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Pubblico di seguito la mia nota finale allegata alla versione in e-book su AMAZON del mio primo romanzo (1985-1987) LA CASA ALLE SOGLIE DELLINFERNO. ***** Mi sono sempre piaciute le storie di paura, e quando ho scritto La casa alle soglie dell’inferno (il titolo originario in verità era “Ali di tenebra“) ero intenzionato a raccontarne una che mi spaventasse davvero. Obiettivo raggiunto, una sera d’estate, quand’ero intento nella “costruzione“ dell’episodio con il bambino zingaro che risale la scala della cantina dietro alla povera Giuditta: mentre scrivevo del bambino, a un certo punto, mi dovetti interrompere e incominciai a guardarmi attorno… Ero riuscito a suggestionarmi. Ho letto ogni cosa che abbia scritto E.A. Poe; ho letto quasi tutte le opere di Lovecraft, e molto altro del genere, soprattutto romanzi gotici. Ho visto molti films horror (da bambino mi piacevano tanto). Ho una forte attrazione per la pittura di Odillon Redon, e se un giorno mi perdessi in una pinacoteca, beh… credo che morirei d’infarto. La casa alle soglie dell’inferno è stato il mio primo romanzo e l’ho scritto fra il 1985 e il 1987, iniziandolo dopo aver frequentato a Milano un corso di linguaggio creativo tenuto da Giuseppe Pontiggia e articolato in una ventina di lezioni, che per me è stato un’importante “rifinitura“ stilistica. Pontiggia lo lesse perché glielo mandai; mi disse che avevo un “innegabile talento narrativo“, ma che lui, alla storia, non ci aveva creduto. Il che non mi sorprese. M’invitò anche a proporlo a un editore, io lo inviai a tre case editrici fra le maggiori, e ricevetti, circa due anni dopo, una alla volta, tre care letterine di quelle che ti fanno capire una cosa soltanto: che il romanzo nessuno l’aveva letto. Ufficialmente mi comunicavano infatti che non rientrando fra i loro “programmi editoriali“ (pur essendo case che pubblicavano a iosa romanzi del genere), non erano interessate al mio libro. L’esito negativo così ottenuto m’indusse a dedicarmi definitivamente (ero già laureato in giurisprudenza da più di tre anni e stavo già esercitando il praticantato presso uno studio legale) alla professione di avvocato. Siccome poi, tempo dopo, scrivevo racconti per una rivista locale ad uscite mensili (“Il Prestigio“), l’editore mi propose di pubblicare il romanzo senzalcuna cessione da parte mia dei diritti d’autore (non ci fu infatti alcun contratto di edizione, ma unicamente una fattura emessa a mio nome per l’importo da me versato quale compartecipazione alle spese). E così, nel luglio 1991, ritirai le 500 copie di mia spettanza sulle mille stampate. Non ci fu distribuzione, e non ci furono vendite. Ricordo che mia sorella ad ogni amica ed amico regalava una copia del libro, come ne regalai moltissime io, e la storia finì così, sanza infamia e sanza lode. Ebbi una modesta recensione sul quotidiano locale l’Eco di Bergamo, e per alcuni mesi tenni una “rubrichetta“ di circa mezz’ora nella quale parlavo di narrativa horror, una volta alla settimana, il venerdì alle 18.00, all’interno di una trasmissione pomeridiana su Tele Bergamo, condotta dalla mia amica Francesca Manenti, che saluto caramente. La casa alle soglie dell’inferno ha niente a che fare con la “Hell’s house“ di Richard Matheson, tanto per intenderci. Appartiene sì al novero delle “case infestate“ (magari ne trovassi una!), ma in realtà più “infestata“ della casa è la stessa Eleonora (la scelta del nome è un mio personale omaggio al grande E.A. Poe). Insomma, nel mio romanzo è sottinteso che si sia aperto un varco, sia nella casa, sia nella mente e nel corpo di Eleonora, e che attraverso quel varco il Male compia le sue incursioni. Un Male che ha una sua consistenza fisica: trapiantato il presunto embrione dal ventre di Eleonora in quello di Greta, sarà anche quest’ultima ad esserne contagiata. Vale a dire, insomma, che il Male si diffonde e si trasmette, un po’ come attraverso il morso del vampiro o dello zombie (per inciso: le storie di vampiri non mi sono mai piaciute troppo, quantomeno secondo lo schema narrativo Stokheriano, e in compenso trovo sublime la serie cinematografica di “Underworld“, giocata sul piano epico di un’immaginaria antica lotta fra i vampiri e i lycans). Scriveva Hobbes: “La passione di tutta la mia vita è stata la paura“ (o qualcosa del genere). E la paura è davvero una passione fra le più interessanti. Non ricordo al momento quale regista anni venti-trenta (forse Murnau) abbia scritto che se ti trovassi in una stanza e qualcuno ti dicesse che nella stanza accanto c’è un cadavere, la stanza in cui sei incomincerebbe ad apparirti assai diversa… Ecco, il meccanismo della paura in fondo è questo: inizia con la suggestione, per finire con il più puro terrore (obiettivo peraltro inarrivabile attraverso la mera fiction, che non potrà mai, credo, raggiungere l’impatto emotivo derivante dal trovarsi improvvisamente in una camera a gas di un lager nazista). Fra l’iniziale suggestione ed il terrore vero e proprio c’è tutta una gamma di emozioni che la narrativa può suscitare. L’insieme di queste emozioni, compresi la suggestione stessa ed il finale terrore, possiamo definirle convenzionalmente, beninteso ai fini di una loro sollecitazione mediante il racconto, come “ paura “. Ho scritto, a un certo punto del romanzo: “La paura è un liquido gelato che entra in circolazione di vena in vena immobilizzando poco per volta ogni muscolo e punzecchiando ogni filamento del sistema nervoso. Giuditta provava esattamente quella sensazione, a cui era sempre più difficile resistere. Poco per volta i muscoli del suo corpo andavano appesantendosi, e a un certo punto lei ebbe l’impressione di trascinarsi con fatica.“ Si tratta del modo in cui la immagino, e in cui mi sono sentito di rappresentarla. Chi ha dato una definizione della paura e ne ha svolta un’analisi, di taglio letterario, che ritengo ancora oggi straordinarie, è il buon “solitario di Providence“ (al secolo Howard Phillips Lovecraft), il quale scrisse: “L’emozione più vecchia e più forte del genere umano è la paura, e la paura più vecchia e più forte è la paura dell’ignoto.“ ( Supernatural Horror in Literature, 1927). Insomma, l’uomo teme ciò che non conosce, e mi pare che sotto questo profilo il pensiero di Lovecraft assomigli non poco alla citazione precedente di Hobbes: per lo scrittore di Providence e per il grande filosofo inglese la paura, definita “emozione“ dall’uno e “passione“ dall’altro, ossia stati d’animo irrazionali, è antitetica della conoscenza, poiché suscitata dall’ignoto; e ogni volta che trattiamo della paura, in fondo, trattiamo del fondamentale anelito umano di scoprire ciò che ancora non si sa, da un’angolazione squisitamente intima. La paura è nell’anima. Non vorrei dilungarmi troppo. La casa alle soglie dell’inferno tratta della paura, secondo lo schema o il modello del racconto soprannaturale. E’ un genere letterario o narrativo che ha avuto ed ha molti oppositori; vi è chi lo rifiuta apertamente e (aggiungo io) irremovibilmente, quasi fosse un genere di minore importanza e spessore. Ma non sono d’accordo. Anzi, l’interesse per questo genere di letteratura è a mio avviso così insito nella sensibilità umana, che il disprezzarlo o lo stigmatizzarlo come “indegno“ di esser preso in seria considerazione è un atteggiamento di per sé contro l’uomo stesso e le sue emozioni naturali, una negazione fondata sull’idea innaturale di poter forgiare un uomo nuovo o diverso da quello reale (spesso con fini ideologici di puro asservimento dell’individuo a principi e dogmi sovrapposti). In proposito valga quest’ultima citazione di Lovecraft, presa ancora dal saggio menzionato sopra: “(…) Contro di esso“ (il racconto soprannaturale e “orribile“) “si riversano tutti gli strali di una sofisticazione materialistica, che si attacca a emozioni ed eventi esterni spesso sentiti, e di un idealismo ingenuamente insipido che disapprova l’interesse estetico ed esige una letteratura didattica per ‘ innalzare ‘ il lettore a un grado idoneo di sciocco ottimismo. (…) Il fascino del macabro spettrale è generalmente ristretto perché esige dal lettore un certo grado di immaginazione e una capacità di distacco dalla vita quotidiana“. L’apprezzamento del soprannaturale in letteratura necessita di particolare sensibilità, diversa da altre, né migliore e né superiore, credo, (il punto non è questo). Si tratta piuttosto, a mio avviso, di una maggiore apertura mentale. A qual fine, si chiederà? La domanda è interessante, perché mette in discussione il valore dell’opera creativa. Ed è, questa, una discussione fondamentale. La mia risposta è che attraverso un’opera creativa (il mezzo è indifferente) si possano comunicare delle idee (una volta si parlava di “messaggio“) che scaturiscono dalla nostra interiorità, e che grazie all’opera riusciamo in qualche modo a veicolare. Anche ciò appartiene all’uomo, ossia il comunicare il suo pensiero ai propri simili, per confrontarsi con loro. Spesso non si trova la forma adeguata ad enunciare i propri moti interiori; l’opera creativa è a mio avviso il più potente veicolo sul quale farli viaggiare in direzione degli altri, o del prossimo. Ecco allora che La casa alle soglie dell’inferno, da me stesso definita una “storia di paura“, in realtà “veicola“ anche altro, come il film Shining di Stanley Kubrick veicolò (a volte sottoforma di cosiddetti “messaggi subliminali“, tecnica appartenente al linguaggio delle immagini), secondo la critica, riferimenti più o meno espliciti all’Olocausto. Un romanzo è figlio dell’uomo che lo scrive, e ne riproduce le idee e gli stati d’animo di un dato momento, e di una sua data età. Nel mio romanzo non a caso la storia si apre, dopo il prologo, con la contrapposizione evidente di due fratelli tra di loro diversi: Roberto è un uomo concreto, ha scelto il matrimonio, ha una moglie e una vita regolare (prima che l’orrore vi faccia ingresso); Andrea al contrario è sempre stato più insicuro e più debole, è uno studioso dell’anima e ha avuto una relazione con una donna sposata, da lui volutamente abbandonata per l’impossibilità di averla solo per sé (la sua scelta implica rimorsi e rimpianti). Si tratta di due diverse prospettive di vita, e il romanzo si apre, nella cornice del racconto soprannaturale, contrapponendole l’una all’altra. Non è in gioco, quindi, soltanto la paura. Roberto e Andrea sono due persone diverse che reagiscono a determinati eventi, non proprio “normali“, con i diversi atteggiamenti che li caratterizzano, come a dire che, di fronte all’invasione dell’assurdo (spesso il soprannaturale ne è una limitata regione), l’uomo reagisce con il proprio (ristretto) atteggiamento mentale. E così, Roberto pare accettare alla fine lo stato di Eleonora, cercando di ristabilire la normalità della loro vita coniugale secondo la novità di una procreazione possibile che rimuova ogni problema (la sua è una via ottimistica e socio-biologica, ossia riposta nelle potenzialità fisiche dell’uomo rafforzate dall’appartenenza a un ceto economico benestante, di coloro che, in società, “sono in grado di difendersi“); Andrea, invece, razionalizza e combatte su una propria linea, indaga e s’immerge ancora di più nell’altra novità o dimensione della storia: l’apparizione di Greta lo induce ad approfondire la sua analisi per ottenere, alla fine, piuttosto che una tranquillità quotidiana alla quale è comunque estraneo, delle risposte e delle spiegazioni in merito a ciò che sta accadendo, ed è questa anche la sua linea difensiva. L’esito della storia, che non anticipo, risolve tutto in maniera definitiva. Tornando alla paura, per concludere, possiamo dire che essa è nel romanzo come il ritornello di una canzone: del ritornello ha da un lato il carattere ossessivo (estremizzo, ovviamente); e, dall’altro, funge da memento mori, come a rammentare che la vita, su qualsivoglia sfondo si animi e si svolga, forse non è la dimensione esclusiva dell’anima, e in ogni caso è destinata a finire. Con l’aggravante che l’andare alla ricerca anzitempo di ciò che nasconde la sorte ineludibile dell’uomo ha un esito purtroppo distruttivo (è stato il destino dei seguaci di Valanzuela, compresa Eleonora). Anche l’indagine dell’ignoto, insomma, ha le sue controindicazioni (e la conoscenza i suoi limiti). Con simpatia, M.R. (7 giugno 2013)
Posted on: Sat, 02 Nov 2013 01:42:50 +0000

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