Lama Geshe Gedun Tharchin - Tecniche di meditazione - (parte - TopicsExpress



          

Lama Geshe Gedun Tharchin - Tecniche di meditazione - (parte prima) °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° - PREFAZIONE - TECNICHE DI MEDITAZIONE A) IL LUOGO DI MEDITAZIONE B) IL CUSCINO C) LA POSTURA DEL CORPO D) LA MOTIVAZIONE E) COS’È LA MEDITAZIONE F) LA MEDITAZIONE SUL RESPIRO G) LA CONCENTRAZIONE SU UN OGGETTO H) LA DEDICA - Tecniche di Meditazione - Prefazione E’ la prima volta che proponiamo una sessione di meditazione di una giornata, prendiamola come una sorta di test per vedere come funziona e quali sono i risultati. Non aspettiamoci niente di speciale, si tratta di avere un atteggiamento amichevole e tranquillo, di quiete e di amicizia. Le ragioni per le quali ho proposto questa giornata di meditazione sono due: una è il fatto che ci sono delle persone che non possono frequentare regolarmente le lezioni del corso e l’altra è che, pur essendo assidui, abbiamo comunque poche occasioni di pratica durante il corso e quindi ho ritenuto che fosse utile una sessione in cui si entreremo un po’ più in dettaglio sul tema delle tecniche di meditazione. Un’intera giornata è senza dubbio molto efficace e penso che possa dare anche un risultato più interessante rispetto a quello delle brevi sedute di meditazione che facciamo durante le lezioni del corso. Oggi fa un caldo abbastanza inusuale per Roma e questo forse potrà influenzare la nostra pratica, ma può anche darsi che la nostra pratica contribuisca a far ulteriormente scaldare l’aria qui a Roma. Durante le spiegazioni non c’è bisogno che sediate in una posizione particolare, potete sedere comodamente per poi assumere la corretta postura al momento della meditazione ma, se qualcuno vuole comunque sedere in una posizione meditativa, può farlo tranquillamente. a) Il Luogo di Meditazione Generalmente quando ci impegniamo in qualsiasi pratica di meditazione ci sono quattro elementi da comprendere. Uno degli elementi è la “postura di meditazione”, cioè come sedere sul cuscino di meditazione con una postura corretta. Prima di spiegarla è bene però fare delle considerazioni sul luogo in cui si decide di fare meditazione. Nelle scritture vi sono delle spiegazioni dettagliate riguardo le caratteristiche che dovrebbe avere questo luogo. Non credo sia necessario entrare troppo nei dettagli, la cosa più importante è che sia pulito e confortevole. L’altra cosa che si richiede ai praticanti buddisti è che nel luogo in cui si medita venga installato un altare sul quale siano presenti rappresentazioni del Buddha, del Dharma e del Sangha, alle quali si offrono candele accese, incenso e anche cibo, magari della frutta. L’altare, le immagini e le offerte non sono l’espressione di un atteggiamento devozionale ma sono piuttosto l’espressione esterna di una purificazione dello spazio interiore dei praticanti. E proprio per questa ragione possiamo affermare che pulire la sala di meditazione è come pulire la propria casa perché quest’azione riflette la propria interiorità e aiuta a purificarla. E’ importante anche la motivazione con la quale puliamo la nostra sala di meditazione: l’atto di togliere la polvere dal pavimento purifica in un certo senso la nostra mente e porta dei benefici e dei vantaggi. Allo stesso modo l’installazione dell’altare è l’espressione della pratica della generosità: fare offerte non è fare piacere solo al Buddha, al Dharma e al Sangha ma anche a noi stessi e a tutte le miriadi di esseri invisibili che ci circondano. Si sente molto parlare dell’energia che ci circonda ma se ne parla sempre in una maniera molto pratica: il tenere pulita la stanza non influenza soltanto le persone che ci vivono ma anche tutti gli esseri invisibili che ci circondano. E’ una questione di convivenza al fine di creare una buona energia e una buona coesistenza fra noi e le miriadi di esseri che vivono intorno a noi. E questo crea una buona energia ed influenza positivamente anche noi stessi. Al giorno d’oggi assistiamo a innumerevoli catastrofi naturali e io credo che l’origine di questo dissesto sia anche nel nostro atteggiamento iper-egoistico, di forte attaccamento a noi stessi, senza che ci si preoccupi delle persone che ci circondano. Quindi una buona energia e una chiarezza mentale non derivano soltanto dalla semplice pratica del pulire l’ambiente in cui viviamo e dal mettere delle decorazioni piacevoli, sistemandole bene, ma anche dall’atteggiamento corretto che dovrebbe essere quello di rivolgere questa azione benefica non soltanto a proprio vantaggio ma prima di tutto a vantaggio di tutti gli esseri viventi, includendo, in un certo senso, tutta la natura. Una sala di meditazione non deve essere necessariamente collocata all’interno di un tempio o in un gompa, basta anche una semplice stanza o un luogo all’aperto, ad esempio sotto un albero, un posto dove sentiamo che comunque c’è una buona energia. Per creare le basi di una meditazione efficace occorre preparare un ambiente che sia appropriato e questo si può fare, come abbiamo detto, anche pulendo la stanza o il luogo della meditazione, mettendo delle decorazioni piacevoli, sempre con un’attitudine non egoistica, con un atteggiamento altruistico. Anche la pulizia della nostra stanza è un’ottima pratica perché, sebbene sembri molto semplice, genera una grande energia. Questo è il segreto del Dharma: portare la pratica in qualsiasi cosa noi facciamo. In apparenza sembra molto semplice ma, per ottenere i frutti della meditazione, è necessario cominciare da queste piccole e semplici pratiche. Tale frutto può nascere nella vostra stanza, nel luogo dove si vive: è un ottimo metodo per cominciare una pratica completa. Un simile atteggiamento può portare a dei cambiamenti perché, ad un certo punto, comprenderete che un anno fa facevate la stessa pratica del pulire la stanza con un’attitudine mentale del tutto diversa e, quindi, potete comprendere che c’è stato veramente un cambiamento nella vostra quotidianità. Ci sono anche i mantra per pulire la stanza. E’ una pratica che ha insegnato il Buddha storico, il Buddha Shakyamuni. Esiste un aneddoto al riguardo. C’era un discepolo del Buddha, un discepolo piuttosto ottuso, con una mente piuttosto pigra, che non riusciva a studiare, a comprendere gli insegnamenti. Allora il Buddha gli propose di pulire la sala di meditazione. E, nell’affidargli questo compito, gli fornì anche un mantra: due frasi da pronunciare mentre con la scopa toglieva la polvere dal pavimento: “Tolgo la polvere, tolgo i miei ostacoli e i miei difetti mentali”. Questa azione ebbe un effetto positivo sulla sua mente. C’è anche un mantra più elevato - quello precedente era il mantra di base - il cui significato è: “Questa polvere che tolgo non è semplicemente sporcizia, ma rappresenta effettivamente gli ostacoli della mia mente”. Il monaco ebbe delle realizzazioni applicando tale semplice pratica. All’inizio il Buddha gli aveva chiesto di pulire le scarpe degli altri monaci ma per lui era troppo difficile e, allora, gli propose di spazzare la sala di meditazione. Questo monaco era uno dei cugini del Buddha e quindi il Buddha lo poteva “bastonare” per bene. Seguendo l’esempio di Buddha ancora oggi, in alcuni monasteri, ci sono dei Maestri che sono piuttosto duri con i loro discepoli, anche se questi non sono i loro cugini. Il Buddha invece usava mezzi abili, aveva la capacità di comprendere il carattere di ogni individuo e dava delle indicazioni e suggeriva degli accorgimenti a seconda del carattere di ciascuno, senza mai generalizzare. Oggi vedo che ci sono molti Maestri che prendono un metodo adottato dal Buddha e lo applicano indiscriminatamente a tutti dicendo: “Il Buddha ha insegnato questo, quindi fate tutti così”. E’ sbagliato, perché il Buddha era estremamente accorto e intelligente e aveva la capacità di dare indicazioni giuste ed efficaci per ciascuno, a seconda delle capacità ed attitudini individuali. Questa era la sua peculiarità. Penso che difficilmente ci si possa paragonare al Buddha, anche se ci sono molto persone che lo fanno. Noi dovremmo cercare di acquisire la capacità di porci con l’atteggiamento del Buddha nel nostro mondo moderno del XXI secolo. Medesimo discorso riguardo la meditazione: dovremmo essere capaci di coglierne l’essenza e trasporla nella nostra società attuale, senza perdere il senso dell’appartenenza. Vi sono degli individui che dicono di praticare la meditazione ma lo fanno solo per distinguersi dagli altri, per mettersi a un livello superiore e questo non è un atteggiamento da buddhista, non è vero Dharma. Nell’insegnamento del Buddha la pratica è qualcosa di segreto e di prezioso, non è un mero strumento da usare per metterci in mostra o per dimostrare agli altri la nostra superiorità. Se lo si comprende, si può applicare l’essenza del Dharma a qualsiasi attività pratica e quindi anche il semplice gesto di pulire una stanza può diventare una pratica vera a tutti gli effetti, che può portare all’Illuminazione. E’ difficile anche per me, che ho fatto molti studi e ancora studio molto e incontro molti praticanti, cogliere l’essenza del Dharma ma so che, una volta colta, la si può applicare a qualsiasi cosa noi vogliamo fare: qualsiasi cosa può divenire l’espressione del Dharma. E questa è la Liberazione, la completa libertà, diventare completamente liberi e, qualsiasi cosa faremo, non commetteremo alcun errore. La mia ricerca personale a livello spirituale è proprio quella di cogliere questa essenza, di cogliere i mezzi abili, e questa penso che sia la cosa più urgente e più necessaria nel mondo in cui viviamo. Quindi, dobbiamo imparare a realizzare l’essenza della pratica anche mentre ci impegniamo a pulire la stanza, a installare l’altare e a fare delle offerte. Creare un buon ambiente, un ambiente confortevole, una buona atmosfera dipenderà dalla nostra mente e non dagli oggetti utilizzati. Tutto questo sarà una buona base per la nostra meditazione. E questo può essere fatto in qualsiasi ambiente in cui decidiamo di fare la nostra meditazione perché dipende più dalla nostra mente e dal nostro atteggiamento che dall’ambiente fisico. Se vediamo le cose da questo punto di vista la nostra stessa stanza è l’ambiente più adatto e più comodo per la meditazione e, il solo atto di sistemarla, pulirla e mettervi delle decorazioni la renderà il luogo più adatto allo scopo. I testi di alta pratica Vajrayana suggeriscono di visualizzare il posto dove si medita come un Mandala e visualizzare se stessi come un deva, un essere spirituale: questo dovrebbe contribuire a creare un’ottima base per la meditazione ma, nella mia esperienza personale, non funziona molto. Io riesco a vedere molto bene l’ambiente intorno a me, ma visualizzare un Mandala crea molta confusione; può essere una cosa meravigliosa immaginare questo posto come un Mandala e vedere come divinità spirituali tutti gli altri partecipanti però è abbastanza difficile e può creare confusione. E’ meglio dimenticarsi di queste cose e relazionarsi con la realtà e con le cose concrete. Noi siamo esseri umani e siamo qui con i nostri problemi, le nostre confusioni. Credo sia più realistico dedicarsi alla pratica del pulire e magari, utilizzando questo atteggiamento, potrà accadere che i nostri problemi vadano via. In fin dei conti qui l’ambiente è pulito, c’è una buona atmosfera, siamo tutti amici nel Dharma, non ci sono conflitti tra di noi e quindi ci sono tutte le basi per cui questa giornata sia molto significativa. b) Il Cuscino Il secondo elemento è la preparazione del cuscino. Il Buddha, quando sedette sotto l’albero della Bodhi per il conseguimento dell’Illuminazione, si sedette su un mucchio di erba detta “cuscia”. Può essere utile visualizzare se stessi nell’atto di meditare all’aperto, sotto l’albero della Bodhi su un cuscino di foglie di “cuscia”, non c’è bisogno di visualizzare grandi edifici, troni o orpelli particolari, è sufficiente immaginarsi mentre si medita sotto l’albero della Bodhi. Quindi è utile avere un cuscino come base e un altro più alto su cui sedersi ma non è una regola precisa, non è un obbligo, non è necessario, ovunque si vada, portarsi appresso due cuscini. Abbiamo parlato delle visualizzazioni e dei cuscini però si può anche meditare senza questi elementi stando semplicemente seduti all’aperto. A Roma ci sono molti parchi bellissimi e si può, dopo una passeggiata, sedersi a meditare. L’estate scorsa sono stato a Taipei dove ci sono pochissimi parchi molto piccoli e pieni di gente che pratica il Tai-Chi o il Kung-fu, però meditare è meraviglioso e penso sia meglio del Tai-Chi. c) La Postura del corpo Il terzo elemento è la postura del corpo, ci sono sette elementi fondamentali: • Le gambe dovrebbero essere nella postura del loto o del semi-loto con la gamba destra all’esterno (il loto completo è quando entrambi i piedi poggiano sulle cosce). • La posizione della spina dorsale è molto importante: dev’essere diritta. • Le spalle devono essere dritte e rilassate, e, se anche la spina dorsale è diritta, automaticamente anche le spalle sono diritte. • La testa deve essere leggermente chinata in avanti. Alcuni testi dicono che la punta del naso dovrebbe essere perpendicolare all’ombelico e bisognerebbe posizionare anche la propria fronte, utilizzando l’occhio mentale, perpendicolarmente all’ombelico. Se noi volgiamo gli occhi verso l’ombelico automaticamente il capo sarà chinato leggermente in avanti. • Gli occhi devono rimanere per metà aperti e dovrebbero guardare verso la punta del naso. • La punta della lingua deve toccare il palato superiore all’altezza degli incisivi, non deve essere premuta ma la si fa rimanere solo in contatto con il palato. • La mano destra deve stare sul palmo della sinistra con i pollici che si toccano. Un altro accorgimento è quello di porre i pollici all’altezza dell’ombelico. Alcuni dicono che i pollici dovrebbero formare un triangolo con il palmo delle mani ma l’essenziale è che le loro punte siano in contatto. Alcuni meditano con i pollici sovrapposti. Ci sono molti significati riguardo a questa postura. E’ una posizione naturale della forma umana. E’ la postura più comoda a lungo termine; all’inizio può sembrare scomoda ma, col tempo, è quella che ci permette di rimanere comodi nel migliore dei modi e sono molti i praticanti che meditano in questa posizione da migliaia di anni. Inoltre questa è la postura corretta per produrre una buona energia e una buona pratica. La postura delle gambe incrociate richiama in un certo senso il Vajra, che è un oggetto sacro. La traduzione di Vajra è: “diamante”, simbolo d’indistruttibilità; il richiamo al Vajra con la posizione delle gambe incrociate vuole, in un certo senso, significare che questa posizione ci favorisce una pratica indistruttibile. Il nostro Samadhi, con la posizione delle gambe incrociate, sarà indistruttibile e stabile; il Vajra è un simbolo di buon auspicio che può produrre un Samadhi indistruttibile. La schiena dritta è necessaria perché crediamo esista nel corpo un canale centrale che è il canale di energia più sottile a livello fisico, il canale chiamato sacro, e questo canale di energia è posto lungo la spina dorsale. All’interno del canale centrale è collocata la nostra mente più sottile. A livello fisico la schiena dritta ci aiuta a tenere una posizione stabile e permette una circolazione sanguigna ottimale. Le spalle dritte aiutano a tenere le braccia composte anche senza l’aiuto di un cuscino. La testa deve essere chinata leggermente in avanti perché, se meditassimo con la testa all’indietro, creeremmo un’interruzione nella continuità della spina dorsale, inoltre è anche un segno di umiltà. Per quanto riguarda gli occhi: alcuni praticanti meditano con gli occhi completamente chiusi, altri con gli occhi aperti; il Buddha ha suggerito la via di mezzo: stare con gli occhi semichiusi. Meditando con gli occhi chiusi c’è il rischio di cadere nella trappola della sonnolenza e, facendolo con gli occhi aperti, c’è il rischio di una sovreccitazione mentale. La postura della lingua a contatto con il palato consente una limitata salivazione. Per le mani, non c’è grande differenza riguardo a quale di esse debba stare sopra l’altra (nello Zen si medita con la sinistra sulla destra perché la mano destra è la mano dell’azione e quindi, poiché nella meditazione l’azione fisica viene controllata, si mette la sinistra sulla destra; secondo lo Zen solo il Buddha, o le personalità elevate, meditano con la destra sopra la sinistra). Comunque la maggior parte delle tradizioni buddhiste suggerisce di meditare con la mano destra sovrapposta alla sinistra. In quella tibetana i pollici sono considerati dei canali sottili chiamati canali della bodhicitta, ovvero della mente compassionevole. Mettendoli a contatto si surriscaldano generando più bodhicitta. La ragione per cui i pollici dovrebbero essere all’altezza dell’ombelico è che si ritiene che questo canale di energia centrale passi proprio per l’ombelico e i grandi yogi usano tale punto per generare un grande calore interno. Ci sono dei meditanti che si concentrano molto su questi aspetti energetici sottili. Io penso che sia importante meditare concentrandosi soprattutto sulla postura del corpo: il solo mantenerla corretta genera molti risultati a livello di concentrazione. C’è una certa interdipendenza tra gli aspetti fisici e gli aspetti mentali o spirituali: mantenere la posizione aiuta ad accrescere le nostre qualità interiori, in più influenza anche il nostro aspetto e la nostra efficienza fisica. d) La Motivazione Il quarto elemento è quello di generare una buona motivazione. Per coloro che hanno già qualche familiarità con la pratica buddhista mahayana il fatto di generare una buona motivazione è in relazione con la presa di rifugio nei Tre Gioielli e con la proposizione della mente di Bodhicitta, la mente altruista. La generazione della Bodhicitta generalmente è espressa con la recitazione di un poema di quattro versi che dice: Fino all’illuminazione mi rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha grazie ai meriti creati praticando la generosità e le altre perfezioni possa io raggiungere lo stato di Buddha per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Questo poema fu composto dal Maestro Atisha che ebbe un grande ruolo nella seconda fase di diffusione del Dharma in Tibet, avvenuta tra il X e XI secolo. Questi quattro versi sono recitati da tutti i praticanti buddhisti in Tibet prima di cominciare qualsiasi tipo di pratica. La presa di rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha dovrebbe essere motivata dalla rinuncia e dalla compassione. La rinuncia dovrebbe essere motivata dalla comprensione del Samsara cioè dalla comprensione del mondo, delle sue sofferenze, dei problemi e delle difficoltà. A partire da questa comprensione bisognerebbe generare il desiderio di raggiungere la liberazione da queste difficoltà e dal mondo del Samsara. Quindi, per comprendere che cosa è la liberazione, che cosa è il Nirvana, bisognerebbe comprendere l’essenza della sofferenza. Il Nirvana è la cessazione della sofferenza e dei problemi. E’ il risultato del venir meno delle difficoltà: un po’ come il burro che si produce dal rimescolamento del latte. In questo senso il Nirvana è fatto dell’essenza del Samsara. E quindi fare chiarezza sul Samsara vuol dire fare chiarezza sul Nirvana, sulla liberazione dalle difficoltà. Risolvere i problemi significa renderli chiari alla comprensione. Prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha implica prendere Buddha, Dharma e Sangha come mete della nostra pratica. Buddha, Dharma e Sangha non sono esterni a noi ma interni, sono prodotti dalla nostra stessa pratica. E in questo senso sono il nostro oggetto, la nostra meta. Sono simboli e i simboli non sono reali. Generalmente i religiosi disquisiscono parecchio riguardo ai simboli. In India, infatti, esistono diversi problemi di carattere religioso e gli uni combattono contro gli altri per questioni simboliche e iconografiche. Tutto questo è molto triste. Secondo l’insegnamento del Buddha non ci sono problemi che riguardano i simboli, la pregnanza dei simboli: se qualcuno venisse e buttasse di sotto quella statua lì del Buddha non ci sarebbero problemi. Questo gesto non creerebbe sofferenza né al Buddha né a noi. Se noi prendiamo quella statua come simbolo è perché ci ricorda il significato, l’essenza dell’insegnamento del Buddha ma non vuol dire che è il Buddha, sarebbe sciocco dire che quella statua è il Buddha. E’ bene fare chiarezza su questo: prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha vuol dire che la nostra salvezza, ciò che ci salva, dovrebbe essere prodotto all’interno di noi stessi. Il senso del prendere rifugio è che io riconosco che il Buddha, il Dharma e il Sangha sono la meta della mia pratica e che questo scopo deve essere raggiunto dentro di me. La figura del Buddha – come oggetto di rifugio - è la rappresentazione di una mente tranquilla, libera da impedimenti e da sofferenze. Il Buddha non va visto soltanto come un semplice personaggio storico – realmente esistito – o come una divinità da adorare: è la meta del nostro sentiero spirituale. Rappresenta la nostra personale potenzialità di sviluppo spirituale. Perché noi stessi – se lo vogliamo – possiamo diventare Buddha . Il Dharma – il secondo oggetto di rifugio – è la Via per raggiungere il Risveglio. Rappresenta un metodo – sperimentato da milioni di persone – per raggiungere la Liberazione da tutte le sofferenze. In altre parole, è il mezzo attraverso il quale è possibile raggiungere lo stato di Buddha. L’ultimo oggetto di rifugio è il Sangha. È formato da tutti coloro la cui pratica è il Dharma, costituito cioè da persone il cui scopo è il raggiungimento della Liberazione per se stessi e per gli altri. In fin dei conti, se ci riflettiamo bene, questi tre oggetti di rifugio non sono elementi esterni alla nostra pratica. Il Buddha, il Dharma e il Sangha non compiono miracoli per conto nostro. Questi tre oggetti di rifugio sono in realtà dentro di noi. Siamo noi stessi con la nostra pratica spirituale a dare loro un effettivo valore. Quindi, prendere rifugio nei Tre Gioielli è un punto di partenza molto importante. Diventa un obiettivo fondamentale per il nostro progresso spirituale. Quando ci impegniamo nella pratica meditativa desideriamo raggiungere uno stato mentale di tranquillità e di fare maturare determinate qualità positive della nostra mente. Contemporaneamente, c’è la consapevolezza che lo stato di Buddha non è di beneficio esclusivamente per noi stessi ma per un’infinita moltitudine di esseri senzienti. Il percorso specifico per raggiungere e progredire spiritualmente è rappresentato dalle sei Paramita (o Perfezioni). La Generosità e la Moralità servono come base per produrre una piena pratica del Dharma. La Pazienza è la più grande sorgente della tranquillità e della pace, è la base dell’armonia. Lo Sforzo Gioioso, l’atteggiamento di entusiasmo che porta a infondere gioia nella pratica del Dharma, uno sguardo che ci permette di praticare con gioia il Dharma. La Concentrazione è un requisito fondamentale per il raggiungimento di uno stato mentale adatto. La Saggezza ci permette di individuare quale sia il sentiero, la maniera giusta. Come ho già detto la saggezza è l’occhio che ci permette di guardare le altre cinque Paramita perché, pur praticandole, senza la saggezza rischiamo di non sapere in quale direzione stiamo andando. Quindi, per avere il quadro completo, il sentiero completo, servono tutte e sei le Paramita. Sebbene la motivazione sia questione semplice quello che dobbiamo ben comprendere sono i profondi significati che in essa si celano. Quando generiamo la motivazione per il benessere di tutti gli esseri viventi, quindi con la mente di Bodhicitta, altruistica, ci poniamo ad un livello molto alto e a quel punto tutti i nostri problemi, le nostre difficoltà, in un certo senso, scompaiono. La motivazione, cioè desiderare di raggiungere l’Illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, assume una rilevanza straordinaria nel contesto della nostra società. Gli esseri ordinari litigano e si accapigliano per qualsiasi futile motivo, anche per una banalissima tazza di caffè. Sembra pazzesco, ma purtroppo la mente degenerata può spingere anche all’omicidio. Purtroppo ogni giorno ci sono esempi tristi che dovrebbero farci riflettere. Naturalmente tutto ciò non avviene a caso. Se siamo sempre concentrati sul nostro piccolo ego, pensando continuamente a noi stessi, allora diventa molto facile che anche il più insignificante problema possa ingigantirsi e divenire ingestibile, facendoci soffrire terribilmente. È importante soffermarsi un po’ a riflettere quando parliamo di Rinuncia. Dobbiamo sottolineare che per i tibetani ha un significato abbastanza diverso rispetto a quello che ha nelle lingue occidentali come l’italiano o l’inglese. Per gli occidentali dedicarsi alla Rinuncia equivale a comportarsi come dei veri e propri pazzi: si abbandona la famiglia, il lavoro, gli amici e tutto quanto. Secondo me, questa è una concezione errata della Rinuncia che ci porta fuori strada del nostro cammino spirituale. Per i tibetani, invece, la rinuncia viene intesa come comprensione del Samsara e del Nirvana, maturando contemporaneamente il desiderio di raggiungere la Liberazione. Infatti, la vera Rinuncia è la comprensione della realtà fenomenica, di come funziona, la comprensione delle sofferenze e, in un certo senso, la realizzazione dell’esistenza del Nirvana. Quando si realizza l’esistenza del Nirvana, solo allora ci si può impegnare nella pratica del Dharma perché si vuole raggiungere il Nirvana, la Liberazione. Quindi chi possiede la mente della Rinuncia ha una mente aperta che non è concentrata solo su se stessa. Pensate a certi cavalli che portano i paraocchi: possono vedere soltanto la strada che è dinnanzi a loro. La mente egoistica è una mente con i paraocchi, cioè una mente molto ristretta, limitata. Per permettere alla nostra mente di vedere tutto dobbiamo toglierle quei paraocchi. La Rinuncia, la Compassione e la Bodhicitta hanno la caratteristica di donare alla mente uno sguardo aperto e radioso. Soltanto in questo modo quel “me stesso” che ci crea tanti problemi perde di importanza, sino a svanire del tutto. Lo so. Vi parlo di queste cose quando io stesso trovo difficile possedere realmente una mente aperta. Ci metto tanto buon impegno e però mi rendo conto di quanto sia arduo. Ciononostante, quando maturo la convinzione che esiste lo spazio per una mente chiara, pacifica e amichevole, molti ostacoli nella pratica svaniscono facilmente. È importante, però, non avere fretta. Il muro delle difficoltà deve essere sbrecciato poco alla volta: prima ci si incunea in un piccolo foro poi, passo dopo passo, si va avanti con fiducia. L’Illuminazione è una mente completamente aperta, del tutto chiara. Bodhicitta è rendersi conto di poter raggiungere questo stato di mente risvegliata e avere il desiderio di conseguirla. Questa mente aperta, completamente illuminata, è fonte di ogni gioia e di benefici non solo per se stessi ma per tutti gli esseri viventi. Bisogna comprenderlo chiaramente, fare chiarezza dentro se stessi su questo punto. Senza questo tipo di motivazione è difficile impegnarsi nelle pratiche, nelle tecniche di meditazione, nelle Paramita. (continua)_._,_.___ (continua)
Posted on: Mon, 25 Nov 2013 08:10:07 +0000

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