Parte terza. La politica estera dell’Italia nell’estate del - TopicsExpress



          

Parte terza. La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 abbiamo per nulla cavato le castagne dal fuoco per gli altri, ma sono gli altri, e cioè i “cinque”, che le hanno cavate [le castagne] per noi di fronte agli americani, i quali risultano i più interessati a una nostra presa di posizione e ai quali possiamo presentarci, dicendo che la colpa di questa mancata presa di posizione non è nostra».81 Quindi, il governo italiano, secondo Zoppi, usciva da quella situazione perfettamente illeso anche «dal punto di vista della dignità» e poteva essere preso l’impegno di avviare conversazioni tra Roma e Washington. A questo punto, egli poteva anche dichiarare di essere d’accordo con Bevin, quando aveva detto che un governo democratico non poteva non tener conto dell’opinione pubblica. 82 A distanza di circa un mese, il segretario generale fece seguire un’altra lettera, che riportava la postilla apposta dal ministro Sforza sul rapporto di Quaroni sul patto occidentale, precisando che gli era stato restituito il giorno precedente. Tale sottolineatura era necessaria, perché la postilla conteneva una dichiarazione di Sforza, fatta in nome del governo italiano – e non si trattava certo della reazione individuale di Zoppi –, in cui il ministro, mentre polemizzava con Quaroni, manifestava apertamente quale fosse l’interesse italiano: «Il governo della repubblica è convinto che molto di più si può ottenere dalla presenza che non da poco simpatici mercanteggiamenti quali essi siano; ma è per lo meno altrettanto convinto che il problema non dipende da nostri contatti con Francia e Gran Bretagna, ma cogli Stati Uniti, ed essi soli. Aggiungo che ella può essere sicuro che – contrariamente a quanto può esserle apparso [...] – il problema supremo è per me oggi la 81 82 Ibid. Cfr. ibid. 251Teodolinda Pascali difesa eventuale del territorio nazionale, e anche qui solo l’America conta: che il trattato o altro non è in confronto che secondario». 83 Oramai un indirizzo di politica estera italiana si definiva, anche se espresso in termini approssimativi da Roma e dagli ambasciatori, e forse anche con delle forzature: la ricerca della garanzia americana per la sicurezza dell’Italia.84 Tarchiani, rientrato a Washington a fine maggio, prese i primi contatti con esponenti del dipartimento di Stato americano, per parlare, in virtù delle istruzioni ricevute a Roma, dello stato delle relazioni tra Italia e Stati Uniti e dei problemi della sicurezza italiana. 85 L’11 giugno 1948, il senato statunitense approvò il progetto di risoluzione preparato dal 83 Ibid. A questo proposito, si legga la nota di Quaroni del 1° luglio 1948 – in risposta alla lettera di Zoppi del 5 giugno 1948, quando non aveva ancora ricevuto la lettera del 1° luglio con la postilla di Sforza – in cui affermava di mantenere le opinioni espresse nel rapporto del 2 giugno sul Patto di Bruxelles, che tanto aveva fatto arrabbiare Zoppi, e di aver seguito le sue istruzioni nei colloqui con Chauvel e con Couve de Mourville. Ma – e qui vi era la sua iniziativa – aveva ritenuto opportuno «[...] marcare ai francesi che noi parliamo con Washington – e che quindi la decisione non è nelle loro mani [dei francesi] – e che curiamo i nostri rapporti con la Grecia e la Turchia. La loro politica nei nostri riguardi, in questo come in altri affari, non mi sembra tanto rettilinea quanto essi vorrebbero dire: è bene quindi far loro vedere che poi non stiamo al cento per cento colle mani in mano in attesa della manna che ci piova dal cielo da Parigi». Quaroni a Sforza, Parigi, 1° luglio 1948 (per. il 7), R. 847/12036/2454, in MAE, DDI, vol. I, cit., p. 247. 85 Cfr. Tarchiani a Sforza, Washington, 5 giugno 1948 (per. il 15), R. SEGRETO 5485/2104, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 126-127. Tarchiani riferiva che il colloquio avuto con Hickerson, direttore generale degli Affari Politici del dipartimento di Stato, era stato la prima occasione «[...] in cui si è parlato di garanzie e aiuti militari da dare al sistema protettivo dell’Europa occidentale ed eventualmente all’Italia». Gli aveva fatto presente che era necessario che gli Stati Uniti tenessero conto della condizione di debolezza in cui l’Italia si trovava per la sua collocazione geografica, di “porta aperta” tra il sistema difensivo greco-turco-iraniano e il costituendo sistema occidentale “a cinque”. Hickerson aveva risposto che gli Stati Uniti, in considerazione della posizione europea e mediterranea dell’Italia nella difesa degli ideali e degli interessi comuni, avrebbero esteso all’Italia tutte le garanzie e gli aiuti che sarebbero stati accordati ai paesi dell’Unione occidentale. In quei giorni, a Washington erano in corso di definizione le relazioni giuridiche e pratiche degli Stati Uniti con “i cinque”, per cui all’Italia conveniva aspettare. 84 252La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 senatore Vandenderg, come l’ambasciatore comunicò a Roma il giorno successivo.86 In Europa, gli eventi precipitarono e la guerra fredda raggiunse l’apice nell’estate del 1948. Il 24 giugno, a seguito della riforma monetaria decisa unilateralmente dalle potenze occidentali, l’Unione Sovietica bloccò gli accessi ai settori di Berlino occupati dagli americani, inglesi e francesi e furono tagliati tutti i collegamenti stradali e ferroviari che attraversavano il territorio tedesco controllato dai russi; il giorno dopo, iniziò un ponte aereo degli occidentali per aggirare il blocco. Il 28 giugno, il partito comunista jugoslavo fu espulso dal Cominform con l’accusa di ostilità nei riguardi dell’Unione Sovietica. Questi eventi sbloccarono la situazione di stallo in cui erano le relazioni degli Stati Uniti con le potenze occidentali. Il 6 luglio 1948 iniziarono a Washington gli “Exploratory Talks of Security”, continuati poi per tutta l’estate,87 e si costituì un’alleanza extraeuropea con un sistema difensivo così ampio da comprendere i paesi democratici dell’Europa occidentale, gli Stati Uniti e il Canada. Fu Tarchiani a informare Sforza, con due telegrammi, dell’avvio delle conversazioni 86 Il 20 maggio l’incaricato d’affari a Washington, Egidio Ortona, che in quel momento sostituiva Tarchiani, informò Sforza che «il noto progetto di risoluzione preparato da Vandenberg [...], inteso nello stesso tempo a venire incontro alla esigenza di un rafforzamento delle NU ed a creare la base per l’auspicata garanzia e assistenza americana ai paesi democratici dell’Europa occidentale [...]» era stato approvato dalla commissione senatoriale per gli Affari Esteri. Ortona a Sforza, Washington, 20 maggio 1948 (per. il 29), TELESPR.4904/1862, in MAE, DDI, vol. I, cit., p. 48; Ortona a Sforza, Washington, 12 maggio 1948 ore 12,40 (per. ore 3 del 13), T. 6199/391, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 19-20. Per la risoluzione Vandenberg, cfr. VARSORI, Il patto di Bruxelles, cit., p. 154. 87 Cfr. PASTORELLI, La politica estera italiana, cit., pp. 220-227. Sugli “Exploratory Talks on Security”, cfr. VARSORI, Il patto di Bruxelles, cit., p. 155-159. In luglio si creò una situazione di stallo nelle conversazioni e le delegazioni affidarono a un gruppo di esperti – il “Working Group” – il compito di esaminare le caratteristiche della minaccia sovietica e il tipo di risposta occidentale a tale pericolo. Agli inizi di settembre fu redatto un memorandum da sottoporre all’attenzione dei governi partecipanti. 253Teodolinda Pascali preliminari circa l’assistenza militare nord-americana ai paesi dell’Unione occidentale. La conclusione del secondo telegramma pareva quasi predittiva della scelta che l’Italia avrebbe compiuto: «A tale riguardo rilevo che dipartimento mostra non dubitare affatto che a tempo necessario Italia farà parte integrante schieramento potenze occidentali così come già partecipa OECE e gode benefici piano Marshall».88 A metà luglio, in una situazione interna resa ancora più problematica dall’attentato a Togliatti il 14 luglio, prese avvio una terza iniziativa di Palazzo Chigi nella ricerca di una linea di politica estera. A seguito delle valutazioni espresse nei rapporti di Tarchiani, Gallarati Scotti e Quaroni – che insistevano per l’adesione dell’Italia all’Unione occidentale in tempi brevi e senza condizioni – e di Brosio (che consigliava una posizione di neutralità), Sforza inviò, il 14 luglio 1948, il telespresso 1124/C. Segr. Pol. alle ambasciate a Londra, Mosca, Parigi e Washington, invitando i diplomatici a proseguire, insieme al ministero, l’esame della situazione internazionale dell’Italia e degli orientamenti della politica estera italiana, considerandone nel complesso gli aspetti di politica interna ed estera. 89 Il dibattito, già molto partecipato con i precedenti rapporti, si ampliò nel corso dell’estate del 1948 per il contenuto circostanziato di quest’ultima circolare, che riassumeva le criticità della situazione italiana. La pregiudiziale relativa all’adesione italiana al patto pareva essere stata messa da parte; l’ipotesi di una posizione di neutralità in caso di conflitto risultava superata, di fatto e 88 Tarchiani a Sforza, Washington, 10 luglio 1948, ore 19 (per. ore 9 dell’11), T. S.N.D. 9232/547, in MAE, DDI, vol. I, cit., p. 290. Cfr. anche Tarchiani a Sforza, Washington, 6 luglio 1948, ore 24 (per. ore 13,30 del 7), T. 8997/539, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 268-269. A questo proposito, si veda anche A. TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1955, pp. 146-147; e TOSCANO, Appunti, cit., pp. 36-37. 89 Cfr. Sforza alle ambasciate a Londra, Mosca, Parigi e Washington, Roma, 14 luglio 1948, Telespr. 1124/C. Segr. Pol., in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 313-316. 254La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 di diritto; l’aspetto più rilevante della questione era quello militare perché l’Italia non aveva possibilità di difesa per le condizioni delle forze armate italiane e per la posizione geografica della penisola, che faceva «[...] dell’Italia, fra tutti i paesi che dovessero partecipare al patto occidentale e ad eccezione della sola Austria, quello più direttamente a contatto con il mondo orientale e quindi più esposto ad una ipotetica aggressione proveniente dall’Est [...]».90 Poiché ciò preoccupava gli ambienti militari americani, in caso di conflitto, la difesa in Europa sarebbe stata concentrata «[...] ad ovest della penisola italiana (salvo il tentativo di mantenere talune basi e capisaldi nelle isole) e in Nord Africa. Ed anche le conversazioni in corso a Washington per concretare le modalità di tale limitata difesa nonché il concorso americano ad essa, procedono assai lentamente». 91 Tuttavia, Sforza raccomandava di riferire le nuove direttive solo in conversazioni confidenziali e a titolo personale, per sfatare l’offensivo giudizio sull’atteggiamento italiano. Vi era l’urgenza di conoscere il pensiero dei diplomatici alla luce degli avvenimenti più recenti, mentre si continuava con estrema cautela e nel chiuso delle sedi diplomatiche. Nei telespressi pervenuti a Palazzo Chigi nell’estate del 1948, in risposta alle nuove istruzioni di Sforza, Brosio confermò la tesi sulla “neutralità disarmata” e sulla solidarietà spirituale ed economica dell’Italia al piano Marshall. Gallarati Scotti, Tarchiani e Quaroni continuarono a insistere per l’adesione dell’Italia all’Unione occidentale con gli argomenti di sempre e molto interessati agli sviluppi di un’organizzazione militare dell’Europa occidentale e delle conversazioni preliminari di Washington. Intanto, il 90 91 Ibid. Ibid. 255Teodolinda Pascali governo italiano continuava a mantenere un atteggiamento d’incertezza e di attesa nella sua politica estera.92 Ma, in tutti i documenti, era presente un tema: la garanzia americana, ossia l’impegno militare degli Stati Uniti per la sicurezza dell’Italia.93 Il problema del rapporto dell’Italia con gli Stati Uniti era analizzato, discusso, argomentato, dalla diplomazia italiana che, ad eccezione di Brosio, riteneva che la “garanzia americana” fosse l’obiettivo verso cui orientare la politica estera italiana; per cui, esso andava approfondito perché la sua fattibilità comportava modi, tempi e mezzi differenti e perché era il solo percorso praticabile dal governo italiano nell’interesse del paese. Gallarati Scotti, esaminando il contesto internazionale della guerra fredda,94 propose di perseguire la sicurezza dell’Italia attraverso l’Unione occidentale, in cui il rapporto con gli Stati Uniti sarebbe stato mediato dalla Gran Bretagna.95 Anche Tarchiani, in un documento di fine luglio, consigliò di associare l’Italia al patto – avendone la possibilità sin da quel momento e senza attendere «una situazione di materiale necessità» – per iniziare a definire la sicurezza del paese attraverso l’Unione occidentale, pur condividendo le conclusioni sulla “neutralità illusoria” e le ragioni di prudenza e di dignità della posizione 92 Cfr. Quaroni a Sforza, Parigi, 15 luglio 1948 (per. il 17), T. S.N.D. per corriere 9509- 9510/0181-0182, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 317-318; Gallarati Scotti a Sforza, Londra, 27 luglio 1948 (per. il 31), Telespr. Segr. 3911/1616, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 361-363. 93 Sulla priorità del rapporto con gli Stati Uniti e sulla garanzia americana, cfr. VIGEZZI, La politica estera italiana, cit., p. 38; Zoppi a Tarchiani, Roma, 4 maggio 1948, cit., pp. 797-800; FORMIGONI, Il mondo cattolico, cit., p. 227; Zoppi a Quaroni, Roma, 1 luglio 1948, cit., p. 239. 94 Cfr. Gallarati Scotti a Sforza, Londra, 20 luglio 1948, Telespr. segr. 3801/157, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 331-334. 95 Cfr. Gallarati Scotti a Sforza, Londra, 10 agosto 1948, R. segreto 4117/1707, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 447-451. La penisola italiana rientrava nella strategia difensiva del Medio Oriente e del Mediterraneo non solo per gli Stati Uniti, ma molto più per la Gran Bretagna. 256La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 italiana verso gli atteggiamenti di alcuni paesi occidentali. 96 La replica di Quaroni alla circolare di Sforza del 14 luglio evidenziò che l’Italia, come singolo Stato, non poteva chiedere agli americani garanzia e armamenti – in precedenza, richiesti grazie alla dichiarazione Truman – per la sua situazione interna, ma solo tramite l’Unione occidentale, e quindi la sua adesione non era da considerarsi come una semplice adesione a un trattato di alleanza con Francia e d’Inghilterra. Una politica di neutralità era impraticabile – anche se il paese era stanco della guerra ed era diffusa una propensione verso la neutralità – perché il patto occidentale e la sua estensione erano strettamente connessi al piano Marshall, e, quindi, l’adesione spirituale ed economica al piano, suggerita da Brosio, era un’illusione. L’Italia doveva chiarire i dubbi sulla sua politica estera, interpretata come un atteggiamento equivoco per conservare libertà di azione per una politica di altalena tra i due sistemi contrapposti, e dichiarare l’adesione al patto occidentale senza condizioni, non pubblicamente, ma per via diplomatica, a Washington, a Londra e Parigi.97 Quaroni, in termini chiari, scriveva: «Sono perfettamente cosciente di esprimere con questo un’opinione che non è affatto gradita al mio governo: ma la mia coscienza di funzionario, nel senso del dovere che ho verso il mio paese, mi impone di farlo».98 96 Sui motivi contingenti considerati da Tarchiani, cfr. Tarchiani a Sforza, Washington, 27 luglio 1948, R. segreto 7185/271, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 364-368. 97 Cfr. Quaroni a Sforza, Parigi, 28 luglio 1948, R. 925/13634/2821, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 375-381. 98 Ibid. 257Teodolinda Pascali Il 4 agosto 1948,99 Sforza, apprezzando la sincerità e la franchezza di Quaroni (in fondo, era quello che il governo italiano si aspettava dai suoi ambasciatori), sostenne che la sua risposta era la stessa che aveva inviato a Tarchiani il 27 luglio,100 trattandosi del medesimo contenuto. Riconosceva che quanto esposto nei rapporti corrispondeva alla verità, ma ricordava che purtroppo in Italia non riusciva ancora a fissarsi, a stabilizzarsi «una atmosfera nazionale», di cui gli uomini di governo dovevano tener conto nel definire un orientamento di politica estera. Poi, i toni sembravano diventare polemici, anche se l’obiettivo da raggiungere era lo stesso – la garanzia americana, il massimo possibile aiuto americano per il riarmo dell’Italia – ma erano differenti i mezzi, i tempi e i modi di attuazione proposti. In una lettera indirizzata a Gallarati Scotti, il 4 agosto 1948, Sforza scriveva che l’atteggiamento italiano non nascondeva alcun contatto con Mosca, perché un cambiamento in favore dei sovietici avrebbe significato la scomparsa fisica di De Gasperi, di Sforza e di Scelba, e che l’Italia – anche senza 99 Cfr. Sforza a Quaroni, Roma, 4 agosto 1948, L. 1207 SEGR. POL., in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 425-426. 100 Cfr. T.s.n.d. personale 8591/435 del 27 luglio 1948, cit. in Tarchiani a Sforza, Washington, 12 luglio 1948 (per. il 27), L. segreta 6858/2540, in MAE, DDI, vol. I, cit., p. 306. Nel telespresso del 27 luglio, Sforza – in risposta a una lettera segreta di Tarchiani del 12 luglio che, a sua volta, commentava il telegramma urgente 8014/C. del 10 luglio di Sforza, diretto anche alle ambasciate a Londra e Parigi – scriveva: «Quanto mi espone nella sua lettera personale del 12 risponde anche secondo me alla verità ma non è tutta la verità. Certe forme di linguaggio e certe decisioni non dipendono solo dagli uomini di Stato, ma ben più da una atmosfera nazionale che finora non si fissa e ciò niente affatto per amore di una “equidistanza” in cui nessun crede. Gli eventi e, spero, la saggezza degli alleati potranno contribuire a creare una situazione più dinamica e feconda. Ciò premesso approvo che ella abbia tenuto linguaggio descritto a pagina 11 della sua lettera». Tutto ciò fu ripetuto a Quaroni (cfr. Sforza a Quaroni, Roma, 4 agosto 1948, cit., pp. 425-426) e a Gallarati Scotti (cfr. Sforza a Gallarati Scotti, Londra, 4 agosto 1948, cit., pp. 426-427) come risposta alle loro reazioni al telegramma urgente 8014/C. del 10 luglio, inviato a Washington, a Londra e a Parigi, in cui il ministro «[...] aveva adoperato frasi e formule che si prestavano benissimo a rafforzare l’equivoco e le impressioni negative ai nostri riguardi», come ricordava Tarchiani nelle sue memorie. Tarchiani, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., p. 155. 258La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 aderire al patto – in caso di conflitto, sarebbe stata accanto a Londra, essendo impensabili una posizione di “equidistanza” e una di neutralità.101 Il 30 luglio 1948, Brosio scrisse a Sforza di ritenere chiuso “l’approfondimento” sulla tesi della neutralità e di escludere di poter procedere nel suo lavoro secondo le direttive del documento. 102 Consigliava di non assumere prese di posizione affrettate nei confronti degli avvenimenti in Iugoslavia, per la presenza dei sovietici ai confini italiani e di truppe anglo-americane in Venezia Giulia. Il discorso di Tarchiani – escludente una politica di neutralità per l’Italia – era unilaterale e non poteva persuadere; di conseguenza, si sollevavano forti perplessità sulla fattibilità della garanzia americana per l’Italia e, quindi, solo una neutralità armata era una politica concepibile e ne spiegava le ragioni. 103 L’esame della posizione dell’Italia nell’ambito internazionale fu condotto “esclusivamente” dal punto di vista tecnico-militare in un telespresso del 30 luglio inviato dal capo di Stato maggiore, Trezzani, a Zoppi. Una neutralità 101 Cfr. Sforza a Gallarati Scotti, Roma, 4 agosto 1948, cit., pp. 426-427; Gallarati Scotti a Sforza, Londra, 10 agosto 1948, L. riservata personale, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 452-453. 102 Cfr. Brosio a Sforza, Mosca, 30 luglio 1948, L. 1493/355, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 388-392. Si trattava del dibattito sull’ipotesi di una posizione neutrale per l’Italia, che aveva preso avvio dalla sua lettera inviata a Palazzo Chigi il 28 aprile 1948. 103 Cfr. ibid., pp. 389-391. Secondo Brosio, la discussione sulla neutralità era un aspetto «[...] della questione concreta che la realtà ci ha sottoposto, allorché sei potenze europee hanno creato la loro unione occidentale senza sognare di invitarci, ed allorché, oggi, quelle sei nazioni medesime stanno negoziando con gli Stati Uniti e col Canada per farsi garantire od integrare quella unione – sistema atlantico, ricorda esattamente l’ambasciatore Tarchiani – nuovamente senza ricordarsi di noi». Certamente gli Stati Uniti avevano un interesse a sottrarre l’Italia «[...] all’attrazione della zona sovietica, e questo spiega i loro aiuti ERP, spiega la loro attenzione alla nostra politica internazionale ed elettorale, ma non sembrano spingere tale interesse fino a fare dell’Italia un pilastro indispensabile del loro sistema strategico, tale da dover essere guarnito e difeso a fondo e in ogni caso, con impegno di forze rilevanti». Una posizione di neutralità per l’Italia era «[...] logica, e conforme agli interessi e alle stesse ragionevoli esigenze americane: giacché o essi ci possono garantire una piena difesa, uguale a quella che senza dubbio sarebbero disposti ad assicurare alla Germania occidentale o alla Francia, oppure non possono negarci il tentativo di rimanere fuori dal conflitto». 259Teodolinda Pascali disarmata era considerata “un assurdo”; una neutralità armata sarebbe stata possibile solo con i mezzi materiali forniti dal blocco occidentale interessato alla nostra difesa; altrimenti all’Italia non restava che far parte integrante di esso o affidare il suo avvenire alla fortuna. E, comunque, in caso di «una conflagrazione generale», sarebbe rientrata necessariamente nella strategia di quel settore difensivo occidentale che si riteneva andasse dal Mare del Nord all’Egeo. Quindi, ci sarebbe stato un interesse diretto «delle nazioni occidentali e soprattutto dell’America e dell’Inghilterra» alla difesa dell’Italia.104 Anche Zoppi, a distanza di qualche anno, esaminò la posizione dell’Italia – rimasta fuori dal patto, neutrale e disarmata – nell’ipotesi di un conflitto.105 Il suo destino sarebbe dipeso esclusivamente dall’interesse dei paesi avversari: sulle intenzioni dei russi non era possibile fare previsioni; su quelle degli Stati Uniti si sarebbe potuto accertare sino a che punto l’Italia fosse stata inclusa nella zona strategica di loro interesse. A suo avviso, una formula «atta a risolvere il problema», tenendo conto di quanto espresso dalle ambasciate e dal ministero nel corso dell’estate, si sarebbe potuta trovare nel fatto che la possibilità di un’effettiva difesa dell’Italia sarebbe diventata maggiore col passare del tempo. Dalle informazioni pervenute a Palazzo Chigi, gli Stati Uniti stavano procedendo al loro riarmo e gli eventuali aiuti americani ai paesi del Patto di Bruxelles erano fermi alla dichiarazione Vandenberg. Il primo obiettivo da difendere fuori dalle frontiere americane era la zona della Groenlandia, Irlanda e Islanda. In un 104 Trezzani a Zoppi, Roma, 30 luglio 1948, Telespr. segreto personale 201, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 395-398. L’oggetto del documento era “Osservazioni dello Stato maggiore della Difesa sulla situazione militare italiana in rapporto alla situazione internazionale”. L’aspetto militare-strategico della questione dell’adesione italiana al Patto di Bruxelles era rilevante, come aveva scritto Sforza agli ambasciatori, per poter proseguire l’esame della situazione internazionale e degli orientamenti della politica estera italiana. 105 Cfr. Zoppi a Sforza, Roma, luglio ... 1948, Appunto, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 403-406. 260La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 tempo successivo, la difesa dell’Europa sarebbe stata estesa «[...] dall’estremo occidente europeo e Nord Africa, via via verso est a seconda dei progressi del riarmo americano e delle disponibilità offerte da tale riarmo. In queste condizioni è da ritenersi che l’Italia non potrebbe venir compresa nell’area di una effettiva difesa americana che in un secondo o terzo tempo».106 Ma, forse, sarebbe stato più conveniente per gli americani, sino a quando l’Italia non avesse fatto parte del loro piano strategico, provvedere ad armarla, restando non belligerante, affinché si proteggesse da sola da un’aggressione dall’Est, essendo la penisola italiana «un’invitante porta aperta». Se fosse stata attaccata, si sarebbe difesa, diventando automaticamente loro alleata. Tali considerazioni portavano direttamente alla «garanzia americana». Nel documento, Zoppi aveva considerato – oltre a tutti i temi, già noti, sulla posizione dell’Italia nel sistema della guerra fredda (il patto occidentale, la garanzia statunitense, la neutralità armata) – anche l’opportunità di sviluppare l’idea della “Federazione europea”, annunciata dal ministro Sforza a Perugia.107 Nell’estate del 1948, il governo italiano approfondì, in un memorandum, la possibilità di concordare con i paesi europei “una formula” per costituire un’unione o federazione europea, tenendo conto di un’eguale iniziativa avviata dai francesi. 108 Sforza inviò a Quaroni il memorandum da consegnare al ministro Schuman, in cui si proponeva di avviare un’iniziativa «[...] sulle basi dell’esperienze che si 106 Ibid., pp. 404-405. Cfr. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 68-69. 108 Cfr. Quaroni a Sforza, Parigi, 19 agosto 1948, Telespr. 996/14950/3036, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 495-496. Il governo francese aveva approvato un progetto di costituzione di “una assemblea europea”, inviandolo, per uno studio, ai governi del patto di Bruxelles e ai paesi che partecipavano al piano Marshall. 107 261Teodolinda Pascali stanno facendo all’OECE»,109 che avrebbe avuto certamente l’adesione dei paesi dell’Europa del Nord, perché l’azione veniva svolta in una organizzazione che non aveva alcun carattere militare. Se l’Unione avesse preso avvio a Parigi, all’OECE, non avrebbe certamente escluso «[...] l’esistenza nel suo quadro di un’unione militare come quella di Bruxelles, cui è anzi augurabile che altri paesi possano aggiungersi, fino al giorno in cui la generale Unione Europea conglobi e riunisca tutti gli sforzi consacrati alla difesa della pace e della democrazia». 110 In sostanza, il progetto italiano di “Federazione europea” collegato all’OECE, e quindi al piano Marshall, avrebbe rappresentato, per l’Italia, un’alternativa all’adesione all’Unione occidentale, accettabile dall’opinione pubblica, evitando “le strettoie” e le difficoltà insite nel patto di Bruxelles. E se fossero seguiti il consenso delle potenze europee e l’approvazione americana, l’Italia avrebbe mantenuto i rapporti con esse e con gli Stati Uniti, senza dover chiedere di far parte di un’alleanza già costituita e alla quale non era stata mai invitata.111 Ma l’impegno del governo italiano di perseguire questa linea di politica estera non ebbe sviluppi. Tra i documenti pervenuti a Sforza nell’estate del 1948 vi era il telespresso 1895/665 del 24 agosto 1948 dell’ambasciatore presso la Santa Sede, Meli Lupi di Soragna, sul colloquio con il sostituto della segreteria di Stato, mons. Tardini. L’alto prelato esprimeva la speranza che l’Italia continuasse a rimanere “formalmente” sul terreno della neutralità, in una 109 Sforza a Quaroni, Roma, 24 agosto 1948, Telespr. 3/828, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 515- 517. 110 Ibid. 111 Per le ragioni del memorandum, cfr. Quaroni a Sforza, Parigi, 4 ottobre 1948, R. 1062/17185/3570, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 707-708. 262La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 posizione quasi di equidistanza, perché, per gli anglo-americani, era impossibile difenderla.112 Ma, in realtà, all’interno della diplomazia vaticana esistevano forti divergenze sulla politica estera italiana – pare che la tesi neutralista di mons. Tardini non fosse condivisa dal pontefice Pio XII – e si sarebbe affermata, alla fine del 1948, la linea di mons. Montini, fiduciosa nella politica di vicinanza al sistema difensivo occidentale condotta da De Gasperi.113 E solo quando, nell’autunno del 1948, furono evidenti l’impegno americano e la “dimensione” atlantica dell’alleanza difensiva che stava nascendo, «[...] parallelamente cessarono le esitazioni della Santa Sede e la parentesi dell’incertezza si chiuse, senza lasciare spiragli al dubbio». 114 Il rapporto dell’ambasciatore a Parigi, Quaroni, del 26 agosto 1948, fu l’ultimo pervenuto a Palazzo Chigi nel mese di agosto e pareva chiudere la fase del dibattito avviato dalla circolare del 14 luglio. Rispondeva con un tono pacato, anche se polemico, al rimprovero rivoltogli di non rendersi conto «dello stato dell’opinione pubblica italiana» e del fatto che di questa “atmosfera” gli uomini di Stato italiani avrebbero dovuto tenere conto, sottolineando che egli era stato sempre al corrente delle tendenze dell’opinione pubblica, perché nell’ambasciata italiana a Parigi ogni giorno giungeva gente di ogni categoria dall’Italia, cosa che non accadeva nelle altre sedi diplomatiche.115 Uno dei difetti del ministero degli Esteri era quello di «[...] non essere mai riuscito ad escogitare un sistema che permettesse agli agenti all’estero di essere veramente al corrente non solo di 112 Cfr. Meli Lupi di Soragna a Sforza, Roma, 24 agosto 1948, Telespr. 1895/665, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 518-519. 113 Sul tema, cfr. FORMIGONI, Il mondo cattolico, cit., pp. 200-203. 114 DI NOLFO, La guerra fredda e l’Italia, cit., p. 506. 115 Cfr. Quaroni a Sforza, Parigi, 26 agosto 1948, R. 1020/15396/3135, in MAE, DDI, vol. I, cit. pp. 528-532. 263Teodolinda Pascali quello che accade, ma anche di quello che si pensa e si dice in Italia». Non ne aveva mai fatto menzione nei suoi rapporti perché riteneva suo dovere «[...] in primo luogo, riferirsi ad una situazione internazionale di fatto di cui come agente all’estero, era mio dovere riferire esattamente al mio governo».116 Quaroni, in realtà, stava lamentando a Sforza un’assenza di comunicazione tra gli ambasciatori e il ministero degli Affari Esteri. 6. Il telespresso segreto 1284/C. Segr. Pol. del 31 agosto 1948 e la scelta atlantica Fu il ministro Sforza, a fine agosto, a considerare conclusa l’analisi della posizione internazionale dell’Italia e degli orientamenti di politica estera, avviata all’indomani delle elezioni del 18 aprile 1948 dal ministero degli Affari Esteri e dagli ambasciatori italiani nelle principali capitali per definire una linea di condotta nell’interesse del paese, con il telespresso segreto 1284/C. Segr. Pol. del 31 agosto 1948.117 Il telespresso costituisce, come ha scritto Vigezzi, una «sorta di riassunto» di tutte le tendenze della politica estera italiana, che furono discusse e ridiscusse nell’estate del 1948 nei telespressi del ministro degli Affari Esteri, nei rapporti degli ambasciatori a Londra, Mosca, Parigi e Washington e del capo di Stato maggiore;118 è un documento riassuntivo «[...] che, per tutta conclusione, Sforza rielabora a fine agosto, che invia ai suoi collaboratori e allo Stato maggiore, e che a torto è stato abbastanza trascurato sin qui. [...] Il rapporto, abbastanza ampio, riconsidera tutti gli 116 Ibid. Cfr. Sforza alle ambasciate a Londra, Roma, 31 agosto 1948, cit., pp. 547-549. 118 VIGEZZI, De Gasperi, Sforza, cit., p. 21. 117 264La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 aspetti e segna, infine, l’avvio, seppure un po’ circospetto, delle conversazioni a Washington in tema di difesa e di sicurezza del paese». 119 La lettura della corrispondenza ministeriale, pervenuta da aprile sino alla fine di agosto, ha consentito di conoscere come tutti gli orientamenti, le tendenze, le prospettive, le utopie per una linea di politica estera, esistenti nella diplomazia, nella vita politica e nell’opinione pubblica italiane, venissero approfondititi, messi in discussione, approvati o respinti attraverso uno scambio di rapporti, lettere, telespressi, segreti e non, redatti dal ministro Sforza, dagli alti burocrati del ministero – Zoppi e Guidotti –, dagli ambasciatori Brosio, Gallarati Scotti, Quaroni, Tarchiani, dal capo di Stato maggiore Trezzani e da altri esponenti degli ambienti politici e diplomatici.120 Riportiamo l’incipit del telespresso del 31 agosto, il cui tono declamatorio sottolinea l’importanza del suo contenuto: «Questo ministero, esaminate le considerazioni svolte nei precedenti rapporti dalle ambasciate a Washington, Londra, Parigi e Mosca e dallo Stato maggiore generale, e tenute presenti anche le osservazioni formulate nel proprio telespresso del 14 luglio, ritiene di potere – nel momento attuale – fissare come segue il proprio pensiero sull’argomento in oggetto». 121 L’oggetto del documento era “Italia e patto occidentale”. Il tema centrale, o meglio, il problema fondamentale della politica estera italiana, anche dopo il risultato delle elezioni di aprile del 1948, era sempre quello della posizione dell’Italia verso l’Unione occidentale, costituita nel marzo 1948, con le criticità 119 Ibid. Su tale argomento, cfr. buona parte del vol. VII, cit. (in particolare, pp. 628-819), e tutto il vol. I, cit., in MAE, DDI. 121 Sforza alle ambasciate a Londra, Roma, 31 agosto 1948, cit., p. 547. 120 265Teodolinda Pascali conseguenti a una scelta di adesione o meno. Sin dal primo momento, la questione era stata esaminata sotto tutti gli aspetti morali, politici, economici e militari, che avrebbe potuto presentare nella politica interna ed estera del paese; pertanto, le soluzioni proposte erano state diverse e contrastanti. Dall’analisi svolta era emerso in modo chiaro che l’aspetto più importante era di carattere politico-militare, poiché il patto di Bruxelles era un’alleanza militare. E, di conseguenza, il problema riguardava il rapporto tra l’appartenenza o meno dell’Italia al patto e le possibilità di difesa del territorio nazionale. Tra difficoltà, dubbi e incertezze, i responsabili della politica estera italiana lavorarono per definire un indirizzo di politica estera con la preoccupazione di salvaguardare il paese da nuove calamità. Del resto, Sforza, nella circolare del 14 luglio, aveva sottolineato che l’Italia – a causa della posizione geografica e della situazione disastrosa delle forze armate – non aveva possibilità di difendersi e, quindi, in queste condizioni, non si poteva chiederle «[...] di aderire a cuor leggero ad un determinato schieramento che potrebbe maggiormente esporla, pur lasciandola senza possibilità di difesa». 122 Sarebbe stato opportuno, dunque, chiarire questo concetto ai governi occidentali che reputavano l’atteggiamento italiano non sincero e ambiguo. Nell’ottobre del 1948, Sforza spiegherà a Tarchiani che la ragione delle istruzioni contenute nel documento di fine agosto si trovava nella preoccupazione che stava dietro le perplessità manifestate sia dall’opinione pubblica, con le correnti di centro della Democrazia Cristiana e quelle di centrosinistra dei gruppi socialisti, sia dal governo: «Si è assicurato il governo che in caso di nostro schieramento politico-militare con l’Occidente, il nostro paese sarà 122 Tarchiani a De Gasperi, Roma, 14 luglio 1948, Telespr. 1124/C. Segr. Pol., cit., p. 315. 266La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 effettivamente difeso? [...] Ed è perciò che abbiamo considerato come esigenze preliminari i sondaggi di carattere militare».123 Il telespresso del 31 agosto del 1948 chiudeva una fase del processo formativo della politica estera italiana, da maggio ad agosto, quella dei sondaggi, dei colloqui, delle conversazioni confidenziali, dell’atteggiamento incerto e ambiguo, che avevano determinato uno stallo nell’azione di politica estera dell’Italia, molto pericoloso per il paese. Nello stesso tempo, ne apriva un’altra, quella in cui veniva fissata una linea di politica estera, necessaria per ricollocare l’Italia democratica nella vita internazionale, superando ogni ipotesi di neutralità o isolamento. Era la fase in cui il governo italiano decideva di abbandonare quel “gioco di pendolo” – che aveva connotato la sua posizione di fronte alle potenze europee occidentali e che tanto aveva irritato i diplomatici italiani e i governi occidentali – e di operare una scelta al fine di assicurare all’Italia una possibilità di difesa, in un mondo in cui la guerra fredda pareva terminare per lasciare il posto ad una guerra totale. Nel documento, Sforza esaminava le possibilità di difesa che potevano derivare dall’appartenenza o meno dell’Italia all’Unione occidentale in due situazioni differenti, mentre sullo sfondo rimaneva la possibilità soltanto teorica per il paese di salvarsi con un atteggiamento di “neutralità disarmata”. L’ipotesi di un conflitto immediato non avrebbe portato vantaggi all’Italia rispetto ai paesi dell’Unione occidentale perché, forse, la sua non appartenenza al patto avrebbe consentito una teorica posizione di neutralità. La situazione italiana sarebbe stata completamente diversa nel 123 Sforza a Tarchiani, Roma, 19 ottobre 1948, L. 1454 Segr. Pol., in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 788-789. 267Teodolinda Pascali caso di un conflitto futuro, che si sarebbe presentato «[...] fra qualche anno, quando cioè l’America avrà terminato il proprio riarmo e iniziato quello dell’Unione occidentale. A quell’epoca, la differenza tra i paesi dell’Unione occidentale e quelli che ne saranno rimasti fuori sarà più sostanziale». 124 I primi sarebbero stati coinvolti “automaticamente” in un conflitto, ma altrettanto garantiti in campo militare e diplomatico. Gli altri sarebbero forse anche rimasti in una situazione di neutralità disarmata se i contendenti del conflitto non avessero manifestato un interesse strategico per possibili basi nella penisola italiana, che tuttavia sia gli Stati Uniti sia l’Unione Sovietica avrebbero potuto esprimere. L’unica certezza, per Sforza, era l’impossibilità per l’Italia di assicurare una politica di neutralità «a priori al cento per cento». 125 Il nodo da sciogliere era, dunque, quello di una concreta difesa militare per l’Italia e, quindi, occorreva «[...] giudicare sino a qual punto la fiducia o meglio la speranza di poter conservare tale neutralità possa indurre ad astenerci dall’aderire a raggruppamenti politici, i quali ci esporrebbero bensì ad entrare automaticamente in conflitto, ma ci offrirebbero al tempo stesso la possibilità di una effettiva difesa, che in caso diverso ci verrebbe a mancare. Questa possibilità di difesa è da considerarsi in progressione aritmetica e sarà pertanto più concreta col progredire del tempo; ed è in questa situazione che potrebbe forse trovarsi una formula atta a risolvere il complesso problema tenendo conto di tutte le considerazioni e circostanze 124 125 Ibid. Ibid., pp. 547-549. 268La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 già espresse dalle ambasciate che hanno trattato l’argomento, e dal ministero».126 Quindi, se il problema era rappresentato dalla necessità di assicurare la difesa del territorio italiano, Sforza cercava di individuarne la formula con i mezzi, i tempi e le modalità di soluzione. Scriveva di aver avuto informazioni che «[...] le possibilità di aiuti militari, da parte degli Stati Uniti, alle cinque potenze del Patto di Bruxelles, non vanno oltre i termini della dichiarazione Vandenberg, in quanto gli americani non ritengono di poter fare qualcosa di concreto sino a che il loro proprio riarmo, che a Washington continua ad essere considerato come la prima e più importante tappa da compiersi, non abbia raggiunto determinati livelli». 127 Gli americani avevano individuato una zona strategica fuori dalle frontiere degli Stati Uniti da mettere “in stato di difesa”: il primo obiettivo era la Groenlandia e l’Islanda, poi «[...] l’eventuale difesa dell’Europa verrà presa in considerazione in tempi successivi, estendendola progressivamente dall’estremo occidente europeo e Nord Africa, via via verso est a seconda dei progressi del riarmo americano e delle disponibilità offerte da tale riarmo. In queste condizioni è da ritenersi che l’Italia non potrebbe venir compresa nell’area di un’effettiva difesa occidentale che in un secondo o terzo tempo».128 Ma Sforza, di fronte a questa prospettiva così lontana, delineava una soluzione per le esigenze difensive dell’Italia, che sarebbe stata conveniente anche per gli americani e le potenze occidentali del patto: «Affinché un tale programma possa avere qualche probabilità, è però necessario che l’Italia 126 Ibid. Ibid. 128 Ibid. 127 269Teodolinda Pascali sia in grado di far rispettare le proprie frontiere; è quindi necessario che sia armata in modo da rappresentare per un eventuale aggressore un serio ostacolo da superare».129 Se l’Italia fosse stata attaccata, sarebbe diventata loro alleata con tutte le conseguenze di tale condizione, altrimenti la sua non appartenenza all’Unione avrebbe potuto favorire una situazione di neutralità dei paesi balcanici. Le possibilità contenute in questa soluzione erano meritevoli di essere «approfondite ed esplorate», soprattutto perché la Turchia e la Grecia erano già nelle condizioni delineate nella sua proposta, ricevendo aiuti militari dagli Stati Uniti senza aver mai aderito ad un patto. La sola eventualità che escludeva, in quel momento, era un’adesione dell’Italia al patto di Bruxelles, che rinviava a un futuro «generale schema difensivo europeo e mediterraneo».130 Quindi, il ministro Sforza, dopo aver illustrato il nuovo indirizzo di politica estera, impartiva le dovute istruzioni agli ambasciatori italiani: «Questa linea di condotta presuppone un franco scambio di vedute col governo nordamericano che l’ambasciata a Washington è pregata di avviare e che verrà anche qui avviato con l’ambasciatore Dunn. Le ambasciate di Parigi e Londra potranno esporlo ai governi francese e britannico. Ove si incontrassero favorevoli e comprensive disposizioni di massima, non avremmo difficoltà ad avviare con Washington conversazioni tecniche per l’esame della nostra situazione difensiva». 131 Nell’ultimo capoverso del documento, Sforza confermava l’interesse dell’Italia verso quelle iniziative che promuovevano la formazione di una Unione Europea prendendo avvio dall’OECE, in cui l’Italia avrebbe potuto 129 Ibid. Ibid. 131 Ibid. 130 270La politica estera dell’Italia nell’estate del 1948 inserirsi più agevolmente «in un piano di generale e ampia collaborazione». La linea di politica estera fissata il 31 agosto fu sviluppata, definita e diffusa negli ambienti politici, diplomatici e militari come il nuovo indirizzo della politica estera italiana, anche se non tutti, ambasciatori inclusi, furono d’accordo sulla sua praticabilità. Dalla lettura della corrispondenza immediatamente successiva al telespresso del 31 agosto – i rapporti di Di Stefano del 4 settembre 1948, quello del 6 settembre dello stesso Sforza “a complemento” delle istruzioni del telespresso 1284/C., nonché quelli di Gallarati Scotti, di Quaroni, di Tarchiani, di Zoppi che chiedevano chiarimenti sulle stesse, e si potrebbe continuare sino alla fine del 1948 132 – risulta evidente l’ipotesi di un percorso di politica estera, precisato nei suoi punti salienti in uno schema essenziale. L’Italia stava con l’Occidente, ma manteneva le distanze dall’Unione occidentale; cercava la garanzia americana e, in attesa che gli Stati Uniti avessero provveduto al proprio riarmo, per poi estendere fuori dalle loro frontiere l’area strategica americana sino all’Italia compresa, il governo italiano decideva di avanzare una proposta di collaborazione tecnico-militare agli Stati Uniti. Durante l’estate del 1948, in ambito internazionale, prendevano avvio le conversazioni tra gli Stati Uniti, il Canada e i paesi del patto di Bruxelles e non esisteva alcuna garanzia americana verso l’Unione occidentale, così 132 A proposito, cfr. Sforza a Di Stefano, Roma, 6 settembre 1948, ore 22,30, T. S.N.D. 10183/492, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 573-574; Di Stefano a Sforza, Washington, 4 settembre 1948, ore 2,12 (per. ore 17)., T. S.N.D. urgente 11868/707, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 566-567; Sforza all’incaricato d’Affari a Londra, Anzilotti, Roma, 20 settembre 1948, Telespr. segreto 1333 segr. pol., in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 650-651; Gallarati Scotti a Sforza, Londra, 7 settembre 1948 (per.l’11), Telespr. 4561/1918, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 578-580; Quaroni al presidente della repubblica, Einaudi, Parigi, 21 settembre 1948, L. 1115/16838/3452, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 656-664; Tarchiani a Sforza, Washington, 5 ottobre 1948, R. segreto 9088/3316, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 717-720; Zoppi a Sforza, Roma, 17 settembre 1948, Appunto segreto, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 633-634; Zoppi a Sforza, Roma, 27 settembre 1948, Appunto segreto, in MAE, DDI, vol. I, cit., pp. 678-679. 271Teodolinda Pascali come non esisteva alcun progetto di «patto nord-atlantico»; la crisi di Berlino non trovava soluzione; la nuova situazione in Iugoslavia era guardata con apprensione; i vari progetti di cooperazione europea erano in discussione. Ma, soprattutto, la guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica era in atto e si svolgeva tutt’intorno alla difesa dell’Europa occidentale. Si sperava che essa continuasse e non fosse invece il preludio di un conflitto totale armato, magari con l’uso della bomba atomica. Brunello Vigezzi, nel suo lavoro del 1987, ha scritto: «L’importanza del passo compiuto, tuttavia è evidente; ed è giusto parlare di premesse di una scelta atlantica; ma questo, di nuovo, lo si vede assai meglio a considerare nel suo complesso la discussione che si è tenuta tra le quinte, che si può ricostruire con qualche fatica tra le carte d’archivio, che tutto sommato è stata trascurata sin qui dagli studiosi, e che invece permette di capire le ragioni, la consistenza di molti atteggiamenti». 133 133 VIGEZZI, La politica
Posted on: Sat, 17 Aug 2013 16:14:17 +0000

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