Appunti per una lezione: il Montello tra locali, veneziani, - TopicsExpress



          

Appunti per una lezione: il Montello tra locali, veneziani, francesi, austriaci e italianiIL MONTELLO E LA QUESTIONE SOCIALE Con l’entrata in scena di Venezia il bosco diventa di interesse statale, in particolare a partire dalla seconda metà del ‘400 quando l’espansionismo turco costrinse Venezia a potenziare la flotta. Il bosco era vicino, ed era ricco di roveri da trasportare attraverso il vicinissimo Piave. Venezia quindi “bandì” il Montello, cioè lo destinò in esclusiva all’Arsenale (il cantiere navale). E’ l’inizio anche della questione sociale. I primi provvedimenti degli anni ’70 del Quattrocento furono di carattere sostanzialmente punitivo nei confronti di coloro che “taiono et dissipano de dicti legnami grandissima quantità et de i più belli per far doge di botte et carboni..” Queste disposizioni, periodicamente rinnovate, rispondevano evidentemente all’interesse dello Stato, ma nei fatti si scontrarono con la consuetudine degli usi comunitari della popolazione locale All’inizio venne consentito (leggi vaghe) a varie autorità di concedere autorizzazioni al taglio che, ben presto, non vennero più tollerate. Nel 1523, l’importanza delle risorse del bosco spinse tutta la materia nelle mani del potentissimo Consiglio dei X. Tutte le autorizzazioni vennero revocate e non ne furono più concesse. Nel 1536 venne ordinato la demolizione di tutte le abitazioni e la chiusura delle fornaci. La gestione dei roveri e il controllo degli spazi riservati al pascolo e alle coltivazioni vennero rigidamente normate e affidate ai Provveditori Sopra Boschi. Fu il provveditore Giacomo Giustinian, nel 1586, che propose la decisione definitiva dell’indemaniazione attraverso la recinzione dell’area e la predisposizione di un migliaio di cippi in pietra numerati progressivamente. I rilievi dei Giustinian(che denunciò anche la crescita irrazionale dei roveri spesso inutili) portò alla necessità di una politica di rimboschimento e di bonifica che tenesse conto delle esigenze dei locali ai quali avrebbero potuto essere destinati i prodotti secondari del bosco e soprattutto la gestione del taglio e della manutenzione del patrimonio boschivo Venne quindi istituito il Provveditore sopra il bosco Montello (1587) e l’anno seguente si costruì la sede permanente della Provveditoria in Giavera. I membri della nuova magistratura divennero tre nel 1590 e, finalmente, alla fine di gennaio del ’92 venne deliberata la messa in Serenissima Signoria (completa indemaniazione e perimetrazione) del bosco. Va ricordato che della selva si occupavano anche altre magistrature (come i Savi ed esecutori alle acque, vedi mappa) per i quali il bosco era necessario per la fornitura dei cosiddetti tolpi (roveri di serie b), fondamentali per la costruzione delle difese a mare e per la rete segnaletica lagunare (le brìcole). L’indemaniazione dell’area boschiva appare anche complementare, per certi versi, agli sviluppi insediativi prodotti ai piedi del colle dall’attivazione, a metà Quattrocento, della seriola del bosco. Nel corso del Seicento (turchi) aumentò inoltre tutta la normativa concernente il taglio e il trasporto (carizade) del legname, operazioni a cui erano tenute le comunità rurali, secondo modalità dirette e previste dall’autorità podestarile e di Giavera. A testimonianza dell’importanza del bosco, val la pena di ricordare che uno dei principali compiti assegnati al Corpo territoriale della contadinanza detto della Podestaria di Treviso (una sorta di organo assembleare formati dai delegati delle oltre duecento ville del trevigiano) era proprio quello di concorrere (in denaro e in natura) alle gravezze de roveri e condotte, una prestazione pubblica che andava, quindi, molto al di là dei suoi limiti territoriali. Il capitolo delle condotte dei roveri è stato, sinora, colpevolmente sottovalutato dalla letteratura accademica e non. Il discorso attorno al bosco ha infatti animato i corni del dibattito attorno alla cosiddetta “sostenibilità ambientale” ante litteram di Venezia e della sua indemanazione da un lato e i diritti d’uso dei locali conculcati dalla Dominante. Didattito: dibattito del tutto sterile perché imperniato su due proiezioni “moderne”: la risibilità di un principio “ecologico” attribuito al cinquecento da una parte e le pretese”democratiche” dell’uso dall’altra. In realtà, la vera questione storiografica che, a quanto consta, nessuno ha mai sinora affrontato sul piano della ricerca, è quella delle “gravezze”, del peso fortissimo di queste imposizioni ai locali e non, dell’eccesso di fiscalità (almeno a partire da metà Cinquecento) che è invece tema assolutamente centrale nella storiografia di antico regime Venezia: cancellazione degli usi civici e indemaniazione; locali allontanati dal bosco e dalle attività silvo-pastorali. Nasce il boscaiolo di stato addetto ai tagli e alle condotte. viene permessa, nel ‘600, la raccolta di erba, ghiande, funghi, legna secca. Nei secoli di antico regime, nei paesi montelliani, svaniscono i vecchi mestieri Fine Settecento: saccheggi e disordini. Tutti tagliano, anche perché c’è chi compra. Francesi e austriaci: quadro normativo 1811, 27 maggio. Decreto Napoleonico: Montello proprietà demaniale, fine dei privilegi. Motivazione: con la fine delle angherie (prestazioni dovute) spariscono anche i privilegi. Nasce il fenomeno del bisnent e dei furti: ladro su commissione. 1847, Regolamento Austriaco. Si disciplina la distribuzione gratuita di quantità limitatissime di legna da fuoco. Dopo il ’48 l’uso gratuito viene revocato e arrivano i militari (rastrellamenti casa per casa, in realtà per ragioni politico-repressive). 1865, Nuovo Provvedimento che istituisce le “concessioni” ai miserabili e ai disoccupati coinvolgendo comuni e parrocchie nell’individuazione degli aventi diritto. Si prevedono i prodotti accessori (funghi, ghiande ecc) per i veramente miserabili (praticamente impotenti al lavoro) e i prodotti secondari (broccame, ceppaie, legna dolce) ai “bisognevoli di lavoro”. Come è stato detto il nostro montelliano passò da contadino-pastore a boscaiolo, da ladro (in complicità) ad assistito. In sostanza il secolo XIX è il secolo dei bisnenti (sottoproletari rurali, da masenente, costretto a pagare il macinato; bracente, uso delle braccia per lavorare, lavoratore a giornata, ecc.) e della “questione Montello”, poi sfociata nella legge di alienazione e quotizzazione del 1892 di Pietro Bertolini. La situazione va peraltro inquadrata nei termini di uno sfruttamento boschivo ad uso dello stato che l’arrivo degli austriaci rilancia e la realtà di un uso sempre più incontrollato di risorse sulle quali viveva un’intera società locale, essendo i bisnenti l’anello debole o il terminale evidente di un committenza di nuovo e vecchio conio sociale. In questo quadro il Regolamento del 12 marzo 1847 riassume bene il tentativo di conciliare gli opposti. Gli otto articoli del regolamento da un lato ribadivano l’uso riservato del bosco per le esigenze della Marina Imperiale, ma dall’altro disciplinavano la distribuzione gratuita ai poveri assolutamente miserabili di quantità determinate di legna da fuoco. Il carattere assistenziale del provvedimento del ’47 trovava conferma tecnica anche dalla genericità assoluta dei criteri che avrebbero dovuto individuare i beneficiari Le concessioni previste dal provvedimento del ’65 chiarivano invece il quadro sociale dei destinatari estendendosi ai disoccupati, richiamando la mediazione di parroci e sindaci e presentando con precisione le procedure da seguire, il materiale concedibile e relative sanzioni, giungendo sino a distinguere i prodotti accessori (erba, funghi, ghiande ecc.) da quelli secondari (ceppaie, legna dolce). In conclusione, per la prima volta, veniva concesso ai bisnenti di accedere al bosco Malgrado tali misure, i furti (quasi 5000 reati boschivi l’anno) continuarono e la spoliazione, legale o indiretta, del bosco assunse ritmi sempre più intensi. All’indomani dell’Unità, secondo alcune stime, erano ancora presenti solo un milione e mezzo di roveri a fronte dei più di dieci segnalati dalle autorità venete a fine Cinquecento Ormai, però il problema era un altro: il crescente numero di persone sempre più costrette a vivere ai margini del bosco (le stime parlano di 7 8 mila miserabili, una realtà affrontata con il bastone e con le concessioni Mentre il fenomeno si andava trasformando in un grave problema di ordine pubblico, si fece lentamente strada la convinzione che tutta la materia dovesse essere affrontata in un’ottica riformista Vale a dire mettere fine all’uso demaniale di un bosco sempre più inutile (nonostante le strenue difese della burocrazia forestale) e sempre più saccheggiato dal popolo del bosco e dagli appetiti speculativi e affaristici del grandi proprietari locali, non di rado anche pubblici amministratori (i Cornuda, i Gobbato), denunciati con vigore e coraggio dall’ispettore Adolfo Di Bérenger (artefice fondamentale della divisione reticolare in prese del territorio) in una memorabile lettera al Commissario Distrettuale di Montebelluna. Nel corso degli anni settanta prese avvio pertanto un dibattito intensissimo sul futuro del bosco. Le proposte più innovative (Dall’Armi, Stivanello, Luzzatti) caddero progressivamente nel dimenticatoio travolte dal profluvio e dal turbinio ventennale di atti parlamentari, comitati distrettuali, commissioni consorziali e prefettizie, progetti societari di acquisto e estemporaneità assortite. In ogni caso, quando la situazione divenne insostenibile, la discussione del problema arrivò persino in Parlamento. La vicenda si snoda attraverso gli atti delle commissioni parlamentari e i numerosi pamphlet redatti sull’argomento. Le posizioni di fondo erano sostanzialmente due (la terza, cioè l’emigrazione forzata proposta da alcuni sindaci, non è mai stata una posizione decente) 1.la vendita del bosco ai privati, fatte salve determinate condizioni d’uso e di sviluppo; 2. la trasformazione agraria del bosco da affidare ai Comuni secondo modalità abbastanza utopiche. Alla fine, dopo una serie articolatissima di interventi e di tentativi si giunse al provvedimento legislativo di alienazione in base al quale metà del territorio veniva messa sul mercato e l’altra metà divisa in quote da assegnare ai poveri residenti. Il disegno legislativo proposto da Bertolini e varato da Chimurri mirava, in sostanza, a risolvere la questione sociale assegnando quote di terreno agli aventi diritti evitando che l’operazione comportasse costi a carico dello stato. Si arrivò a determinare oltre 1200 quote da assegnare gratuitamente e 386 poderi da vendere sul libero mercato. Il modello di riforma agraria del Montello si doveva basare in pratica sull’autofinanziamento garantito dalla vendita ai privati. In questa chiave venne finanche presentato come modello campione all’Esposizione Universale di Parigi. Nonostante tutto ciò, la riforma complessivamente fallì e per diverse ragioni. Perché falli? 1. Il numero eccessivo degli aventi diritto accertati e voluti anche su pressioni politiche locali (Gobbato) determinarono la riduzione della superficie di quote che non potevano garantire produttività significative; 2. l’assemblaggio delle famiglie numerose non funzionò, la disomogeneità delle caratteristiche della superficie coltivabile (spesso impervia e segnata da forti pendenze tra le prese VII e XV ); 3. l’assegnazione delle quote secondo il criterio della vicinanza all’abitato impedì il coinvolgimento sul fondo visto che i quotisti rimasero in paese 4. la diversificazione dell’occupazione; 5. la scarsa vocazione coltivatrice, 6. la rinuncia al credito offerto dalla Cassa Montelliana; 7. l’indice di occupazione delle quote molto basso (solo 135 case costruite sulle 1224 quote nel 1911) Queste furono solo alcune delle ragioni del fallimento, a cominciare dall’elementare osservazione che la terra per i bisnenti continuava ad essere una variabile nient’affatto centrale della propria dimensione culturale. D’altro canto, che lavorare la terra sul bosco non fosse affatto facile (avallamenti, viabilità, acidità del terreno) è dimostrato dai dati, anch’essi tutt’altro che soddisfacenti, dei poderi costituitisi nella metà alienata. Basti pensare che ben dentro il Novecento, in pianura si produceva ancora il doppio rispetto al colle. La riforma complessivamente fallì e ancora ci si interroga che cosa avrebbe potuto produrre una colonizzazione affidata ad una società capace di grandi investimenti e in possesso di rilevanti mezzi finanziari. Secondo i membri della Commissione Pallotta del 1884 (Saccardo, Benzi e Galanti) sul Montello sarebbe stata auspicabile una distribuzione colturale fondata sul vigneto a mezza costa, il tabacco nei terrazzi e frutteti ovunque Scelte chiaramente irrealizzabili nel Veneto affittuario e radicato nella religione della piantata. Solo un’ottica unitaria e pianificatrice, capace di garantire proficue opportunità di commercializzazione, avrebbe potuto garantire il successo di tali indicazioni. Mancò in sostanza il tempo e il coraggio di percorrere le strade dell’innovazione e ora sappiamo come andò: mais, thinquantìn e patate. Ora, come ben sappiamo, è arrivato il prosecco, ma questa è un presente in corso, con tutte le sue variabili, economiche, sociali ed ambientali.
Posted on: Fri, 12 Jul 2013 13:42:59 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015