SERGIO SOLMI: “LETTERATURA COME DESTINO” di Luca Ariano Il - TopicsExpress



          

SERGIO SOLMI: “LETTERATURA COME DESTINO” di Luca Ariano Il titolo di questo articolo, quasi parafrasando un celebre saggio di Carlo Bo, si riferisce ad un’affermazione fatta da Solmi riguardo il suo rapporto con la letteratura: «La letteratura, nella mia vita, ha sempre avuto il primo posto, perché era una forma del mio destino». Sergio Solmi fu un intellettuale davvero influente e assai stimato negli anni ’30, ’40 e ’50, mentre la sua attività di poeta fu sempre appartata e considerata “minore” nell’arco della sua produzione di critica e saggistica assai ampia. Ancora Solmi definiva così la sua poetica: «[…] una poesia che inerisca integralmente all’uomo, la cui musica sia il respiro stesso della voce, il cui ritmo sia il gioco stesso dei muscoli, il pulsare del sangue, l’ampliarsi del torace nel respiro. Di una poesia energicamente definita, fatta di parole precise, nel giro delle cui frasi si delinei un sentimento, si accenni a un pensiero appassionato e attivo. Poesia che non può fare a meno della tradizione, perché questa si è elaborata attraverso la struttura stessa dell’uomo nel corso della storia, ma sia nello stesso tempo ad un totale livello moderno.» Proprio in questa ultima affermazione c’è la chiave di tutta la poetica di Solmi, che troppo frettolosamente è stata accostata a Montale, ma in realtà ben differente e con una sua poetica precisa. La sua prima raccolta Fine stagione (Carabba, 1933) risente di tutta la formazione culturale del poeta. La sua iniziale ispirazione fu crepuscolare, o meglio gozzaniana (Ritorno; Solvitur acris hiems; Siesta) e lo seguirà per tutta la vita e anche quando la sua produzione sarà più matura, manterrà un certo crepuscolarismo di fondo. Su Gozzano così scrisse: «Ho scritto su di lui nel 1917. Non ho mai avuto il coraggio di andarlo a trovare. Ho scritto un articolo che mi è venuto una necrologia». Oltre ai crepuscolari evidente anche l’influenza dei simbolisti francesi e belgi tanto cari ai nostri Corazzini, Govoni, Martini, ecc. che ne furono il tramite (Jammes, Samain, Maeterlinck, Verhaeren). La prima stagione di Solmi fu sostanzialmente lirica, influenzata non solo dalla poesia, ma anche dal teatro e dalla filosofia: La donna del mare; L’anatra selvatica; Rosmersholm (Ibsen), Acque di primavera (Turgenev), Cuore di tenebra; Tifone (Conrad), Aforismi sulla saggezza della vita; Il mondo come volontà e rappresentazione (Schopenhauer), La gaia scienza, La genealogia della morale, Aurora (Nietzsche). Il suo grande amore poetico fu comunque Leopardi a cui dedicò numerosi studi e a trent’anni di distanza una poesia più matura, ‘A Giacomo Leopardi’ (1962-1966). Negli anni che vanno dal 1932 al 1943 la poetica di Solmi ebbe una svolta, culminata nell’esperienza della Resistenza e della prigionia a San Vittore a cui sono dedicati ‘Aprile a San Vittore’ (forse una delle liriche più intense sul tema della prigionia-Resistenza) e ‘Dal quaderno di Mario Rossetti’ (nome di battaglia del poeta): «Celle. Ogni cella un gradino più fondo / dell’anima. Risate, implorazioni, / silenzio. / Tra le sbarre ai finestroni / in cielo smorto a noi colava il mondo.» Come si nota da questi brevi versi, sapiente è l’uso dell’inarcatura che Solmi utilizza spesso nelle sue poesie. In ‘Bagni popolari’ il poeta per la prima volta inizia a guardarsi attorno, ad osservare le figure umane e a sentirsi affratellato; a quello stesso periodo appartengono anche certi echi sulla storia (‘Ricordo’; ‘Dal treno’; ‘Ritorno a una città’). In Solmi la poesia è sempre divisa tra un passato mitico di fantasmi e un presente svuotato di memoria, bruciante e questa costante caratterizza tutta la sua opera. Proprio in questa ottica Solmi si fa testimone (‘Il testimone’) doloroso della realtà presente: «Mentre la nebbia gelida discende / sui condomini, e me ne sto scrivendo / alla finestra, di momento / in momento socchiudo / gli occhi, e con incerta mano scruto / del tappeto il rovescio, / mi si rivela perché tanto poco / di realtà mi fu dato. / Apprendo che son venuto qui, soltanto / per testimoniare». Testimone si rivela anche nello studio critico che farà su poeti come Rimbaud, ma soprattutto come traduttore di numerosi poeti francesi e spagnoli tra cui Machado, Alberti, Lorca, Gautier, ecc. Come s’è detto a partire dalla Seconda Guerra Mondiale la sua poetica cambia, soprattutto dagli anni ’50 in poi, quando si dedicherà ad una poesia fortemente influenzata dalle sue letture sulla fantascienza (‘Lamento del vecchio astronauta’; ‘Levania’) caso unico nella poesia di quell’epoca. Così scrive sulla poetica di quegli anni il critico Giovanni Pacchiano: «Solmi, dagli Anni Cinquanta, è andato contro corrente; e mentre Montale, e dopo di lui schiere di epigoni, si spostava verso una poesia gnomica, tra autobiografismo quotidiano e ricerca di moralità; mentre altri (pochi) proseguivano la strada di una sperimentazione dura, irta di ostacoli, spesso ripetitiva per l’esaurimento dell’ispirazione; o tacevano, trasferendosi ad altro, alla critica, ai quotidiani, Solmi si limitava a guardare, con assoluta semplicità, all’interno di se stesso; a indagare col pudore e la signorilità della vera misura, i suoi motivi più profondi, e a tradurli in versi di nessuna ostentazione, alternando a questa attività l’abitudine di tradurre». Questa affermazione è esemplare sul Solmi di quel periodo. Le poesie di quegli anni saranno pubblicate nel 1956 in Levania e altre poesie (Mantovani) poi confluite in Dal balcone (Mondadori) nel 1968. Nella sezione La rosa gelata anche Solmi non è immune da poesie sulla vecchiaia e sull’amarezza del trascorrere del tempo: «[…] Oggi, / dopo anni, riapri / la scatola, ove brillano / ridestati i colori. Ritenti / come un’altra volta, i tardi / svolazzi del geroglifico». (‘Lo scriba’). Questa poesia, datata 1971, sarà pubblicata nella raccolta Poesie complete, 1974 (Adelphi). La poesia di Solmi coprirà un arco di quasi sessant’anni, il poeta attraversa tutto il Novecento, che lo vede protagonista come critico ed intellettuale, punto di riferimento per molti critici e poeti più giovani (proprio all’interessamento di Solmi presso Gobetti si deve la pubblicazione della prima raccolta di Montale) e che a oltre venticinque anni dalla morte andrebbe forse riscoperta per comprendere meglio certe dinamiche poetiche ed intellettuali dell’epoca. Così scrive Bàrberi Squarotti: «[…] poesia di transizione: appartato e un po’ raro e lento discorso, ma pure non eludibile termine di una vicenda di crisi, di turbamento, di speranza, a cui Solmi ha portato la sua coscienza, il suo giudizio, la sua sofferta partecipazione.» in Il Foglio Clandestino, n. 60, 2007.
Posted on: Tue, 23 Jul 2013 07:44:30 +0000

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