La lezione libica e la Jihad in Medio Oriente (Leonid Savin - TopicsExpress



          

La lezione libica e la Jihad in Medio Oriente (Leonid Savin Strategic Culture Foundation 29.06.2013) Nel 2011, sotto l’egida della NATO, l’occidente aggredì la Libia, portando alla caduta di Muammar Gheddafi, all’abolizione dello Stato e alla diffusione della jihad in Africa del Nord. Nonostante l’assassinio dell’ambasciatore statunitense a Bengasi, un certo numero di politici dell’UE e degli Stati Uniti continuano a insistere ad aiutare i ribelli siriani, suscitando la possibile creazione di una grande zona per la jihad e un boomerang contro gli interessi dell’occidente stesso. Solo i più perspicaci centri analitici occidentali hanno notato il rischio per l’UE e gli Stati Uniti studiando le conseguenze della guerra in Libia. Ne citiamo due. Il primo è il Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP), un istituto tedesco su questioni internazionali e di sicurezza che sviluppa l’agenda per il Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca in materia di politica estera. Il secondo è il noto centro di intelligence degli Stati Uniti Stratfor. Circa un mese fa SWP ha pubblicato un report denominato Fault Lines of the Revolution. Political Actors, Camps and Conflicts in the New Libya (1), che analizza una vasta serie di questioni, dal ruolo dei mufti dei jihadisti radicali alle minoranze etniche. L’opinione generale espressa nel documento è che in Libia si può vedere il ritorno al sistema che enfatizza l’identità e la politica locali rispetto al controllo centralizzato del governo legittimo di Tripoli. Mentre l’influenza dei musulmani radicali nel Congresso Nazionale è notevole, oltre ai Fratelli nusulmani e ai salafiti non vi sono altri gruppi ideologici, tanto che il resto dello spettro è rappresentato dagli interessi di clan e famiglie. La figura più influente nello spettro politico islamico è il mufti Sadiq al-Garyani, che nel 2012 fu nominato direttore della nuova agenzia Dar al-Ifta, responsabile dell’interpretazione della legge islamica. Nei primi mesi ha emesso una fatwa che vieta la demolizione di moschee sufi e l’uccisione di ex dipendenti della difesa e della polizia di Gheddafi. Tuttavia, in seguito ha improvvisamente iniziato a giocare con gli islamisti, il giorno prima delle elezioni ha annunciato che i musulmani non dovrebbero votare per i partiti che limitano la sfera della sharia, ha giustificato il massacro di Bani Walid nell’ottobre 2012 e ha sostenuto il divieto degli ex funzionari d’impegnarsi in politica. Al-Garyani s’è legato agli sceicchi del Qatar, indicando il sistema di controllo sulla Libia tramite l’identità religiosa. Tuttavia, la situazione rimane fuori controllo, anche da parte degli islamisti. La relazione rileva che grandi aree nel centro del Paese non sono controllate da Tripoli o Bengasi, e che diversi gruppi armati cercheranno di approfittare della situazione. Inoltre, anche le grandi città, tra cui Tripoli, Misurata e Bengasi, centri regionali dell’autorità, non sono in grado di stabilire e mantenere una sicurezza efficace e di cooperare con la capitale per pattugliare i confini. Di conseguenza, i vari gruppi dei consigli militari locali impongono il proprio controllo sulle province. La gerarchia di questi consigli spesso coincide con le complesse strutture tribali ed etno-sociali della Libia, aggravando il problema del controllo geografico del governo centrale. E ciascuno di questi consigli militari si considera il difensore della rivoluzione, il che significa che Tripoli non riesce a collaborare con essi e a stabilire un dialogo. La rivalità tra i soggetti locali non solo ha luogo lungo la linea di faglia della guerra civile. I gruppi armati delle tribù tubu e di quelle arabe a Sabha e Qufra sono legati alla concorrenza nella distribuzione delle risorse, prima di tutto del profitto dal contrabbando nei territori di confine. E’ stato notato molte volte che il contrabbando di armi e droga è bruscamente aumentato, e i tentativi delle autorità di fermarlo hanno incontrato la resistenza armata dei contrabbandieri (2). Inoltre, le conseguenze del crollo del sistema giuridico si fanno sentire, e a questo si aggiunge il problema di perseguire i rappresentanti del governo di Gheddafi. Secondo i dati dell’International Crisis Group, settemila ex dipendenti della difesa e delle forze dell’ordine di Gheddafi sono in prigione, e meno della metà di loro sono in luoghi sotto un controllo statale nominale. Cittadini di altri Paesi accusati senza prove reali di collusione con Gheddafi in quanto mercenari, sono stati imprigionati insieme ad ex-cittadini libici. Nel caso dell’omicidio del generale Abdel Fattah Yunis, le successive indagini e i tentativi del clan Yunis di uccidere i sospetti (uno dei quali lo è stato) (3) ha dimostrato il problema della vendetta del sangue, l’unico strumento rimasto alla giustizia in Libia. L’abolizione dello Stato libico non si limita al territorio e ai problemi della Libia stessa. Robert Kaplan di Stratfor giustamente ha osservato che la caduta del regime di Gheddafi ha portato a “effetti secondari”: la guerra e l’anarchia nel vicino Mali. “I tuareg maliani che avevano sostenuto Gheddafi sono fuggiti in massa dalla Libia, portando con se grandi quantità di armi dopo la morte del leader libico. I tuareg sono tornati in Mali dove hanno strappato il controllo del nord desertico del Paese a un governo che si trova molto più a sud, nella capitale Bamako. In seguito la ribellione tuareg è stata cooptata dai jihadisti… il governo francese è successivamente intervenuto con le sue truppe… la Libia, del resto, è ormai uno spazio ingovernabile, in parti significative del Paese al-Qaida può molto probabilmente trovare rifugio” (4). Kaplan osserva, inoltre, che anche la presenza di 100.000 soldati statunitensi in Iraq non ha aiutato a creare una democrazia in quel Paese, così non ci si deve aspettare qualcosa del genere in Libia, dove una società civile semplicemente non è mai esistita. L’esperto di geopolitica statunitense suggerisce che questa analisi venga presa come avvertimento contro gli appelli ad intervenire in Siria, sottolineando che in Libia l’espansione dell’intervento militare estero è stata abbastanza moderata, ma non può essere prevedibile nel caso della Siria. Il caso del Mali, collegato alla diffusione della jihad, può essere applicato anche al conflitto siriano. A questo proposito Stratfor ha osservato che al-Qaida in Iraq tenta di utilizzare il conflitto siriano al fine di iniziare una guerra di religione in Iraq e in tal modo creare una zona di guerra continua che si estenda dall’Iraq al Libano. Le centinaia di persone che sono state uccise in Iraq da attentatori suicidi sono la testimonianza dei tentativi dei jihadisti di approfondire le animosità religiose tra sunniti e sciiti. E’ stato anche osservato che sia Riyadh che al-Qaida in Iraq cercano di approfittare dei crescenti sentimenti anti-sciiti e anti-iraniani nella regione, causati dalla morte di sunniti in Siria. Anche se i sauditi utilizzano i jihadisti per indebolire l’Iran, i jihadisti sperano di diventare una grande potenza politica in Siria e in Iraq a seguito del conflitto (5). Tuttavia, c’è una serie di ostacoli che impedisce che questi piani diventino realtà, comprese le limitate possibilità dei wahhabiti, le vittorie delle forze governative in Siria e il profilo politico dell’Iraq, in cui vi è una netta divisione tra curdi, sunniti e sciiti che impedisce ai jihadisti di coinvolgere tutta la popolazione del Paese. Nonostante il fatto che ci sia un collegamento evidente tra l’origine della lotta per il potere in Libia e la situazione dell’opposizione siriana, né a Bruxelles né a Washington e neanche i liberali dell’opposizione siriana vogliono vedere a cosa porteranno ulteriori tentativi di rovesciare il governo di al-Assad in Siria. E se nessun modello per controllare (dal punto di vista sociale, economico, politico, geografico ed etnico) l’attuale grande conflitto in Libia è ancora stato elaborato attraverso la mediazione dell’UE o delle Nazioni Unite, che senso ha continuare a molestare la Siria? Sembra che le decisioni dei leader europei e statunitensi sulla Siria vadano oltre i limiti della convenienza politica. aurorasito.wordpress/2013/07/04/la-lezione-libica-e-la-jihad-in-medio-oriente/
Posted on: Thu, 04 Jul 2013 18:32:56 +0000

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