapon era visto come un fanatico che aveva condotto il popolo al macello, altri lo accusavano di essere un traditore, un agente provocatore della polizia zarista che aveva scatenato l’eccidio. Per Lenin invece il pope era un personaggio che aveva avuto sulle masse un influenza determinante dalle quali sapeva farsi capire; questa era la qualità che più lo attraeva. Ma la benevolenza da lui dimostrata nei riguardi del pope non fu certo disinteressata. Egli voleva sfruttare l’enorme popolarità di Gapon, facendone un sostenitore del movimento bolscevico. Ma costui era solo un rozzo rappresentante del clero, incapace di occuparsi di politica portato alla ribalta dall’ondata del movimento popolare e che andò incontro ad una squallida fine. I fatti del 1905, secondo Lenin, furono la conferma dell’enorme potenzialità del proletariato e della mancanza di organizzazione del partito. Nel momento in cui molti furono presi dallo scoraggiamento per la vittoria dello zarismo, Lenin sottolineò l’utilità della lezione avuta dall’esperienza rivoluzionaria, ossia l’aver sperimentato l’arte della lotta politica. Nel soggiorno parigino Lenin ebbe occasione di conoscere il genero di Marx, Paul Lafargue, e sua moglie, Laura Marx. Le due famiglie si incontrarono a Dravelle, a circa venti chilometri dalla capitale francese, ed ebbero modo di parlare a lungo di filosofia, anche se i coniugi Lafargue (che sarebbero morti suicidi nel 1911) si erano ritirati dalla politica attiva. Nel 1912 a Cracovia Lenin trovò un ambiente sensibilmente diverso rispetto a quello trovato a Parigi e Ginevra. I rapporti con la Russia erano molto stretti, la corrispondenza era celere, i giornali erano diffusi con facilità. Per eludere i controlli della polizia sulle lettere, i rivoluzionari introducevano la posta in territorio russo pagando i mercanti che arrivavano in Polonia per nascondere le missive tra la loro merce e imbucarle passato il confine. I timbri ed i francobolli nazionali non avrebbero così destato l’attenzione della polizia. Nel 1915 si svolse a Zimmerwald la conferenza dei socialisti europei contrari alla guerra. Trentanove furono i delegati, in rappresentanza di undici paesi. I tedeschi erano dieci (7 dell’opposizione centrista, 2 del gruppo Spartakusbund, 1 della sinistra radicale), i russi sette (2 bolscevichi, Lenin e Zinove’v, 2 menscevichi, Akselrod e Martov, 2 socialisti rioluzionari e Trotzkij), gli svizzeri cinque, gli italiani e i polacchi quattro, i francesi due. C’erano anche un norvegese, uno svedese, un olandese, un rumeno, un bulgaro, un lettone e un bundista. La maggioranza era composta da ventitre membri di destra, guidati da Ledebour, mentre Lenin capeggiava una minoranza di sinistra costituita da otto uomini. L’opposizione di Lenin si dimostrò molto agguerrita e scatenò violente discussioni durante la conferenza. Per avere la meglio sui suoi interlocutori, Ilich esasperò i suoi discorsi, mostrandosi calmo e sicuro di sé. Questa tattica costituiva la sua arma migliore, ma non le era connaturale e richiedeva da parte sua un grande sforzo di volontà. Dopo aver vissuto a Berna, Lenin si trasferì a Zurigo (1916) ove si iscrisse al Partito socialista svizzero. Questa adesione fu determinata dalla necessità di stabilire un contatto con gli ambienti della sinistra cittadina ma poco tempo dopo, a causa delle sue posizioni estremiste, i socialisti zurighesi ne chiesero l’espulsione dal partito per “propaganda criminale”. La vita dei rivoluzionari russi all’estero fu spesso resa difficile dai problemi di integrazione con gli abitanti del luogo. Le abitazioni prese in affitto diventavano degli uffici di lavoro o dei magazzini da cui andavano e venivano di continuo persone malviste, che non di rado attiravano l’attenzione delle forze dell’ordine. Nel giugno 1916, dopo quattro mesi di lavoro, terminò l’opera L’imperialismo, fase suprema del capitalismo che si proponeva di dimostrare come lo sviluppo del capitalismo industriale e di quello bancario portasse alla creazione di giganteschi monopoli che avrebbero dominato la vita internazionale. Per scriverla aveva dovuto consultare 380 fonti (148 libri e 232 articoli di 49 giornali diversi). La guerra, secondo Lenin, era la conseguenza di ogni tentativo per modificare l’equilibrio esistente a favore di un determinato gruppo monopolistico e quindi di un determinato gruppo di paesi. Da ciò nacque il lungo contrasto con Karl Kautsky, uno dei capi della socialdemocrazia tedesca e della II° Internazionale, che sosteneva al contrario che la concentrazione dei monopoli avrebbe portato alla creazione di un unico monopolio mondiale, cioè alla pianificazione economica del pianeta e al relativo superamento di ogni conflitto determinato da interessi particolaristici. La mobilitazione russa per la Grande Guerra facilitò lo scoppio della rivoluzione di febbrio 1917. Le masse operaie e contadine entrarono a far parte dello stesso esercito e costituirono un’unica entità. Fraternizzando iniziarono a riflettere sulle attuali difficoltà e ad agire di comune accordo. Le vicende di febbraio non furono il frutto della sollevazione dei lavoratori di Pietrogrado ma la rivoluzione patriottica di un intero paese esasperato dall’incapacità del regime di condurre la guerra. Le popolazioni subivano le dure conseguenze della completa disorganizzazione economica all’interno del paese e persino le classi medie e superiori, compresi molti comandanti militari, iniziarono a nutrire una profonda ostilità verso lo zar e la sua corte. Il ministro della guerra del governo provvisorio, Miljukov, fornì a Francia ed Inghilterra una lista di “indesiderabili” con la raccomandazione di non lasciarli penetrare in Russia. Il nome di Lenin era al primo posto. Ma Ludendorff e il Kaiser Guglielmo II, pensando ai vantaggi possibili dell’introdurre degli elementi disfattisti in casa del nemico, consentirono a costoro ed allo stesso Lenin di attraversare il territorio tedesco su un vagone piombato. Il convoglio giunse a Pietrogrado dopo tre giorni di viaggio e fu accolto da una grande folla. Il discorso di benvenuto fu tenuto dal menscevico Ckheidze, una delle autorità più in vista del momento. La nuova linea strategica del partito fu subito presentata da Lenin ed esposta in quelle che saranno in seguito definite le Tesi di Aprile. Inizialmente le Tesi fecero il vuoto intorno a Lenin, tutti si rifiutarono di seguirlo, Kamenev si rifiutò di pubblicarle sulla Pravda in quanto definite “inaccetabili”. Lenin tuttavia riprese la guida del giornale e lo orientò nella direzione da lui voluta. Le Tesi di Aprile riscossero il consenso degli operai ma scatenarono furiose reazioni da parte della stampa liberale, sopratutto a causa della proposta di pace con la Germania. Lenin venne fatto oggetto di campagne denigratorie e accusato di essere una spia tedesca. Il 17 aprile 1917 si svolse a Pietrogrado una grande manifestazione di invalidi di guerra contro Lenin ma la situazione mutò quando il ministro Miljukov, nel maggio 1917, confermò agli alleati che la Russia avrebbe proseguito la guerra al loro fianco. La dichiarazione di Miljukov provocò morti e feriti, e un nuovo governo di coalizione. Nei sobborghi il popolo si sentì tradito e si ebbero dimostrazioni e scontri violenti con i sostenitori della politica governativa. Lo scontento interessò anche i contadini, che videro rimandata la tanto attesa distribuzione della terra, che aveva scatenato la rivoluzione di febbraio nelle campagne, perché il governo provvisorio aveva trovato i grandi latifondi (oltre 60 milioni di ettari) completamente ipotecati da prima della rivoluzione dalle banche russe ed estere per un ammontare di tre miliardi e mezzo di rubli. I bolscevichi erano consci di non essere ancora pronti a guidare la rivolta: a Pietrogrado erano circa quindicimila i simpatizzanti su due milioni di abitanti. Dopo le giornate di Luglio, che secondo alcuni furono il primo tentativo fallito dai bolscevichi per la presa del potere, Lenin fu costretto a rifugiarsi in Finlandia. Per passare la frontiera fu costretto a travestirsi da fuochista su di un treno guidato dal bolscevico Jalava, il quale lo aiutò a non essere scoperto dai soldati del governo provvisorio che ispezionarono il convoglio. In Finlandia dimorò in una capanna con il tetto di paglia. I giornali e la corrispondenza gli erano recapitati dalla moglie e da alcuni fidati collaboratori. In quel periodo di esilio scrisse una delle sue opere più famose: Stato e rivoluzione, terminata alla vigilia dell’Ottobre rosso in cui venne analizzata la strategia della rivoluzione e l’organizzazione della nuova società socialista. La decisione di tentare l’insurrezione armata fu presa il 10 ottobre 1917 dal comitato centrale bolscevico riunito clandestinamente in casa della bolscevica signora Suchanov, moglie del menscevico Nicolai Suchanov , incontro organizzato all’insaputa del marito, che stava lavorando nella redazione del giornale Novaja Zin. La sera del 24 ottobre Lenin era nascosto in un appartamento alla periferia di Pietrogrado. Contravvenendo alle misure di sicurezza imposte dal comitato centrale, egli decise di raggiungere lo Smolny, il quartier generale del comitato militare rivoluzionario. Egli attraversò la città camuffato come se avesse mal di denti e accompagnato dall’addetto ai collegamenti, Rachia. Nelle giornate del 25 e 26 ottobre il colpo di stato consegnò il potere in mano ai bolscevichi. Kerenskij fuggì e Lenin passò dalla clandestinità alla guida del nuovo governo che si trovò subito fronteggiare lo sciopero e il boicottaggio dei funzionari degli uffici pubblici che, sostenuti economicamente dalle banche e dalle aziende, si rifiutarono di riconoscere i nuovi ministri. Dopo l’emanazione del decreto sulla terra e quello sulla pace cominciarono ad essere pubblicati (il primo sul giornale Izvestija il 10 novembre 1917) i trattati segreti con cui il governo zarista e gli alleati si erano divisi a priori il bottino della vittoria. In occidente apparvero in Gran Bretagna il 12 dicembre sul Manchester guardian ove suscitarono molto scalpore. L’assemblea costituente, convocata per il 5 gennaio 1918, fu sciolta con la forza dai bolscevichi dopo pochi giorni poiché apparve chiara, già dai primi lavori, la sua debolezza e l’incapacità ad operare. Basti pensare che la prima seduta fu chiusa da un marinaio armato che sancì la fine dei lavori poiché “la guardia era stanca”. Lo scioglimento dell’assemblea sollevò scarse proteste, non avendo in realtà soddisfatto nessuno. Il sistema educativo venne definito da un decreto sulla “istituzione di una commissione di Stato per l’educazione” (22 novembre 1917). Gli istituti di ricerca, le case editrici, i teatri, le biblioteche, i giornali, i musei, la radio vennero considerati sussidiari all’insegnamento, nel compito di diffondere la cultura. Una fitta rete di gruppi di studio, veicolati dall’Armata rossa, coprì il territorio affinché tutti potessero imparare a leggere e scrivere. Lo slogan che accompagnò l’iniziativa fu Se sapete leggere, insegnate al vostro vicino. In dieci anni furono completate in Russia 7780 nuove scuole ed organizzate molte università (tra cui quelle di Voronezh, Niznij Novgorod, Irkutsk e Samara). La collettivizzazione dell’agricoltura fu una delle iniziative che Lenin cercò di portare a termine negli anni della guerra civile. I contadini che avevano appena ricevuto la terra e che si erano liberati dei padroni non accettarono di vedersi privati dei loro terreni. Lenin comprese la serietà del malcontento ed avviò un’opera di propaganda per spiegare i vantaggi offerti dalle grandi aziende agricole socializzate: l’opportunità di effettuare la rotazione delle colture per ottenere il massimo rendimento, la possibilità di avere molto bestiame e grandi quantità di concimi naturali, la disponibilità di grandi macchine agricole (risorsa non accessibile ai piccoli proprietari). Nella primavera del 1918 vennero soppressi o multati molti giornali a Mosca e Pietrogrado. La libertà di stampa subì un grave colpo ma i bolscevichi ritennero indispensabile il provvedimento per stroncare la controrivoluzione nell’austerità della guerra civile. Nel biennio 1919-1920 l’Europa venne pervasa da una ondata rivoluzionaria: in Germania, in Italia, in Olanda e in Svizzera ci furono ondate di scioperi sulla scia di quanto era avvenuto in Russia. Lenin, impegnato nella guerra civile e tagliato fuori dai rapporti diplomatici e commerciali con l’Europa dalle nazioni ostili, non riuscì a seguire gli sviluppi delle situazioni politiche nei vari stati, né poté intervenire presso i vari partiti comunisti europei. Il biennio rosso si concluse con la repressione di tutti i movimenti sovversivi mentre in Russia le Armate bianche furono inesorabilmente sconfitte. Gli errori in cui erano caduti i marxisti europei, secondo Lenin, erano stati l’estremismo e il centrismo riformistico. Al primo egli dedicò il saggio L’estremismo, malattia infantile del comunismo nel quale suggeriva ai comunisti di non rifiutare ogni contatto con la borghesia ma di portare avanti la lotta di classe all’interno delle istituzioni dello Stato (In Italia la corrente astensionistica era capeggiata da Bordiga). Il secondo tema invece fu affrontato da Lenin nel II° congresso del Comintern (luglio 1920) e mise a soqquadro la sinistra di tutto il mondo. Il centrismo era rappresentato dagli “indecisi”, che oscillavano tra borghesia e proletariato e propugnavano riforme al posto dei sistemi di lotta. Dal Comintern venne rilanciato il partito “alla Lenin”, vale a dire un nucleo disciplinato e compatto con obiettivi precisi. Furono stabiliti ventuno direttive che i partiti comunisti avrebbero dovuto rispettare per essere ammessi all’Internazionale, che sarebbe dovuta divenire lo stato maggiore della rivoluzione mondiale. Lenin invitò a rallegrarsi delle possibili scissioni che, in effetti, sarebbero seguite in tutti i partiti socialdemocratici, in quanto questo era il mezzo più rapido per liberarsi degli elementi “deviati”. Da perfetto realista Lenin si convinse che per consentire alla Russia di risollevarsi dal ristagno economico fosse necessaria una nuova politica. Nacque così la Nep, che instaurò una forma di capitalismo di Stato. La ripresa coinvolse tutti i settori dell’economia ma molti non compresero che la nuova politica di Lenin era solo un’operazione transitoria che non intaccava le strutture socialiste. Nell’ultima parte della sua vita Lenin individuò nella burocrazia il pericolo maggiore per il futuro dello stato bolscevico. Comprese che l’Ufficio politico e il nuovo segretario generale del partito, Stalin (definito da Lenin: “rozzo, villano, brutale, troppo poco umano…), accrescevano ogni giorno il proprio potere, ma nel momento più delicato della sua storia politica venne stroncato da una malattia che nel giro di due anni lo costrinse prima all’invalidità e poi alla morte. PRC/FdS – Liberazione – L’Ernesto
Posted on: Thu, 07 Nov 2013 15:48:23 +0000

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