Io sono una storia - XXXVIII Tornando al 1973, devo prima fare - TopicsExpress



          

Io sono una storia - XXXVIII Tornando al 1973, devo prima fare un passo indietro al 1972. Entrambe le annate sono la tragedia della mia vita. Nel 1972 morì in un terribile incidente automobilistico sul Lungotevere degli Alberteschi, davanti allIsola Tiberina, la mia amatissima compagna di classe Hélène Giovannozzi. Hélène era nellautomobile guidata da Enrico Di Pietro, il cugino di Rossella (poi mia moglie), Cinzia e Giordano. Lauto era una Jaguar nuova fiammante. Era notte e, a quel che si raccontò allepoca, ci fu una gara tra la Jaguar e la Porsche in cui erano Cinzia e il figlio primogenito dellallora Presidente della Repubblica. Nemmeno noi abbiamo mai saputo chi fosse alla guida della Porsche, se Cinzia o il proprietario di quella automobile altrettanto potente. Fatto sta che, nella corsa a gara sui Lungotevere deserti, la Jaguar si impennò, sbandò, fece testa coda e si schiantò contro un palo della luce dello spalto lungoteverino. La macchina si spezzò in due - Enrico ed Hélène rimasero schiacciati nelle lamiere contorte. Ci volle un intervento con la fiamma ossidrica per estrarre i corpi dei due ragazzi. Enrico era ventenne; Hélène aveva diciotto anni. Un trauma senza fine per tutti noi, amici, compagni di classe, parenti, innamorati. Hélène era una ragazza che stava uscendo con fatica dal dolore per la separazione tra il padre e la madre (a scuola piangeva spessissimo, e ciò me la rendeva cara su tutte). La famiglia era eporediese, e a Ivrea avevano abitato sino alla separazione dei genitori. Il padre lavorava in Olivetti, credo ci fosse una parentela con gli Olivetti stessi, e che Lalla Olivetti fosse una cugina dei fratelli Giovannozzi. La madre di Hélène, disperata a sua volta per la separazione, decise di venire a vivere a Roma. Fu così che ci frequentammo a scuola. Se ben ricordo lei arrivò in prima liceale - condividemmo il banco. Durante una Pasqua ci incontrammo, poi, a Capri. Lì mi piacque molto: era in compagnia di suo padre e si dava un tono che oggi si direbbe «glamour» - tutto in contrapposizione alla figlia della compagna del padre che, a detta di Hélène, riceveva maggiori attenzioni di lei. La sua morte gettò sulla mia vita un velo di disperazione che rallentò il mio primo anno di frequentazione universitaria. Mi ero iscritto a Lettere, ma esitavo a scegliere lindirizzo di Storia dellArte (che pure frequentavo con assiduità: le lezioni di Argan mi incantavano, per non dire di quelle di Cesare Brandi). Frequentavo anche Teatro e Spettacolo, ma allepoca non era ancora cattedra autonoma, viveva sotto legida di Storia dellArte. Avrei amato specializzarmi in critica cinematografica, avevo in mente una tesi di laurea su Luchino Visconti e gli aspetti del melodramma nel suo cinema. Lo andai anche a intervistare a Spoleto, dove al Caio Melisso stava provando la Manon Lescaut (era già sulla sedia a rotelle, dopo lictus che lo colse durante la lavorazione del montaggio di «Ludwig»). Ma non esisteva ancora una cattedra di cinema, in quel biennio 1972-1973. Ebbi la fortuna, però, di frequentare un seminario con il regista tedesco Benno Besson su «Leccezione e la regola» di Bertolt Brecht; seminario voluto da Maurizio Del Ministro e anche da Giuseppe Cereda che allepoca si muoveva in ambito universitario, ma già era in RAI. Avevo cominciato a riprendere con lena la smania dello studio che sempre mi aveva contraddistinto, ed ecco che Ferruccio inizia a lamentare delle febbriciattole serali che cercava di contrastare con un uso improprio di Veramon, che aveva sempre utilizzato per dei mal di testa di cui spesso soffriva. Fino a che si decise di fare una visita completa con il nostro medico curante, il dottor Salvatore Politi, con studio in piazza Santiago del Cile. Un caro amico che mi aveva iniziato alla passione teatrale portandomi a vedere, al Teatro Valle, un Marivaux diretto da Patrice Chéreau, per una produzione del Piccolo di Milano (di cui non trovo più il programma di sala). La faccia di Politi, che era nostro amico e frequentava cene e festività di casa nostra, ci spaventò. Era un diagnosta di grande capacità. Consigliò accertamenti in sede ospedaliera; papà, Ferruccio, scoppiò in un pianto che oggi considero la conferma di una inconscia consapevolezza di un percorso finale. Al Fatebenefratelli, dove si ricoverò (quel Fatebenefratelli di fronte al quale si era schiantata lautomobile di Enrico ed Hélène), la diagnosi fu inesorabile: un cancro al pancreas con metastasi al fegato, inoperabile per i tempi - forse anche per oggi. (continua)
Posted on: Thu, 07 Nov 2013 23:21:04 +0000

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