05 luglio, 2013: Italia, Politica ed Economia Non passa giorno - TopicsExpress



          

05 luglio, 2013: Italia, Politica ed Economia Non passa giorno senza che qualcuno si senta in dovere o nel diritto di suggerire all’Italia cosa fare e cosa non fare nel campo della politica, dell’economia, dello sviluppo della società. Consigli, raccomandazioni, presunte formule magiche e velate minacce si alternano nei discorsi con i quali chicchessia si ritrovi a parlare dell’Italia si arroga il diritto di indicarci la strada da seguire per arrivare alla sospirata meta della crescita. Non c’è che dire, dobbiamo prendere atto che siamo un Paese a sovranità molto limitata e che poco o nulla facciamo per ribadire ed imporre il nostro pieno potere decisionale. Abbiamo creato l’Europa, perché checché se ne dica la Comunità Europea è una invenzione italica, non per nulla il trattato costitutivo s’è firmato a Roma nel 1957, non a Rovaniemi, la città di Babbo Natale. Eppure anche tra gli ultimi arrivati c’è chi ha ritenuto di prendersi l’arrogante libertà di porci ricatti ed ultimatum come fecero lo scorso anno, in piena crisi dello spread, pensate un po’ la Finlandia e la Slovacchia, che hanno il Pil di Abbiategrasso e nella storia possono vantare l’invenzione della slitta da neve la prima e la brydza, una specie di caciotta di pecora, la seconda. Almeno fossero raccomandazioni giustificate e congruenti. L’Ocse ci accusa di avere una pressione fiscale insostenibile, però se il governo nazionale tricolore accenna ad interventi su quel fronte ecco scene di disperazione perché mettiamo a repentaglio i conti pubblici e ci fanno passare come gli avvelenatori del clima finanziario internazionale, la prima tessera del domino che rischia di far crollare l’euro e mandare l’Europa, l’Asia, l’Africa, l’Oceania e l’America in default. Un giorno sì e l’altro pure Christine Lagarde dall’ultimo piano della sede del Fondo Monetario Internazionale ci sprona ad intraprendere una riforma per flessibilizzare il mercato del lavoro e semplificare la burocrazia per attrarre investimenti, incoraggiare l’occupazione e rilanciare i consumi, ma poi pone un veto a togliere l’Imu sulla prima casa, che secondo lei andrebbe mantenuta per ragioni di equità, ma che ad eliminarla invece sarebbe ossigeno per le famiglie ed i consumi. Scusi signora Lagarde, fatto salvo il suo diritto a valutare le situazioni interne dei Paesi membri, una volta che lei abbia indicato quelli che a suo giudizio sarebbero gli obbiettivi per noi utili da perseguire, saranno o no fatti nostri, degli italiani intendo dire, decidere con quali misure, utilizzando quali leve fiscali, monetarie od economiche od attraverso quali riforme strutturali raggiungere quegli obbiettivi? La Ue ci impedisce di investire per non compromettere la stabilità del bilancio, ci mortifica perché abbiamo un livello di disoccupazione giovanile immorale ed assolutamente inaccettabile, ma poi ci impone di non sforare il 3% nel rapporto deficit/Pil annuale che adesso sta al 2,9 %, una vera presa in giro di nessun pratico effetto, a meno che non si sia noi, il nostro governo a dargliene uno significativo facendo quello che è meglio per il Paese e fregandosene dei disperati, ancorché infondati ed interessati, appelli di Bruxelles. Ci espongono al pubblico ludibrio internazionale, dicono che siamo un Paese di opportunisti e di evasori perché abbiamo una economia sommersa di 270 miliardi, lavoro in nero che non paga né tasse, nè contributi e genera moltitudini di sanguisughe ufficialmente nullatenenti. Ok, d’accordo, però, poi nel fare i conti di bilancio di questi 270 miliardi per i quali ci umiliano e ci mortificano si perde ogni traccia tangibile, scompaiono dalla colonna di sinistra, non se ne tiene conto. Eppure sono soldi che finiscono in tasca alla gente, alle imprese, alle famiglie che li spendono, sono economia, fanno cassa e consumi, contribuiscono allo sviluppo. Se se ne tenesse conto come sarebbe giusto che fosse visto che è una massa monetaria che circola, non una grandezza virtuale, l’indebitamento, rapporto percentuale debito/Pil, che sta approdando a quota 130% sarebbe oggi, in termini effettivi e nonostante Monti, solo, si fa per dire, del 105%, comunque migliore di quello di molti Paesi che pretendono di darci lezione in materia di economia e finanza. Mentre gli altri dall’estero ci danno indicazioni contraddittorie sul da farsi, c’è chi in Italia non si limita a dare consigli al governo, ma si sostituisce ad esso, vanificando ogni misura intesa a razionalizzare i conti e prendendo decisioni vincolanti che sarebbero di esclusiva competenza dell’esecutivo, sconfinando sistematicamente dall’alveo costituzionale nel quale dovrebbe muoversi. Ci riferiamo alla Corte Costituzionale, o Consulta che dir si voglia, che negli ultimi tempi è stata protagonista di sortite che suscitano perplessità e preoccupazioni. Si ricorderà quando Monti intervenne a decretare il taglio dei maxi stipendi degli alti dirigenti dello Stato imponendo un aggravio fiscale del 5 % per quelli oltre i 90mila euro e del 10 % per quelli oltre i 150mila. La Consulta si riunì e deliberò che quel provvedimento non sarebbe costituzionale perché creerebbe una discriminazione tra dirigenti del settore pubblico e privato. Con questa decisione hanno violato la ragione ed il diritto tre volte. Primo, perché tra gli alti funzionari dello Stato sono inclusi pure i magistrati della Consulta che, di fatto, hanno espresso un parere su quale dovesse essere il proprio stipendio : ci può essere un esempio di conflitto di interessi più clamoroso di questo? Secondo, hanno detto una evidente baggianata, perché un imprenditore privato paga i propri dipendenti con i propri soldi per cui, sintanto che non viola alcuna legge dello Stato, può stabilire livello retributivo ed incentivazioni come meglio crede per reclutare e fidelizzare le risorse migliori su un mercato libero ed aperto alla concorrenza. Terzo, che comunque la Consulta non può negare allo Stato imprenditore il diritto, nella tutela degli interessi superiori della collettività, di stabilire il livello retributivo dei propri dipendenti sino ai massimi vertici di carriera, posto che questi godono della possibilità di essere oggetto di negoziazione sindacale. Poi ci sarebbe da considerare una ragione di opportunità. Non si vergognano i giudici della Consulta a difendere corporativamente i privilegi di una casta i cui appartenenti fanno carriera in modo automatico, ognuno di quali guadagna quanto dieci operai, non sono soggetti ad alcun controllo neanche lasco ed approssimativo delle presenze, che si vedono riconoscere provvidenze ed avanzamenti di carriera senza l’adozione di alcun criterio di valutazione meritocratico o legato alla produttività, ma che soprattutto sono intoccabili e vanno indenni da qualsiasi provvedimento disciplinare ed amministrativo, anche per i casi di manifesto dolo o grave negligenza? L’ultima della Consulta è quella dell’altro giorno sulle province, enti non solo inutili, ma dannosi perché sono centri che non producono niente se non lo sperpero di denaro pubblico, ma che i giudici costituzionali ritengono non possano essere soppresse se non con un iter di modifica di legge costituzionale. Perché? Dove sta scritto? Con queste interferenze, questi continui sconfinamenti, queste indebite invasioni di campo come può fare un governo a governare se per qualsiasi iniziativa si profila sistematicamente la spada di Damocle dell’intervento della Consulta a stravolgere i piani? Come può fare questo governo, o quello dopo od un altro ancora, a risanare l’economia ed a ridurre il debito pubblico se non può decidere, neanche quando dispone di ampia maggioranza, dei provvedimenti più efficaci da varare? Adesso per raccogliere risorse sostanziose si dovrebbe porre mano alla vendita di beni demaniali dello Stato, si parla di 3-400 miliardi e di una corposa spending review fatta non di tagli a carico dei cittadini, che rappresenterebbero nuove tasse occulte, ma di eliminazioni di sprechi, a cominciare dall’adozione di listini di prezzi standard per tutte le ASL, al ridimensionamento della piaga delle municipalizzate che producono decine di migliaia di AD, DG, dirigenti, tutte posizioni costose, fittizie, inutili e clientelari. A Roma, per fare un esempio, c’è un ospedale che dispone di 17 posti letto, ma vanta la bellezza di 16 primari medici, in pratica uno per letto, i primario-letto. Altre strutture sanitarie dispongono di un direttore dei servizi di telefonia interni, cioè per citofoni ed interfono! in un’epoca dove è tutto informatizzato e le comunicazioni viaggiano su e-mail. Oppure si ennuplicano i reparti di chirurgia e gli addetti, cioè primari, chirurghi, medici e paramedici, precludendo qualsiasi possibile sinergia e risparmio sui costi correnti di gestione. Addirittura, in qualche caso, si arriva ad avere un direttore per la gestione del personale interno ed uno per quello in convenzione. Basterebbe intervenire su questi aspetti macroscopicamente evidenti ed adottare un listino di prezzi standard per risparmiare miliardi, altro chè Imu e punto d’IVA. Ma chissà se FMI, Ue e gli altri, ma soprattutto la Consulta, riconosceranno al nostro governo il diritto e la responsabilità di prendere decisioni autonome, maturate e concordate all’interno della maggioranza che lo ha espresso e lo sostiene. Noi crediamo che sia arrivato il momento che siano gli italiani a decidere del proprio destino, e che sia la politica ad operare le scelte fondamentali di questo processo decisionale, non la magistratura. Letta ed i suoi alleati ne prendano atto, si diano da fare e rendano innocui i nemici interni ed esterni del Paese. di Rosengarten © 2013 Qelsi qelsi.it/2013/a-cosa-serve-un-governo-in-italia-se-a-dirci-cosa-fare-sono-la-consulta-locse-il-fmi-la-ue-e-la-bce/
Posted on: Fri, 05 Jul 2013 14:26:52 +0000

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