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LE SCELTE DEI PARTITI La sentenza Le motivazioni della sentenza con cui la Corte costituzionale ha respinto il ricorso di Berlusconi “Violato il principio di leale collaborazione” il no della Consulta al legittimo impedimento LIANA MILELLA ROMA — Dalla Consulta motivazioni lampo su Berlusconi e il caso del legittimo impedimento per il processo Mediaset chiesto, ma respinto dai giudici. La Corte “recupera” sui tempi lunghi (2011-2013) utilizzati per dirimere il conflitto di attribuzione sollevato da palazzo Chigi contro i giudici di Milano. Il relatore Sabino Cassese impiega 12 giorni per spiegare il verdetto del 19 giugno che ha dato torto al Cavaliere e pienamente ragione al presidente del tribunale Edoardo D’Avossa. Una sentenza breve, una quindicina di pagine, riassumibile in questa frase: «In base al principio di leale collaborazione, e fermo restando che il giudice, nel rispetto del principio della separazione dei poteri, non può invadere la sfera di competenza riservata al governo, spettava al tribunale di Milano stabilire che non costituiva impedimento assoluto per partecipare all’udienza del primo marzo l’impegno del premier di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno che prima aveva indicato come utile, senza fornire alcuna “allegazione” sulla necessaria concomitanza e non rinviabilità dell’impegno e su una data alternativa per un nuovo calendario». Di per sé un consiglio dei ministri può rappresentare un valido legittimo impedimento, ma l’imputato deve motivarlo — cosa che la difesa di Berlusconi non ha fatto — per dimostrare «l’assoluta inderogabilità». Quel primo marzo del 2010, la data dell’udienza contestata, Berlusconi avrebbe dovuto dimostrare che quel consiglio si doveva tenere per forza in quel giorno, che non poteva essere sostituito né dal vice premier, né dal ministro più anziano. Niente di tutto ciò, per cui la Consulta ne deduce che il tribunale ha fatto la cosa giusta non riconoscendo come valido l’impedimento, mentre Berlusconi ha violato «il principio di leale collaborazione » con i giudici. Ecco i tasselli della sentenza Cassese, a partire da un punto di partenza, un’altra sentenza scritta dallo stesso Cassesse, la numero 23 del 2011, sul lodo Vietti, la legge a tempo che prese il posto del lodo Alfano e per 18 mesi, tra 2010 e 2011, consentì a Berlusconi di rinviare tutte le udienze e fermare i processi. Data importante da segnare in rosso, perché a quella legge il Senato diede il via libera il 10 marzo 2010, e ciò spiega la richiesta di rinviare a freddo l’udienza del primo marzo. La Corte passa al microscopio la richiesta di rinvio dell’udienza e i verbali della seduta. Come scrive Cassese, la Consulta «non valuta l’impegno in sé, perché questo spetta al giudice», ma stabilisce se il giudice ha leso le prerogative costituzionali del premier con un«cattivo esercizio» del proprio potere. S’interroga su tre questioni, il tipo di impegno, le indicazioni date dall’imputato sulla «necessaria concomitanza» l’udienza, il «carattere assoluto» dell’impegno. Come Cassese aveva scritto nel 2011 bocciando il lodo Vietti, ribadisce che spetta sempre al giudice valutare «l’impossibilità assoluta dell’impegno in base al principiodel necessario bilanciamento con l’interesse costituzionalmente rilevante a celebrare il processo». Quel principio «di leale collaborazione » ha natura «bidirezionale» e s’ispira al coordinamento dei calendari, per cui il giudice definisce il suo «tenendo conto degli impegni del premier» e il premier deve programmare i suoi impegni «tenendo conto dell’interesse alla speditezza del processo». Una riunione dell’esecutivo può essere un valido impedimento, ma la sua collocazione temporale «non sfugge interamente alla programmazione dell’imputato ». Quel primo marzo 2010, quando gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo chiedono di far saltare l’udienza, non motivano «la specifica e inderogabile necessità nella sovrapposizione dei due impegni». Scrive Cassese che «la difesa non ha dato alcuna indicazione sulla non rinviabilità dell’impegno ». Cosa che aveva fatto in altre due occasioni di analoghe richieste - 16 novembre 2009 e primo febbraio 2010 - quando il tribunale «aveva riconosciuto il carattere assoluto dell’impedimento ». Deludendo le aspettative di Berlusconi e la certezza che, se il conflitto fosse stato accolto il processo sarebbe crollato, Cassese precisa che se il ricorso fosse stato accolto, la Corte avrebbe lasciato ai giudici «di valutare l’effetto sull’attività istruttoria compiuta». Per cui, se la Corte avesse dato ragione a Berlusconi, i giudici di Milano avrebbero potuto dire che il processo reggeva pur cancellando l’udienza. A questo punto non resta che attendere la sentenza della Cassazione che stabilirà se confermare la sentenza d’appello che ha condanna il Cavaliere a 4 anni per frode fiscale e a 5 d’interdizione dai pubblici uffici. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Posted on: Tue, 02 Jul 2013 06:01:20 +0000

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