particolare. La sintetica introduzione recentemente pubblicata - TopicsExpress



          

particolare. La sintetica introduzione recentemente pubblicata presso Laterza segue infatti un’opera pionieristica come Il genio dello storico del 1987 e riprende in larga misura il successivo Il manoscritto interrotto del 1995; integra inoltre una lunga serie di articoli pubblicati sulla rivista che egli stesso dirige (già «Rivista di storia della storiografia moderna» ed ora «Storiografia»), e su vari altri periodici internazionali, tra i quali proprio i «Cahiers Bloch»; da oltre un quindicennio insomma Mastrogregori si occupa, attraverso ricerche di prima mano, dello storico alsaziano e del suo modo di fare storia (nel duplice senso, come vedremo, di viverla e pensarla). Questo ultimo intervento, che compendia quindi un maturo itinerario di ricerca personale, va letto comunque sullo sfondo di un processo più generale di riscoperta di Bloch, che ha coinvolto anche l’Italia nel corso dell’ultimo decennio; e già il fatto che una importante collana dedicata ai maestri del secolo appena concluso includa tra i suoi primi titoli un volume su uno storico straniero appare in questo senso significativo. Sollecitato, come avremo modo di ripetere, da motivazioni assai diverse e talvolta estranee all’ambito strettamente storiografico, questo “momento Bloch” ha favorito pubblicazioni di portata e valore diseguale, ma ha comunque portato a maggior diffusione i lavori di tutti quegli studiosi che, come Mastrogregori, ma anche Arcangeli, Mustè o Pitocco, considerano da tempo imprescindibile il confronto critico con gli storici francesi, e soprattutto con gli annalisti. 2. L’Introduzione inizia significativamente con la famosa definizione blochiana della storia come “scienza degli uomini nel tempo” e attorno a questi tre termini articola una presentazione del contesto generale in cui Bloch si trova ad operare: il dibattito sulla natura della storia e la sua crisi nella Francia di inizio secolo; le figure di maestri e compagni che ispirano e affiancano il suo itinerario; la situazione e le caratteristiche della professione nel drammatico scenario che segue la Grande Guerra. Il punto di partenza della riflessione di Bloch si situa proprio nelle numerose critiche rivolte da più parti a una storia che pure sta realizzando un grande progresso metodologico e istituzionale; nei vari ambiti nazionali questo clima diffuso di processo sollecita negli storici un esame di coscienza e la ricerca di nuove forme di “apologia” della disciplina. Mastrogregori ribadisce l’originalità e la creatività della posizione di Bloch, che rifiuta il romanticismo e gli opposti positivismi che lo hanno sostituito in Francia, senza però abbracciare le alternative idealistiche o materialistiche proprie di altri contesti. Riguardo alle ascendenze intellettuali blochiane, l’autore non si limita ai consueti riferimenti a Pirenne, Durkheim e Berr, ma ricorda anche il magistero del padre Gustave, l’influenza dei colleghi più anziani alla fondazione Thiers e soprattutto l’opera dei durkheimiani di seconda generazione. A questo proposito, pur senza scendere nei particolari, Mastrogregori mostra di condividere le diffuse perplessità della critica più recente riguardo al presunto durkheimismo di Bloch, già denunciato da Febvre. Egli chiarisce da un lato come l’influsso della sociologia, veicolato da Simiand e Halbwachs molto più che dal loro maestro, sia stato anche e soprattutto una scuola di strategia intellettuale; dall’altro come esso non abbia impedito il permanere di rilevanti distinzioni tra le due impostazioni disciplinari, soprattutto in merito alla salvaguardia del ruolo degli individui come agenti di storia. In merito infine allo status degli storici ai tempi di Bloch, Mastrogregori riprende le note analisi di Dumoulin, sottolineando le difficili condizioni di accesso all’insegnamento e la rilevanza dei giochi accademici per lo sviluppo delle carriere. Lo storico alsaziano, in virtù dello status sociale e delle ascendenze familiari, non può più essere considerato l’outsider descritto dalla leggenda annalista, se non altro per il riconoscimento ottenuto con la cattedra di storia economica alla Sorbona; ma Mastrogregori evidenzia la sostanziale insofferenza di Bloch agli opportunismi, ricordando in particolare lo scacco subito al Collège dal suo progetto “rivoluzionario” sulla storia comparata (mentre Febvre, anche in virtù di un miglior inserimento nella comunità intellettuale parigina, aveva avuto accesso alla medesima istituzione). Già in quest’ambito viene poi ricordata la vocazione propriamente pedagogica della sua storia, che si indirizza a un pubblico più ampio della ristretta cerchia degli specialisti e appare in generale molto attenta alle ricadute didattiche della ricerca. 3. Nei capitoli successivi Mastrogregori procede ad analizzare l’opera blochiana, sovrapponendo ad un impianto sostanzialmente cronologico dei titoli che rievocano chiaramente quelli dell’ “Apologia” e corrispondono dunque alle tappe identificate da Bloch nel lavoro proprio dello storico; così facendo egli richiama, fin nel disegno compositivo del suo saggio, il tratto che ritiene fondamentale dell’itinerario blochiano: la presenza ineludibile della “vita nella storia”, sia nel senso dell’investimento di senso e passione che lo storico mette nel suo mestiere, sia in quello della vitalità propria del sapere stesso in quanto “scienza in cammino”. Se è vero che l’analisi dell’opera blochiana procede abbastanza linearmente dagli scritti giovanili ai capolavori della maturità, è vero anche che Mastrogregori tiene soprattutto a delineare le risposte diverse ma coerenti che Bloch via via fornisce al problema fondamentale della dignità della storia. Già nei lavori meno noti di inizio secolo egli forgia in effetti un certo modo di concepire la storiografia, in cui la scrittura vera e propria è preceduta da un lavoro paziente e meticoloso di raccolta e sistemazione dei materiali; e allo spoglio rigorosissimo dei documenti Bloch associa fin da subito una spiccata capacità di osservazione del reale e di sfruttamento dello stesso in qualche modo come fonte, sulla base di quel cerchio ermeneutico che poi definirà “metodo regressivo “. La prima guerra mondiale si rivela allora particolarmente importante non solo come luogo di apprendimento di tecniche di rilevazione o come momento di disillusione ideale, ma anche come straordinario esempio di “macchina del tempo” di cui lo storico può usufruire a parziale compensazione dell’impossibilità di creare condizioni sperimentali. Riprendendo alcune osservazioni di Bianca Arcangeli, Mastrogregori sottolinea soprattutto l’idea blochiana di “esperienza naturale”, distinta sia dalla percezione immediata del vissuto che dall’esperimento artificiale delle scienze naturali; in particolari circostanze infatti la dinamica storica espone i propri meccanismi agli occhi dello studioso in una forma semplificata, così che egli, all’interno di questo ambito peculiarmente delimitato e controllato, può analizzare l’andamento delle variabili, verificare le loro interazioni e ricavarne nuove ipotesi di ricerca. Proprio sulla base del binomio osservazione-esperienza posto in questa fase dagli scritti metodologici, Mastrogregori ripercorre i vari nuclei della produzione successiva, che spazia dalla storia rurale a quella delle tecniche, dalla storia sociale a quella monetaria. Rilevata la pertinenza degli interventi nei vari campi, l’autore sottolinea soprattutto la vastità tematica degli interessi di Bloch e la sua posizione d’avanguardia nell’aprire nuovi filoni di ricerca: in particolare si richiama il ruolo de I re taumaturghi nel concepire un modo innovativo di fare storia politica e insieme nell’aprire la strada alle forme più recenti di storia della mentalità. Mastrogregori appare particolarmente interessato alla portata strettamente metodologica delle ricerche blochiane, dal già citato metodo regressivo al suo ruolo di banditore, per lo più inascoltato, della storia comparata. Ma è soprattutto nella grande sintesi de La società feudale che l’autore può rintracciare un modello esplicativo propriamente blochiano, in cui la vocazione strutturale e l’attenzione al cambiamento si combinano in una sintesi complessa e suggestiva, che rifiuta l’idolo delle origini e quello della causa unica per compiere un continua rivisitazione, alla luce del procedere della ricerca, del rapporto tra fattori e fenomeni. 4. La parte più consistente di questa introduzione è comunque dedicata ad una originale rilettura in chiave “politica” del periodo successivo alla fondazione delle Annales e in particolare dei testi redatti nel corso del secondo conflitto mondiale. Mastrogregori riprende le opere più note come La strana disfatta e L’apologia della storia, alla luce di un accurato lavoro di scavo filologico, che permette di superare le immagini mitiche che vi si sono sovrapposte; e integra poi in questa ricostruzione vari altri testi a torto ritenuti minori, in quanto privati, incompleti o a lungo inediti (dal progetto per Storici in laboratorio alla lezione A cosa serve la storia; dalle Riflessioni per il lettore curioso di metodo al taccuino Mea). Questo itinerario intende far emergere la peculiare vocazione “militante” della storia blochiana, che si rivela politica non in quanto asservita ideologicamente o votata ad una intransigente idea di giustizia sociale (come suggerisce invece la recente biografia di Raulff), bensì perché animata da un intenso afflato pedagogico verso la “città” e guidata da un’estrema fiducia nelle potenzialità critiche della storia. Non si tratta ovviamente di trascurare le convinzioni ideali e le prese di posizione dello storico, dal progressismo laico e borghese alla scelta militare, poiché anzi egli si dimostra pienamente consapevole delle dinamiche dell’attualità, criticando severamente il pacifismo di Monaco e avvertendo con acuta sensibilità i pericoli del nazismo. Tuttavia anche lo spiccato patriottismo di Bloch, cui non è estraneo il forte senso civico degli ambienti ebraici, ha come ricaduta storiografica non una chiusura nazionalista, bensì l’adozione di uno spazio di analisi e comparazione tendenzialmente europeo, così come l’attenta considerazione della nazione come problema storico piuttosto che come risposta pregiudiziale. 5. Dopo un’appendice biografica e una bibliografia estesa e aggiornata ci viene offerta infine una movimentata discussione della fortuna critica di Bloch, che ha visto via via valorizzare in lui lo specialista del medioevo e della storia economica, il capostipite delle Annales, lo storico della mentalità e, ultimamente, il martire della resistenza (ma si potrebbero aggiungere l’intellettuale ebreo, l’insegnante, lo storico del presente …). Pur avendo ben presenti i termini di questo dibattito e la sua recente reviviscenza, cui già si è accennato, Mastrogregori rifiuta di appiattire la sua trattazione sulle immagini troppo schematiche che sovente ne sono scaturite, e intraprende invece la strada di un’analisi più articolata che a partire da una attenta rilettura dell’opera di Bloch e da una seria riflessione dei suoi fondamenti teorici ne renda una rappresentazione più completa e approfondita. Egli rifiuta quindi la riduzione dello storico francese a campione della scolastica annalista nelle sue varie declinazioni generazionali, così come la sovrapposizione alla figura blochiana della sua eroica vicenda resistenziale; lo storico scienziato e l’intellettuale impegnato sono in effetti il frutto di una polarizzazione che non riesce a rendere ragione della compresenza in Bloch di spunti rilevanti in entrambe le direzioni. Il grande merito di questa introduzione è invece quello di mostrare come al grande problema del ruolo e del valore della storia, che è per Bloch personale, generazionale e professionale insieme, egli risponda collegandone la legittimità e l’utilità attraverso un sapiente dosaggio, sempre peraltro in discussione. Se è vero che di fronte agli attacchi generalizzati e generalizzanti Bloch accetta la sfida di mostrare “a cosa serve la storia”, avvertendo il peso morale, intellettuale e civile di questo compito, egli riconduce però questo impegno proprio alla dimensione di conoscenza autonoma e oggettiva della disciplina, il cui ruolo nella civiltà occidentale, soprattutto nel difficile passaggio tra i due secoli, non può che essere quello di insegnare agli uomini come gestire il peso dei ricordi in modo da tradurlo in preziosa risorsa intellettuale ed esistenziale. 6. Bloch si inserisce a pieno titolo nella riflessione epistemologica del suo tempo, intravedendo nei mutamenti del campo scientifico l’occasione anche per la storia di rivendicare una sua piena ma autonoma scientificità, forte di un metodo ormai consolidato, della capacità di scegliere gli oggetti e i punti di vista, della rinnovata consapevolezza dei suoi limiti e delle sue possibilità. Il Bloch metodologo della storia che ne scandisce le tappe dall’osservazione all’analisi fino all’interpretazione, è mosso dalla consapevolezza che una storia umile e artigianale, concreta e pragmatica può vantare in realtà grandi ambizioni e ampliare enormemente i suoi orizzonti; ma questo potenziale conoscitivo ha una precisa funzione sociale che non può smarrire a rischio di tradursi in vuoto gioco erudito o corporativo. D’altronde la vocazione propriamente politica dell’uomo Bloch non va cercata tanto, come abbiamo detto, nel ricorso all’azione come soldato e resistente, che anzi ne sancisce almeno in parte la sconfitta; bensì nel modo stesso di intendere l’autonomia e la scientificità della storia come funzionali al consolidamento del legame sociale e al progredire, sempre da conquistare, della civiltà. Egli concepisce infatti lo storico utile non come un artista dilettevole, un maestro di vita o un propagandista, bensì come un difensore della verità in grado di fornire ai suoi possibilmente numerosi lettori un’arma intellettuale indispensabile per una condotta matura e responsabile. La storia può infatti aiutare a combattere le forme più subdole di idoli e miti, a smascherare la menzogna, a gestire il potere della tradizione; rendendo consapevoli delle differenze essa consente di evitare gli «anacronismi dell’azione» e le «illusioni di autointellegibilità» del presente; entro certi limiti infine garantisce la possibilità di effettuare delle previsioni tendenziali o comunque di scegliere i tempi più opportuni per passare dalla riflessione all’azione. Mastrogregori mostra peraltro come questa posizione di Bloch si regga su equilibri assai delicati e sofferti, tra l’impellenza di una storia “viva” e il rifiuto di una storia “serva”; e il tentativo di ricondurre la politica alla sua dimensione culturale si dimostra alla fine inadeguato, nella misura in cui Bloch è costretto a deporre le armi metaforiche per imbracciare quelle reali e soccombere ad esse. Anche questo scacco però smentisce solo parzialmente il valore delle scelte precedenti: da un lato infatti il fallimento sul piano esistenziale non inficia in assoluto le conseguenze intellettuali della condotta blochiana, che anzi il successo del modello annalista e la sua perdurante vitalità tendono ad esaltare; dall’altro la scelta di dedicarsi in ultima istanza all’azione diretta non fa che confermare la coerenza di Bloch nel rifiutare di asservire la storia agli interessi di parte, se è vero che nel momento in cui “la via del professore “ si dimostra insufficiente, egli abbandona la storia senza rischiare di comprometterla o strumentalizzarla. 7. In generale Mastrogregori riesce a rendere tutta la drammaticità del percorso blochiano, animato dalla tensione inesauribile tra pensiero critico e azione pubblica, senza perdersi nei meandri di una “biografia impossibile” o nel gioco di specchi delle interpretazioni. In questo senso è interessante notare come l’autore rifiuti il Bloch uguale a se stesso di Febvre così come quello “ravveduto” dalle esperienze di guerra descritto da Ginzburg o Lyon, per riprendere invece l’immagine proposta da Toubert: quella di un continuo superamento di ostacoli, in cui i due conflitti rappresentano i nodi fondamentali, ma si inseriscono a loro volta in una continuità problematica, sollecitando l’arricchimento delle risposte blochiane. Non si tratta però di un processo lineare: non di rado Bloch fa cadere spunti tematici e metodologici appena precedenti e ne riprende invece a distanza di tempo altri a lungo trascurati. Su questo impianto interpretativo abilmente connesso Mastrogregori è in grado di innestare numerose osservazioni che ampliano le suggestioni metodologiche offerte dalla storiografia blochiana: tra queste ad esempio le intuizioni pionieristiche di Bloch storico della storia, sia nel passare in rassegna le tappe di formazione del metodo, sia soprattutto nell’indagine storica dei modi di azione della memoria e della rappresentazione del passato come assi della stessa civiltà occidentale. Ma anche il particolare taglio della vocazione pedagogica di Bloch laddove egli cerca di coinvolgere il “lettore curioso di metodo” nel “laboratorio dello storico” per chiarirgli il fascino avventuroso e insieme l’intrinseca difficoltà del suo lavoro (non sfugga a questo proposito la riproposizione dello stesso motivo a livello critico da parte di Mastrogregori, che rievoca a sua volta le tappe della propria scoperta di Bloch). O ancora le peculiarità blochiane nel lavoro di recensione e persino nei modi e nelle origini delle citazioni, che appaiono elementi non secondari del suo intento di stabilire uno scambio intellettuale vasto e diversificato, in cui il livello tecnico e quello genericamente intellettuale rimangano indipendenti, ma non estranei. Il Bloch di Mastrogregori è insomma, come quello recentemente apprezzato da Noiriel, un membro attivo e consapevole del proprio gruppo professionale, di cui indaga attentamente il ruolo e la tradizione; ma rispetto a quello strettamente “disciplinare” dello studioso francese, si mostra più attento alla comunicazione col lettore comune, anticipando anche in questo tendenze più recenti. 8. Chiarito tutto il valore di questo lavoro di introduzione, che rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria sintesi monografica, vale la pena di indicare alcuni punti rimasti in qualche modo in secondo piano, sui quali sarebbe interessante approfondire la posizione espressa qui da Mastrogregori, integrandola magari con alcuni suoi interventi precedenti. Si avverte infatti in questa occasione l’assenza di una panoramica più ampia del “processo alla storia” d’inizio secolo quale ci era stata offerta ad esempio ne Il manoscritto interrotto; e soprattutto manca la puntuale ricostruzione del rapporto con Febvre che era propria invece dell’opera su Il genio dello storico. L’Introduzione rievoca in effetti il comune ambiente strasburghese e la fondazione delle Annales, ma per quanto riguarda il confronto critico tra i due autori salta direttamente dalle recensioni giovanili alla disputa del ‘40. Forse per non riaccendere le polemiche (infondate) sull’atteggiamento di Febvre negli anni ’30, l’autore finisce per precluderci una ricostruzione puntuale del rapporto non sempre facile fra i due direttori nella redazione della rivista, dai dubbi del ’29 alla crisi del ’35 (dopo la morte di Pirenne), dai diversi giudizi su colleghi e collaboratori alla curiosa polemica sull’immagine blochiana dello storico come giudice istruttore. Quest’ultimo spunto riporta fra l’altro alla luce alcuni elementi irrisolti o equivoci della linea storiografica blochiana, come la questione aperta del lessico storiografico o l’assenza di una posizione precisa riguardo all’interesse storico; elementi che proprio Mastrogregori aveva altrove contribuito ad evidenziare, una volta legittimata l’analisi dell’opera di Bloch sul piano propriamente teorico. Si ha insomma l’impressione che nel lodevole intento di superare alcune critiche troppo scolastiche rivolte allo storico francese nella sua prima opera, Mastrogregori indulga ora in qualche concessione di troppo a suo favore, proponendo estrapolazioni non sempre dimostrabili riguardo alla consapevolezza teorica di Bloch e alla coerenza della sua impostazione. Se queste considerazioni vanno indubbiamente sfumate dal richiamo al taglio sintetico dell’ Introduzione, è opportuno comunque rilevare come la sentita esigenza di sottolineare l’originalità del magistero blochiano spinga forse Mastrogregori a sbrigare troppo precipitosamente il nodo del suo rapporto con la tradizione storicista. Altri critici, come Arcangeli o Oexle, sembrano infatti ravvisare non del tutto a torto tra Bloch e i suoi contemporanei tedeschi consonanze che vanno oltre quella generica atmosfera culturale d’inizio secolo che Mastrogregori rievoca attraverso la definizione cantimoriana sugli storici “scontenti e innovatori”. Se il silenzio di Bloch su Weber e le critiche a Meinecke qui puntualmente ricordate testimoniano inequivocabilmente del solco che l’azione di Durkheim ha esercitato nel separare il mondo culturale francese da quello tedesco, non si può però a rigore parlare di totale impermeabilità tra le due tradizioni. Senza che egli ne sia necessariamente consapevole, ritornano in Bloch motivi come la salvaguardia dell’individualità o la difesa del costruttivismo razionalistico, che pur non essendovi direttamente riducibili, non sono però neanche totalmente estranei alla Methodenstreit, mediata evidentemente da Pirenne e da Halbwachs. 9. In conclusione è giusto ricordare come anche queste domande in parte inevase si inseriscano senza soluzione di continuità nella riflessione di Mastrogregori, sollecitate nel lettore proprio dalla ricchezza e dalla dinamicità della sua introduzione, che contribuisce indubbiamente a promuovere una migliore conoscenza di Bloch e soprattutto a restituire la ricchezza della sua lezione ed insieme del suo esempio. Chiamando la tradizione italiana ad un dialogo più costruttivo con l’autore alsaziano, Mastrogregori ci invita insomma a riflettere senza disfattismi o vanaglorie, sulle risorse a disposizione della disciplina e in generale della cultura storica per affrontare una crisi non solo storiografica quale quella del primo Novecento, ma anche, evidentemente, quella odierna. Wojtyla e la dottrina della storia - Wojtyla and the doctrine of historyby Stefano Vaccara No. 52 - 1 April 2000 (original in Italian) "Gli uomini sbagliano, solo i grandi uomini confessano di essersi sbagliati", diceva la grande mente illuminista di Voltaire che non avrebbe certo immaginato che le sue parole potessero servire a commentare il discorso di un papa. Domenica 12 Marzo 2000: Giovanni Paolo II chiede a Roma perdono a Dio per gli errori commessi dalla Chiesa nella sua storia. L’"infallibile" Papa rivela che l’istituzione di cui il Giubileo festeggia i duemila annni di storia, ha piú volte sbagliato e peccato. Un "mea culpa" che ha un grande significato non solo per il futuro dela religione cattolica e della sua
Posted on: Wed, 07 Aug 2013 22:28:42 +0000

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