Lutto nazionale. Davvero non vorrei parlare della tragedia che si - TopicsExpress



          

Lutto nazionale. Davvero non vorrei parlare della tragedia che si è consumata in queste ore al largo di Lampedusa. Non vorrei parlarne perché qualsiasi cosa si dica o si scriva a tal proposito è fatalmente sbagliata ed insufficiente. Oggi i giornali si domandano di chi è la colpa e, per il vero, si rispondono anche: nostra; credo che il pronome possessivo stia ad indicare la società occidentale ricca e grassa che resta indifferente di fronte alla sofferenza ed alla miseria del Terzo Mondo (sofferenza e miseria che costituiscono il propellente dei continui flussi migratori). Un bel modo di perpetuare il problema: riconoscere la propria responsabilità per liberarsi dal senso di colpa ed ancor prima dall’orrore che un fatto del genere inevitabilmente suscita e proclamare un bel lutto nazionale, perché sia ufficialmente chiaro a tutti che noi siamo solidali con questa umanità disperata. Ma che cosa proporresti di fare, potrebbe chiedermi qualcuno, non dico per risolvere la situazione, ma almeno per attenuarne un po’ gli effetti, per incidere almeno minimamente sul problema. Mi vien da rispondere: dire la verità. Anche questa volta udremo un coro: dal Papa al Presidente della Repubblica, dall’Unione Europea, dalle organizzazioni non governative, dagli estremisti come dai moderati della politica, dai sindacati, dagli ordini religiosi, perfino dagli industriali e dai banchieri perverrà un alto richiamo alla necessità di un cambio di rotta, di una svolta nella direzione della solidarietà. Avranno tutti la faccia compunta di chi tradisce la propria mestizia e qualcuno crederà persino in ciò che andrà affermando mentre qualcun altro non ci crederà affatto, ma si renderà conto che, in determinate circostanze, è d’obbligo proferire determinate asserzioni. I secondi – i pragmatici – mentiranno sapendo di mentire (e questo, in linea di massima, non è mai qualche cosa che possa condurre alla soluzione di alcunché: se si desidera risolvere un problema, per prima cosa è necessario individuarne con onestà le cause). I primi – gli idealisti – non renderanno un buon servizio alla loro causa, insistendo nell’immaginare una soluzione del tutto irrealistica: l’occidente non ha la capacità (economica, prima ancora che morale) di prendersi in carico quei quattro quinti della popolazione mondiale esclusi dallo sfruttamento delle risorse del pianeta. Pensare – con Gesù Cristo – che l’assetto mondiale sia suscettibile di essere radicalmente stravolto, pervenendo ad un’equa distribuzione della ricchezza (che, oltretutto, si tradurrebbe concretamente nella distribuzione della povertà), è del tutto illusorio – a prescindere dai pur legittimi interrogativi in ordine al fatto che sia poi pretendibile – e, dunque, non costituisce affatto l’indicazione di una soluzione, bensì il miglior modo di non far nulla. Qualcuno si spinge a sostenere che se non si riesce a distribuire la ricchezza, sarebbe comunque meglio distribuire la povertà, perché tanto corrisponderebbe almeno ad un ideale di giustizia e di equità: non entro neppure nel merito di un tale pensiero, limitandomi ad osservare che, per quanto etica possa apparire, questa soluzione non risolverebbe affatto il problema dell’umanità sofferente. Cominciamo a dircelo, che non siamo in grado di sostenere un onere tanto enorme e che, probabilmente, dopo esserci fatti due conti in tasca, non ne abbiamo neppure una gran voglia. E diciamoci anche che, tutto sommato, non siamo poi così condannabili per questo, perché l’egoismo, in natura, fa rima con sopravvivenza e perpetuazione della propria specie. Tutto questo anziché batterci ipocritamente il petto e recitare un farisaico mea culpa che, in realtà, serve soltanto a noi, per metabolizzare l’orrore. Quando avremo chiarito queste cose con noi stessi e saremo stati capaci di affermarle con forza e con dignità, senza farci opprimere da assurdi sensi di colpa, forse troveremo la strada per dare un contributo, modesto, nei limiti delle possibilità che ci sono date, ma concreto. Che non servirà a trasformare gli eritrei – per restare all’attualità – in svedesi o in californiani, ma probabilmente eviterà altre tragedie.
Posted on: Fri, 04 Oct 2013 07:41:53 +0000

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