“Quando vai a comprare un paio di scarpe il commerciante ti - TopicsExpress



          

“Quando vai a comprare un paio di scarpe il commerciante ti chiede forse “quanto mi dai”? Nemmeno per idea. È lui a dirti quanto costano, perchè è lui che conosce il valore del suo lavoro. Invece nel mercato dei prodotti caseari succede esattamente il contrario: il prezzo non lo fa chi vende, ma chi compra, e vince sempre chi lo fa più basso. Ti sembra giusto questo?” Giovanni Busìa è uno con le idee molto chiare quando si tratta del suo mestiere. Pastore figlio di pastori, mi racconta la sua storia con accanto suo padre, un anziano signore dagli occhi vivaci e attenti identici a quelli del figlio. Giovanni è nato a Fonni come sua moglie Michela, ma entrambi vivono a Siamanna in un podere immerso nelle campagne fertili dove hanno il bestiame, l’azienda agrituristica Su Grabiolu, un piccolo caseificio artigianale e la fattoria didattica. Giovanni è un pastore in tutto e per tutto uguale agli altri pastori di Sardegna, compreso il fatto che a un certo punto si è stancato di vendere per pochi centesimi il latte con cui i caseifici industriali fanno le produzioni di pecorino romano da immettere nella grande distribuzione e sul mercato estero. Lui però non è il tipo di allevatore che protesta bloccando porti o andando a Roma sotto a un ministero. Giovanni la protesta l’ha fatta con le scelte professionali, cercando per il suo lavoro una strada che non fosse controllata da attori di mercato più forti e aggressivi di lui, singolo pastore con poco potere contrattuale. “Sentivamo sempre parlare di gente che non mangiava formaggio perchè aveva intolleranza al lattosio. Mia moglie ha guardato su internet e ha scoperto che nessuno produceva un pecorino giovane senza questo zucchero. Perchè non provare a farlo noi?” Giovanni e Michela si sono informati, si sono rivolti a un tecnico e hanno fatto monitorare per qualche tempo l’alimentazione degli animali e la fattura di una prima partita di formaggio, variando terreni, tempistiche e foraggio. Hanno così fatto la scoperta che al presentarsi congiunto di certe condizioni il lattosio del formaggio scendeva fino al minimo misurabile (lo 0,1%) già a tre mesi di stagionatura. Giovanni non si è accontentato di questa notizia: ha smesso di dare il latte agli industriali e ha cominciato ad innovare le tecnologie di caseificazione, affiancando al caglio animale anche un caglio vegetale fatto con un fungo di terra, perchè a suo parere il cardo e il latte di fico lasciano un retrogusto amaro poco gravedevole nel formaggio. Il risultato è che oggi Giovanni Busìa produce un pecorino giovane senza lattosio distribuito in tutti i supermercati sardi. Per ora ne fa seimila forme all’anno, ma il mercato dell’intolleranza al lattosio è purtroppo in crescita costante, con percentuali di incidenza sulla popolazione che nel sud Europa variano dal 20 al 50% a seconda delle zone; in questo scenario chi produce cibo ad alta digeribilità (in Sardegna sono in tutto cinque produttori) è un pioniere accolto dagli intolleranti come un angelo consolatore, ma l’uso del caglio vegetale incontra i gusti anche dei vegetariani rigidi e di chi ha vincoli religiosi islamici. Quanto formaggio produce la Sardegna? I numeri parlano di 450 mila quintali, di cui 280 mila ripartiti soprattutto nelle grandi famiglie DOP (pecorino sardo, pecorino romano e fiore sardo). Quel che avanza – 170 mila quintali, non venti chili – è una selva di piccole produzioni dove rientrano i grana, i caprini e pecorini senza marchio fatti da piccoli produttori, gli erborinati e le caciotte le cui caratteristiche di quantità e confezionamento non rispondono alle esigenze dei grandi stock per l’estero: infatti ce li mangiamo noi. A conti fatti la Sardegna non ha più di dieci tipi di formaggi, eppure la politica e l’industria degli ultimi dieci anni li hanno sempre trattati come se fossero troppi, affermando che la produzione diversificata impedirebbe di concentrare la promozione del prodotto sul mercato. Sarà vero? Dipende da quanto sei disposto a investirci. La Francia, il primo produttore europeo di latte ovino, fa 140 tipi di formaggi diversi e però non sembra preoccupata, perchè sa che alcuni hanno un mercato ampio e esportano in tutto il mondo, mentre altri hanno un mercato più selezionato e sono distribuiti e promossi in specifici circuiti commerciali. La Francia ha investito nella diversificazione e così quello che in Sardegna chiamiamo dispersione, oltralpe lo chiamano specialità. Là hanno investito sulla ricchezza della varietà e hanno legato la promozione di ogni singolo formaggio al suo territorio di produzione. Da noi invece ci si è concentrati sulle quantità di pochi tipi di formaggio, soprattutto pecorino romano, e non si sono create politiche di promozione specifica per le piccole produzioni di qualità come quelle di Giovanni Busìa. Il risultato di questa concentrazione industriale è che – siccome il 50% del nostro pecorino romano finisce sul mercato americano – se l’America va in crisi, a Nulvi e a Serri smettono di mangiare. Giovanni, che questo lo ha capito meglio dell’assessore regionale all’agricoltura, si è organizzato per mangiare lo stesso.
Posted on: Sun, 06 Oct 2013 01:01:21 +0000

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