La missione (parte V) Quarta regola: I MISSIONARI DEVONO OSSERVARE - TopicsExpress



          

La missione (parte V) Quarta regola: I MISSIONARI DEVONO OSSERVARE UN CERTO TIPO DI “POVERTÀ”. L’invio missionario, secondo i Vangeli sinottici, esige che l’annunciatore del Vangelo non sia appesantito o ingolfato in grovigli di situazioni umane. La “povertà” che si richiede al missionario cristiano è sinonimo di “libertà” da legami e restrizioni anche lecite, ma che rallenterebbero notevolmente la sua corsa. Osserviamo in parallelo i detti di Gesù sulla libertà del discepolo missionario: Mt 10,8-10: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento”. Mc 6,8: “E ordinò loro che, oltre al bastone non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche”. Lc 9,3: “Disse loro: non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno”. I tre testi coincidono nelle linee generali, anche se Matteo appare teologicamente più completo per via di due significative aggiunte: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” e “l’operaio ha diritto al suo nutrimento”. All’idea base secondo cui il discepolo missionario non deve lasciarsi ingolfare da eccessive preoccupazioni materiali, Matteo aggiunge un insegnamento che tocca le motivazioni profonde della povertà evangelica: il necessario per la vita è garantito dalla divina Provvidenza. Il discepolo missionario non deve permettere alle preoccupazioni materiali di occupargli lo spirito; ciò renderebbe la sua evangelizzazione meno agile e meno incisiva. Uno degli elementi fondamentali della sua credibilità di testimone del Regno è infatti proprio il suo distacco dalle ricchezze. L’espressione “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, sembra voler dire perfino di più. Qui il testo evangelico mette in guardia il missionario da una particolare forma di non libertà che è l’aspettativa del ritorno. L’azione pastorale è gratuita per definizione. Ed è gratuita nel senso più globale della parola, vale a dire in un senso anche traslato. L’evangelizzazione può anche non attendersi un ritorno di carattere materiale, ma spesso si attende un ritorno di carattere morale, anche inconfessato, in termini di stima, di ammirazione e di rispetto. Per questo subentra l’inquietudine dinanzi alla mutevolezza dei giudizi umani. Anche in questo caso vale il detto di Gesù secondo Matteo: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. E vale soprattutto la lode stupenda – anche se ingannevole in quel contesto – che i farisei danno a Cristo: “Maestro, sappiamo che sei veritiero… e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno” (Mt 22,16). L’esortazione “gratuitamente date” implica senza dubbio questa caratteristica principesca da figlio di Dio di servire la causa dell’uomo senza avere verso l’uomo un atteggiamento servile, ossia la capacità di agire sempre secondo coscienza, procedendo diritto dinanzi a sé, e trattando come due vili impostori sia la lode che il biasimo dell’uomo. A ciò bisogna aggiungere i detti di Gesù sulle esigenze di distacco connesse al discepolato. La povertà del missionario va infatti inquadrata nella povertà più generale richiesta a chi si incammina per le vie del discepolato. Un grave impedimento e una mancanza di libertà che frena il cammino della perfezione cristiana è l’attaccamento disordinato agli affetti familiari. Il testo di Lc 9,57-62 affronta questa problematica che Gesù considera come una disposizione preliminare capace di far fallire la chiamata cristiana alla santità. Per questo a due discepoli da poco chiamati, che gli chiedono un permesso umanamente legittimo, di andare a seppellire il padre defunto e di salutare i familiari, Gesù dà una risposta negativa e drastica. Cristo ha il primato sugli affetti familiari e la sua chiamata non ammette ritardi neppure in situazioni familiari che possono sembrare urgenti: “Tu va’ e annunzia il Regno di Dio” (Mt 9,60).Uno degli aspetti importanti della “povertà”, ovvero della “libertà”, del discepolo missionario è la capacità di non anteporre all’amore di Cristo l’amore umano, e in particolare gli affetti familiari. Questo concetto per i contemporanei di Gesù era qualcosa di assurdo, sia perché uno dei Dieci Comandamenti impone esplicitamente l’onore dovuto ai genitori, sia perché, secondo la mentalità ebraica, la famiglia è il luogo privilegiato di realizzazione della volontà di Dio. Cristo insegna invece che, oltre alla famiglia, esiste un altro modo di rispondere alla volontà di Dio, ed è quello di entrare in una nuova famiglia che ha Cristo stesso come Capostipite e Primogenito. L’ingresso in questa nuova famiglia implica un certo distacco dagli affetti, inclusi quelli di consanguineità, che non siano vissuti nel Signore, e che spesso, pur essendo legittimi, sono un impedimento alla risposta che Dio si attende.L’Apostolo Pietro si rende conto della novità di questa prospettiva e chiede come sarà riempito il vuoto degli affetti lasciati dal discepolo per amore del Maestro. Cristo risponde lasciando intendere a Pietro che Dio agisce con divina generosità e che l’uomo non può mai pensare che una qualsiasi rinuncia fatta per amore di Lui sia ripagata con metro umano. Dio ripaga l’uomo generoso con la sua generosità divina, e mentre l’uomo fa rinunce umane, Dio risponde a esse con doni divini, sovrabbondanti, superiori a ogni umana immaginazione: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,28-29). Siamo a livelli vertiginosi. Dio, insomma, risponde da Dio. Non si tratta quindi di sacrifici gratuiti, o di distacchi non necessari, quelli che chiede Cristo, ma si tratta di un passaggio dalla genealogia umana alla famiglia rinnovata della nuova creazione. Si tratta di essere inseriti nella genealogia di cui Cristo è Capostipite, e ogni rinuncia umana atta a fare spazio in noi ai doni della nuova creazione è ripagata da Dio con tutta la generosità e tutta la potenza di Dio. Spesso è forse questo che non abbiamo chiaro: pensiamo solo alle difficoltà e alle rinunce che il Vangelo può comportare, e non pensiamo che Dio risponde da Dio.L’Apostolo Paolo si muove con molta disinvoltura sulle vie della libertà del discepolo missionario. Nel momento in cui egli giunge alla conoscenza del Risorto dà una sterzata radicale e definitiva alla sua vita: “Ma quando Colui che mi scelse fin dal seno materno mi chiamò… subito, senza consultare nessun uomo… mi recai in Arabia” (Gal 1,15). E ancora: “Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Gesù Cristo, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose” (Fil 3,7-8). Egli quindi si sente totalmente libero dal passato, ma non solo. Si sente altrettanto libero anche dal presente e dai suoi condizionamenti sia positivi che negativi: “Ho imparato a essere povero e ho imparato a essere ricco. Sono iniziato a tutto in ogni maniera… Tutto posso in Colui che mi dà forza” (Fil 4,12-13). E’ naturale che qui non si allude solo alla povertà o alla ricchezza di mezzi materiali, ma si vuole dire che l’Apostolo, in quanto servo di Dio, attende tutto da Lui e non confida negli aiuti umani, così come non si scoraggia per la loro assenza. Stupenda grandezza d’animo, meravigliosa libertà, degna di un principe! Senza questa nobile libertà sarebbe impossibile affrontare le difficoltà e gli ostacoli notevoli che si incontrano nel cammino di fede e nella vita pastorale. Lo stesso Paolo offre un quadro impressionante dei pericoli del suo ministero di Apostolo missionario: “… una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio… viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti… pericoli dai pagani… pericoli dai falsi fratelli… E oltre a tutto questo il mio assillo quotidiano: la preoccupazione per tutte le chiese” (2 Cor 11,25-28). La missione e la testimonianza cristiana esigono insomma una personalità di grande statura, per superare gli ostacoli e le lotte che la militanza per il Vangelo necessariamente comporta.Quinta regola: DEVONO ESSERE DOTATI DELLA LUCE DEL DISCERNIMENTO, PER DISTINGUERE UOMO DA UOMO E SITUAZIONE DA SITUAZIONE. La quinta regola riguarda un fatto di estrema delicatezza e difficoltà: il discernimento spirituale nell’azione pastorale. I Sinottici sono unanimi nel riportare l’insegnamento di Gesù su questo punto: l’evangelizzazione sarà accolta da alcuni e osteggiata da altri. Dinanzi all’annuncio della Parola gli uomini si dividono. E’ dunque necessario saper distinguere uomo da uomo, perché alcuni rifiutano il Vangelo in modo esplicito, mentre altri lo accolgono solo esteriormente. L’apostolo che non sa distinguere i veri cristiani da quelli che fingono di esserlo, non è adatto al difficile compito di essere pastore. Ma è opportuno andare con ordine. La scelta dei collaboratori “In qualunque città o villaggio entriate fatevi indicare se vi sia qualche persona degna” (Mt 10,11). Nel lavoro pastorale nessuno può fare tutto da solo. Una delle caratteristiche peculiari e più necessarie del pastore è infatti quella di saper dare fiducia alle persone giuste, dopo avere letto in profondità il loro cammino e la loro personalità. Non sono piccole le sofferenze di quella comunità cristiana nella quale determinati incarichi, o ministeri di rilievo, sono rivestiti da persone anche buone, ma prive di quella maturazione evangelica e di quella statura spirituale necessaria al servizio ecclesiale. Succede così che talune persone, solo perché presenti ogni giorno alla Messa, vengono invitate dal parroco a divenire ministri straordinari dell’eucaristia, anche se non hanno maturazione di fede sufficiente; e talvolta, quando si rende vuota una classe di catechismo, viene invitata a ricoprirla qualche ragazza neocresimata di buona volontà, ma non sempre all’altezza del compito e a livello dottrinale e a livello di maturazione cristiana. E di cose simili ne accadono molte e in molti settori della vita pastorale.Bisogna ripartire allora dall’insegnamento di Gesù: “In qualunque città o villaggio entriate fatevi indicare se vi sia qualche persona degna” (Mt 10,11). L’indicazione di “qualche persona degna” non ha affatto un valore discriminatorio. Sarebbe un pregiudizio errato. Alcuni, vittime di questo pregiudizio, diranno: “Come mai il Signore, che mangiava coi pubblicani e i peccatori, sembra voler dire ai discepoli di fare una scelta preliminare nell’esercizio del loro ministero, quando invece tutti gli uomini, specialmente i lontani, hanno bisogno di sentire la Buona Novella?”. Una domanda di questo genere è apparentemente sapiente. Cristo tiene a distinguere in maniera molto netta i destinatari della evangelizzazione, che sono tutti gli esseri umani, nessuno escluso, dai collaboratori degli apostoli nella evangelizzazione. L’apostolo, il missionario, da un lato, deve annunciare a tutti la Parola di Dio, ma dall’altro, deve stare bene attento alle persone di cui si circonda e dalle quali si lascia collaborare. Nel caso specifico dell’invio dei Dodici, l’esortazione del Maestro è quella di dimorare come ospiti presso persone affidabili, che abbiano accolto con sincerità la Parola, e non presso famiglie magari ospitali, ma prive della motivazione profonda dell’accoglienza dei messaggeri del Signore. L’espressione “qualche persona degna” nel Vangelo ha un solo significato: degno è colui che viene giustificato mediante la fede. Per la teologia cristiana non esistono persone “degne” in virtù di meriti personali, indipendenti dall’attività giustificante di Dio. “Degno” è dunque colui che ha accolto la Parola di Dio non come parola di uomini, ed è stato di conseguenza giustificato.In Mt 10,12-13 viene ripreso più esplicitamente il concetto di casa “degna”: “Entrando nella casa rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi”. A questo punto, a nessuno può sfuggire il vero significato del concetto evangelico di “essere degni”. In questa prospettiva, risulta “degna” quella casa che non si chiude al saluto di pace degli apostoli, ossia è degna di appartenere a Cristo quella famiglia che sceglie liberamente di rimanere aperta all’esperienza della riconciliazione con Dio. Non esiste quindi alcuna dignità aprioristica. Non esistono persone “degne” di ricevere il Vangelo, e altre no; esistono solo persone che “diventano degne” solo perché hanno accolto nella loro vita il Risorto. Esistono allora solo uomini e donne privi della grazia di Dio, i quali, se accolgono la Parola del Vangelo, diventano degni della vita eterna, splendidi e gloriosi della stessa gloria di Dio. In fondo è l’idea espressa da Paolo e Barnaba, per giustificare la loro missione ai pagani: Israele, chiudendosi alla Parola di Cristo si è giudicato indegno della vita eterna (cfr. At 13,46).
Posted on: Fri, 12 Jul 2013 22:42:49 +0000

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