La furibonda anarchia di Marcello Gallian di Romano Guatta Caldini - TopicsExpress



          

La furibonda anarchia di Marcello Gallian di Romano Guatta Caldini - 23/01/2009 Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte] «Non sono adatto a conversioni io, ho creato un Cristo per me, ho creato un Mussolini per me, ho creato un mondo rivoluzionario tutto per me, secondo i miei punti di vista necessari e sinistri». Con quest’affermazione dello scrittore Marcello Gallian [nel ritratto sotto a destra] otteniamo la chiave interpretativa per comprendere come, appartenenti a schieramenti opposti al fascismo, avessero aderito al movimento di Mussolini. Partendo dall’anarchismo individualista, Gallian approda al fascismo secondo la parabola tipica del ribellismo italiano primo novecentesco. A 17 anni si aggrega ai rivoltosi di Fiume. Il 23 marzo del 19 insieme ad altri anarchici del calibro di Libero Tancredi, partecipa all’adunata dei Fasci di Combattimento, per far “fronte contro due pericoli: quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra“. Sarà squadrista e parteciperà alla marcia su Roma. Marcello Gallian vede nella Rivoluzione fascista, l’assalto antiborghese portato alle sue ultime conseguenze. Se dalle sponde marxiste, la critica antiborghese si esaurisce in un concetto puramente classista, l’azione di Gallian va oltre, soffermandosi sull’aspetto “spirituale” e “stilistico” della conduzione esistenziale. Nel romanzo Colpo alla borghesia, scrive: «i più, ad orecchio, intendono per borghese l’impiegato con i gomiti sdruciti e la papa­lina, l’orologio pronto a mezzogiorno e la camomilla la sera. Sono pochi quelli che sanno l’impiegato essere il primo gradino d’una lunga scala, non importa sé pulita o imbrattata, che ha sulla cima un Rochfeller o un Gillette. Rari, alla fine, sono coloro che credo­no “borghesia” essere uno stato d’animo, nel quale gli uomini, tutti, sogliono cadere: si può essere leoni durante cent’anni e bor­ghesi durante un’ora sola, ma terribile ora, catastrofica, letale. La borghesia è anche il popolo, il popolo tutto [...]». Per Gallian non ci sono distinzioni, tutti possono essere colpiti dal germe borghese, dall’industriale al proletario. Ma è proprio quest’ultimo a dimostrarsi più incline all’infezione. Non può essere altrimenti, il proletario cerca sempre d’imitare in modi e costumi il benestante, il borghese, simbolo e incarnazione suprema dello spirito a cui la penna dissacrante di Gallian non da tregua. La borghesia, questa parvenue che a sua volta fa il verso alle ridicole quanto insensate convenzioni nobiliari. Tomasi di Lampedusa con il suo Gattopardo, delineerà perfettamente questi pruriti sociali. Il borghese si è arricchito alle spalle di un’aristocrazia che non ha saputo evolversi adagiandosi su allori che non erano meno borghesi degli altri. E anche loro, gli aristocratici, cosa erano, se non i discendenti di uno, che all’inizio, aveva le pezze al sedere come gli altri! Almeno, questo diceva Totò, uno che alle suggestioni araldiche non era immune. Marcello Gallian sempre in Colpo alla borghesia scrive: «grattali un poco questi borghesi, e ti riappaiono quel che sono: con una fede di tipo corrente, ottimisti, di facile conten­tatura, miopi quello che basta, transigenti con la comodità la con­venzione la mediocrità, insomma amanti di un quieto vivere di va­ga ispirazione filosofica ma confinante con la più caratteristica ed autentica vigliaccheria [...]. La borghesia più che una classe era, è un clima, è il colossale chilo delle conquiste del terzo stato tran­quillamente ruminate e digerite da alcune generazioni». Vigliaccheria appunto, pietismo, servilismo piagnone, erano le stesse scorie a cui Mussolini aveva mosso guerra in tempi non sospetti. Lo storico Renzo De Felice dirà che, secondo Mussolini, ciò che andava combattuto e trasformato nella borghesia non era il suo peso sociale, era il suo temperamento, la sua morale e cioè la sua grettezza, il suo pessimismo, la sua visione meschina e limitata, il suo pacifismo, il suo pietismo, il suo com­plesso d’inferiorità rispetto agli altri popoli, la sua mancanza di passione per le grandi mete. La rivoluzione delle camicie nere, per Gallian, avrebbe dovuto fare piazza pulita delle monde coscienze borghesi attraverso l’eliminazione fisica dei suoi esponenti. Nel romanzo Combatteva un uomo scrive: «Si trattava di fare una carneficina enorme e aberrata davvero, tutti i signori scannati per le strade o nelle alcove assieme alle mo­gli loro e alle loro concubine. La ricchezza suddivisa e eguagliata. Gli sperperi finiti. La borghesia distrutta per sempre. L’operaio e il contadino regnerebbero su tutto l’orbe delle terre espropriate ai padroni aguzzini e vanesi di diritti lasciati per eredità». Nell’opera Rivoluzione (inizialmente intitolata “I tre atti” ) , pubblicata su «Quadrivio» nell’aprile del 1935, Gallian descrive il suo sconforto per l’esito della rivoluzione fascista. Mario, il protagonista è un rampollo della borghesia bene nella Roma dei primi anni venti. Il ragazzo prende presto coscienza della condizione di miseria e di fame nella quale Antioco, grosso proprietario terriero, costringe i contadini alle sue dipendenze. Comprende così che il suo compito di rivoluzionario e di fascista è quello di porre fine ai soprusi e alle vessazioni. A conclusione di uno scontro verbale con Antioco in un gesto istintivo dettato da autentica rabbia, spara un colpo di pistola contro l’affamatore del popolo. Datosi alla macchia, per lungo tempo vivrà come un vagabondo, poi decisosi a rientrare a casa, scoprirà che non solo la rivoluzione era stata tradita ma anche istituzionalizzata a sue spese. Mario è accolto dalla madre e dal borghesume rionale,come un eroe in quanto il suo antico gesto (la revolverata contro il signorotto) aveva dato il via alla «rivoluzione fa­scista» nella borgata. La madre ha adibito a museo la vecchia stanza del figlio, quella in cui avvenne lo scontro. Come se non bastasse il suo nemico, Antioco, era vivo e probabilmente aveva fatto pure carriera tra le fila del partito. Ecco come gli si rivolge Mario: “Che vivo a fare io se voi vive­te, voi? Se voi respirate ancora quest’aria, se la gola ancora vi bat­te? Perché c’è l’aria ancora per me e perché il mio cuore batte co­me il vostro? Antioco: «Dovevate immaginarlo, non è sempre rivoluzione, non è possibile sem­pre la guerra: voi eravate un’eccezione, un anormale, io sono la regola, la normalità, l’orologio che segna le ore … ma perché vo­lete che io sia un eroe, Mario, quando non lo sono, quando non ci tengo?» Mario: «Io non sono un eroe, voi sì, eroe qualunque cosa facciate. Voi risparmiate, tirchio e vi si dice eroe della vita piccola di ogni gior­no: io sono un vorace, un avido maledetto; voi prendete moglie e ve la spassate, perché è umano, di sotterfugio con le donnette co­me prima e siete onesto, io prendo una donna libera e sono diso­nesto, voi bello e io brutto, voi vestito con decoro ed io sembro un poveraccio, voi siete felice e io infelice, io puzzo voi savio; è l’eter­na lotta e vincete sempre voi, non esistono cento razze cento popo­li, no; esistono due razze sole, due popoli, voi borghese e io anti­borghese: noi duemila e voi miliardi, sempre; noi facciamo l’inondazione voi ci andate in barchetta, noi buttiamo le città in aria e voi le ricostruite guadagnandoci l’affitto, noi rinunciamo al padre e alla madre, voi li truffate e siete figli esemplari, noi esuli e voi nell’orto”. Antioco, l’archetipo del borghese divenuto fascista soltanto per ragioni di comodo per vantaggi personali, aveva preso il sopravvento. Qualche barlume di speranza per il futuro, Mario, la trova in un balilla che vedendolo gli si avvicina e timidamente gli chiede delle sue gesta da squadrista, da rivoluzionario. Purtroppo la Storia ci insegna che come sempre, le colpe dei padri saranno espiate dai figli, quei balilla che decideranno di andare a combattere a Salò, divenendo carne da macello per i vari “ex Antioco”. Il suo ostinato rifiuto della realtà borghese avrà ragione di lui e della sua furibonda anarchia. Emarginato dalla critica, censurato dalle guardie bianche del capitale, Gallian si troverà ben presto isolato. Ridotto sul lastrico, nel dopo guerra verrà tacciato di connivenze con il fascismo dai puristi resistenziali, nonostante non avesse aderito alla RSI. A loro volta i postfascisti lo accuseranno di filocomunismo. Potenza sublime che accomuna gli imbecilli di tutti gli schieramenti. Pochi avranno il coraggio di pubblicare i suoi scritti, il più vicino allo scrittore sarà Stanis Ruinas. Il “fascista di Botteghe Oscure”, alla cui rivista, “Il pensiero nazionale”, continuò a collaborare fino alla morte, sopraggiunta nel 1968. L’anno in cui i figli dei traditori del ‘22, si prodigheranno per continuare l’opera dei padri, con il loro imprinting borghese, come ebbe a sottolineare Pasolini. Molti dei suoi romanzi rimangono tutt’ora inediti, sempre in attesa di editori coraggiosi, come Marcello Baraghini che nel 2006 per le edizioni stampa alternativa ha pubblicato “L’America” di Gallian, quella del “capitalismo fradicio e del dollaro usuraio”. Nell’attesa di una rivalutazione letteraria di Gallian non si può che dedicargli i versi che Claudio Lolli scrisse un centinaio di anni fa. “Vecchia piccola borghesia, (…) il vento un giorno ti spazzerà via.”
Posted on: Fri, 21 Jun 2013 20:24:25 +0000

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