Sole Cielo e mare: I pregiudizi che condannano il Sud Il Regno - TopicsExpress



          

Sole Cielo e mare: I pregiudizi che condannano il Sud Il Regno delle Due Sicilie è ritenuto la negazione di Dio eretta a sistema di governo. «Un paradiso abitato da diavoli», disse di Napoli Benedetto Croce in una conferenza tenuta il 12 giugno 1923 (Uomini e cose della vecchia Italia, Adelphi). Questo giudizio fà da spina dorsale al “pregiudizio antimeridionale”, stereotipi e luoghi comuni che da secoli rappresentano un tormento razzistico sugli uomini e sulle donne del Sud. Non pochi dei quali hanno contribuito nel tempo, coi loro comportamenti e le loro parole in libertà, al cliché del popolo meridionale, miserabile plebe senza pane che vive alla giornata, privilegiato per il sole che su quelle terre non tramonta, coi mandorli in fiore già in febbraio. Cominciarono alla fine del Settecento gli stranieri del Grand Tour a creare quel mito. Nel loro viaggio d’iniziazione quasi obbligata scrittori, letterati, artisti, esteti fecero la scoperta immaginifica di un mondo quasi primitivo, l’Africa in Europa. I loro resoconti sono spesso intelligenti, Goethe, Henry Swinburne, Norman Douglas, Edward Lear a tanti altri innamorati del costume e dell’antica civiltà, anche se, a far da protagonisti delle loro pagine, sono spesso, con le amate rovine, il pittoresco, il diverso, la gioiosa miseria. Purtroppo quel Bel Paese di allora non esiste più, nella seconda metà del Novecento, è stato distrutto insieme a storia e cultura. Ma i pregiudizi antimeridionali avendo radici antiche come il processo di unificazione nazionale, quelli rimangono. Tutti sanno che il meridionale è prigro, profittatore, ignorante, selvaggio, improduttivo. Figlio di una società arcaica e corrotta nelle fondamenta, mafiosa e camorrista nella sua classe dirigente, clientelare e retriva per assegnare al Mezzogiorno la responsabilità di un’unità nazionale ritenuta insoddisfacente, giustificare un presunto mancato sviluppo dell’Italia verso la modernità di altre nazioni europee, e, solleticando un certo paternalismo, richiedere fondi, assistenza e aiuto per le regioni del meridione. Se ufficialmente le recriminazioni antimeridionali sono state sempre ritenute incompatibili con il quadro nazionale, in quanto elemento di disgregazione e negazione dello stato unitario stesso, e sotto il fascismo addirittura censurate, ufficiosamente hanno avuto gran gioco nell’orientare le scelte politiche. Lo stereotipo legittima sia la presa in carico di una società non in grado di governarsi da sé, sia la pretesa di liberarsi di un mondo reputato improduttivo e parassitario. Ma la radice del pregiudizio non è soltanto, di tipo antropologico: secondo una pubblicistica diffusa a partire dal Settecento i meridionali discenderebbero dai greci, toscani e umbri dagli etruschi, e tutti gli altri italiani dai celti, sardi esclusi, misteriosi anche nel pregiudizio: dunque le differenze tra gli italiani sarebbero anzitutto etniche. Se l’Italia peninsulare è vista, a partire dalla rivoluzione giacobina del 1799, come una polveriera reazionaria, la Sicilia con l’entusiastico sostegno dato a Garibaldi si guadagnò nomea di un patriottismo che mise a tacere i pregiudizi, e che tenne distinto il caso della Sicilia rispetto al resto dell’Italia meridionale. Finché ciò però tornò utile: all’indomani dell’annessione l’appoggio a Garibaldi divenne pericoloso, e i garibaldini di Sicilia assimilati a briganti. I temi sono quelli di sempre, irrisolti ancora oggi: il carattere di chi è nato nel Sud, inaffidabile, superstizioso, violento, passionale; il Sud sfruttato dal Nord e viceversa; l’inferiorità antropologica meridionale; la corruzione che devasta il Sud sembra aver fatto scuola anche nelle capitali morali del Nord; la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, organizzazioni criminali che avrebbero dovuto e potuto essere eliminate dalla secolare repressione di polizia e magistratura, e sono invece fiorenti per gli avalli interessati e per le compromissioni di una certa classe dirigente politica. Non esiste un solo Sud, Napoli e la Sicilia hanno storie e destini differenti. Villari, con le sue Lettere meridionali, (1885), giudica con assoluta libertà intellettuale le cause dell’arretratezza socio-economica del Sud, la corruzione, la violenza, il clientelismo e il malaffare della Destra, ma non risparmia il trasformismo e l’ambiguità della Sinistra al potere dopo le elezioni del 1876. Il pregiudizio antimeridionale, anche in questo tempo globale, è più che mai attuale. Dopo il brigantaggio queste terre hanno ritrovato una loro funebre pace; ma ogni tanto, in qualche paese, i contadini, che non possono trovare nessuna espressione nello Stato, e nessuna difesa nelle leggi, si levano per la morte, bruciano il municipio o la caserma dei carabinieri, uccidono i signori, e poi partono, rassegnati, per le prigioni. [C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli] Ma l’Italia ha messo assieme i suoi pezzi incollati talmente male, da non avere un’Italia unita neanche oggi, a cominciare dal Sud. A cui fu fatta pagare la delusione di non trovarlo entusiasta e prono a liberatori, che nessuno aveva richiesto. Che non reagì con l’adesione di popolo. Ma che poi, paradossalmente, divenne baricentro della stabilità del Paese, cui erano essenziali i suoi voti. Acquisiti con una assistenza di soldi pubblici che ora viene rinfacciata ai meridionali come se fosse un loro Dna, una minorità biologica, e non una condanna della politica ai danni del loro sviluppo. Pregiudizio che non è un becerume da Curve degli stadi, ma la foglia di fico che ha nascosto qualcosa di molto più importante: le politiche che hanno assoggettato il Sud. E che sono puntualmente scattate sulla scia della sospetta e interessata “cattiva stampa” che già da prima dell’unità coglieva ogni occasione per descrivere il Sud come un inferno da redimere e non una terra da rispettare. Si sarebbe invece dovuto scegliere il federalismo, fare gli Stati Uniti d’Italia. Quel federalismo che si ripropone oggi con i danni al Sud già fatti. Tutte queste tesi sono state enunciate finora citate da Movimenti ed illustri uomini meridionali nel silenzio generale se non nella totale irrisione. Ma la storia non è immobile e la ricerca altrettanto: anche se, guarda caso, riabilita il Sud, immobile è l’eterno giudizio sul Sud. Anzi, come abbiamo visto, il pregiudizio! Il Sud d’Italia è probabilmente la regione d’Europa più tenacemente avvolta in stereotipi interpretativi da almeno un paio di secoli: luogo per antonomasia dell’arretratezza, della diversità e dell’inferiorità rispetto al resto dell’Italia e dell’Europa. Un tenace catalogo che oscilla lungo l’intersezione tra una diversità antropologica e certe dirette conseguenze in termini economiche, sociali e politici. I meridionali sono passionali, indisciplinati, ribelli, individualisti e, dunque, inabili alla formazione di una cultura razionale, civica, ordinata. Di conseguenza, il contesto sociale ed economico è sottosviluppato a causa del clientelismo politico, delle relazioni gerarchiche e patriarcali, e delle varie forme di manifestazione del crimine organizzato. Con buona approssimazione, la descrizione del Mezzogiorno potrebbe essere qui terminata per divenire cibo delle inchieste giornalistiche, delle fiction o dei documentari televisivi. All’interno di questo frame si inserisce il “dispositivo Saviano”: «a partire da una descrizione del territorio apparentemente accuratissima, pagina dopo pagina si fa descrizione morale di una popolazione preda inguaribile dei suoi incubi atavici, dunque lotta fra Bene e Male, ove il male è tanto assoluto da non potere postulare che un intervento radicale, ossia portato alle radici antropologiche della questione: un intervento dello stato-chirurgo sul cancro-popolazione». Così la realtà romanzata fa buon gioco di stereotipi, corroborandosi in un atto di fede: a ben vedere, non è assai diverso da quanto in precedenza letto dai giornalisti e testimoni “diretti” sulla “realtà”. La ragione per cui i pregiudizi siano ancor oggi in circolazione più prepotentemente di quanto non si voglia credere, s’annida forse in quel “senso comune” sorretto dalle verità delle rappresentazioni, da immagini cristallizzate nel tempo e, semmai, corroborato persino da ricerche scientifiche. Il Sud è un Nord “esterno” e “senza”, senza storia, senza progresso, senza la luce della ragione, senza futuro, insomma senza tutte quelle conquiste del Nord moderno. «L’idea di Sud come di non Nord, di un Sud pensato da altri, non più soggetto di pensiero, ma brutta copia di un’altra latitudine, è un processo facilmente percepibile all’interno del territorio italiano» D’altro canto, nella storia d’Italia il pregiudizio o il razzismo antimeridionali sono stati sempre adoperati per soddisfare istanze economiche ma anche politiche e ideologiche. A questo punto anche la stessa “questione meridionale” è il prodotto della “surdeterminazione” di differenti istanze. Infatti, in Alcuni temi della quistione meridionale, proprio Gramsci segnala come «l’ideologia diffusa in forma capillare dai protagonisti della borghesia nelle masse del Settentrione» rappresenti “il Mezzogiorno” dentro il refrain di «palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia», perché «i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema capitalistico o di qualsivoglia altra causa, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari» (Gramsci, 1930, p. 159). “La «miseria» del Mezzogiorno era «inspiegabile» storicamente per le masse popolari del Nord; esse non capivano che l’unità non era avvenuta su una base di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale di città-campagna, cioè che il Nord concretamente era una «piovra» che si arricchiva alle spese del Sud e che il suo incremento economico-industriale era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale. Il popolano dellAlta Italia pensava invece che, se il Mezzogiorno non progrediva dopo essere stato liberato dalle pastoie che allo sviluppo moderno opponeva il regime borbonico, ciò significava che le cause della miseria non erano esterne, da ricercarsi nelle condizioni economico-politiche obiettive, ma interne, innate nella popolazione meridionale, tanto più che era radicata la persuasione della grande ricchezza naturale del terreno: non, rimaneva che una spiegazione, l’incapacità organica degli uomini, la loro barbarie, la loro inferiorità biologica. Queste opinioni già diffuse (il lazzaronismo napoletano era una leggenda di vecchia data) furono consolidate e addirittura teorizzate dai sociologi del positivismo (Niceforo, Sergi, Ferri, Orano, ecc.), assumendo la forza di «verità scientifica» in un tempo di superstizione della scienza. Si ebbe così una polemica Nord-Sud sulle razze e sulla superiorità e inferiorità del Nord e del Sud (confrontare i libri di N. Colajanni in difesa del Mezzogiorno da questo punto di vista, e la collezione della «Rivista popolare»). Intanto, rimase nel Nord la credenza che il Mezzogiorno fosse una «palla di piombo» per l’Italia, la persuasione che più grandi progressi la civiltà industriale moderna dell’Alta Italia avrebbe fatto senza questa «palla di piombo»”.
Posted on: Thu, 07 Nov 2013 22:44:18 +0000

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