La miscela esplosiva di bullismo e mass-media Un contributo del - TopicsExpress



          

La miscela esplosiva di bullismo e mass-media Un contributo del prof. Sergio Spini su una problematica che coinvolge la scuola, la famiglia e la TV. Il fenomeno del “bullismo”, cioè della violenza esercitata dal singolo, o più spesso dal “branco”, su chi è più debole o indifeso, sembra oggi espandersi a macchia d’olio, preoccupa l’opinione pubblica, è oggetto di analisi degli psicologi, dei pedagogisti, dei sociologi, degli stessi mass-mediologi, perché esso è in rilevante misura collegato ai media, che ne danno ampie notizie e indirettamente lo alimentano. Radici antiche La violenza, intesa come prevaricazione più o meno grave e continuata dell’uomo sui propri simili, purtroppo è sempre esistita. Secondo il libro della Genesi, la storia dell’umanità ai suoi inizi è contrassegnata dal sangue di Abele, ucciso da Caino. Secondo la leggenda, la storia dell’antica Roma incomincia con un altro fratricidio, quello di Romolo che sopprime Remo. Le guerre, la pirateria, il brigantaggio, la lotta armata fra le fazioni politiche e i duelli sono altre ininterrotte modalità di quella violenza che ha indotto il filosofo inglese Tommaso Hobbes a terribili affermazioni: “La storia è la lotta di tutti contro tutti. Ogni uomo è un lupo per l’altro uomo”. Restringendo l’ambito della riflessione al tema del bullismo in senso stretto, rilevo che anch’esso probabilmente è sempre esistito. Le sevizie subite in non pochi casi dalle reclute nell’esercito e dalle matricole nell’università, i soprusi nel gioco e le risse tra ragazzi ne sono le prove concrete. La nativa fragilità umana, che i credenti chiamano “peccato originale” e che il filosofo tedesco Kant definiva “male radicale”, è una delle cause della violenza. Le carenze e le distorsioni educative, la mancanza o l’insufficiente applicazione delle leggi, ne sono altre cause. Anche in passato la violenza non mancava mai, tuttavia nell’opinione pubblica prevaleva quanto meno il giudizio negativo su di essa, la si considerava un male ineliminabile, ma pur sempre un fatto moralmente negativo. Cause nuove Oggi purtroppo non è più così. Un acuto studioso ha scritto che la nostra società è vittima di tre “virus”: “mi piace”, “mi pare”, “mi va”. Il “principio del piacere” analizzato da Freud ha preso il posto del “senso del dovere”; le mutevoli opinioni individuali sono il surrogato delle verità universali, ritenute inesistenti o comunque inconoscibili; la spontaneità degli impulsi del momento, sottratti ad ogni valutazione etica, viene preferita all’autocontrollo della ragione e della volontà mature. I tre virus sopra ricordati si possono ricondurre a quel relativismo culturale che Benedetto XVI non si stanca di denunciare. L’io individuale si fa legge a se stesso, ha preso il posto di Dio, pretende che ogni suo “desiderio” diventi “diritto”, esige che alla sua libertà non venga posto alcun limite: è il principio del “divieto del divieto” del ’68 francese, largamente accolto e praticato anche in Italia. A conferma di questa nuova mentalità, cito crudamente un fatto: nel referendum sull’aborto due italiani su tre hanno votato a favore, sancendo il “diritto” della donna ad eliminare il nascituro col consenso e col denaro dello Stato. Come non ricordare il motto delle femministe “L’utero è mio, e lo gestisco come voglio”? I nostri mass-media (giornali, radio, riviste, TV), purtroppo dominati da una cultura libertaria e laicista, hanno radicalmente cambiato le opinioni di moltissima gente circa la famiglia, il matrimonio, il diritto alla vita, la non-violenza. Prevalentemente da essi è nata e si è imposta la “società dello spettacolo”. La fotografia, il cinema, la TV, i video-telefonini fanno prevalere ciò che è “visto” su ciò che viene “udito”; l’informazione è sempre più spettacolarizzata, a scapito della razionalità e della obiettività; le persone famose e anche gli individui comuni si presentano alla TV a dare spettacolo di sé, anche calpestando il pudore, nella brama della notorietà; i bulli fanno altrettanto, chiedendo dai compagni del branco di essere fotografati e fatti conoscere attraverso l’invio di messaggini visivi. Il Grande Fratello ha fatto davvero scuola, ha una schiera infinita di seguaci… Qualche rimedio Criticare tutto ciò è un diritto, ma non basta; andare contro corrente è un dovere impellente, anche se faticoso, di chi educa, di chi legifera, di chi ha il compito di far rispettare le norme della convivenza civile, di chi ha potere e responsabilità reali sui mass-media. Comincio dalla famiglia, che rimane, nonostante tutto, la prima, più importante e decisiva comunità educante. Per essa, andare contro corrente significa in primo luogo evitare il permissivismo, largamente praticato negli Stati Uniti, secondo gli insegnamenti del celebre Benjamin Spock, e pedissequamente imitato da moltissimi nostri connazionali. Non a caso, dopo un lungo viaggio in quel grande Paese, il Duca di Windsor commentava: “Degli Americani, la cosa che mi ha maggiormente colpito è il modo in cui i genitori obbediscono ai figli.” La fermezza dei genitori nel regolamentare chiaramente l’orario dei pasti e del riposo, la collocazione delle cose, l’uso della TV e dei videogiochi, le relazioni intrafamiliari, non solo contribuiscono alla serenità della vita domestica, ma educano tempestivamente al senso del limite, all’autocontrollo, all’osservanza abituale e libera delle regole (ad esempio, l’obbligo del casco per chi guida i motocicli). L’illegalità ha le sue radici profonde nelle carenze e negli errori educativi della famiglia e della scuola. I docenti e i dirigenti scolastici che esigono la puntualità e l’impegno nello studio, che impongono una ragionevole disciplina, che hanno il coraggio di dare valutazioni negative ai pigri e ai turbolenti, di vietare l’uso dei telefonini, di punire severamente e subito i bulli, offrono un altro decisivo contributo all’educazione morale e civica delle nuove generazioni. Ovviamente anche alla Chiesa spetta un importante compito. Essa insegna continuamente l’amore operoso verso il prossimo, il rispetto di qualsiasi persona, l’aiuto e la difesa di chi è più debole, la non-violenza. E ai mass-media quale ruolo compete? Una risposta autorevole al quesito si trova nel messaggio del Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali del 2007. “Ogni tendenza a produrre programmi – compresi film d’animazione e video-games – che in nome del divertimento esaltano la violenza, riflettono comportamenti anti-sociali o volgarizzano la sessualità umana, è perversione, ancor di più quando questi programmi sono rivolti a bambini e adolescenti…Faccio nuovamente appello ai responsabili dell’industria dei media, affinché formino e incoraggino i produttori a salvaguardare il bene comune, a sostenere la verità, a proteggere la dignità umana individuale e a promuovere il rispetto per le necessità della famiglia.” Il Papa è certamente consapevole che il suo appello sarà largamente disatteso. Perciò scrive:”Educare i bambini ad essere selettivi nell’uso dei media è responsabilità dei genitori, della Chiesa e della scuola.” L’Aiart di ciò è pienamente convinta, quindi pone le sue limitate risorse al servizio di chi educa e di chi ha pubbliche responsabilità nella lotta a qualunque forma di violenza. Compreso il bullismo, logicamente.
Posted on: Fri, 29 Nov 2013 23:09:27 +0000

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