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In questo scenario di una Roma nuda, stremata, indifesa, alle 11,30 del 19 luglio una vera e propria tempesta di fuoco si abbatteva per più ore sulla capitale colpendo non obiettivi militari ma vasti quartieri popolari. «Un quadro di desolazione e di rovina», lo definiva in una sua lunga cronaca sulla “Stampa” lo scrittore Pier Angelo Soldini. Subito dopo la conclusione del bombardamento, papa Pacelli, con un ristretto numero di collaboratori (tra i quali Montini), si portava immediatamente «tra i fedeli della sua diocesi colpita dall’incursione aerea», come avrebbe scritto l’“Osservatore Romano” del 20 luglio. Era accolto da una folla immensa che riconosceva in Pio XII, unica autorità presente, il vero defensor civitatis (Mussolini era a Feltre per incontrare Hitler, il re sarebbe venuto nei giorni successivi, i gerarchi fascisti erano letteralmente spariti). Un ininterrotto bagno di folla tra i romani, che non volevano staccarsi da lui «nemmeno quando il papa – scrisse il quotidiano vaticano – riuscì a risalire nella sua vettura senza riuscire a impedire il continuo addensarsi di nuovi afflussi, sicché ad un certo punto la vettura rimase danneggiata e contorta da rendersi inservibile. Sua Santità dovette perciò discendere e non senza difficoltà recarsi a prendere posto in una piccola automobile privata e in essa avviarsi verso Porta Maggiore e raggiungere quindi il Vaticano».
Posted on: Tue, 16 Jul 2013 12:24:43 +0000

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