Caro Marco, quel che è successo a Salerno te lo spiego - TopicsExpress



          

Caro Marco, quel che è successo a Salerno te lo spiego io… Piccolissima premessa: oggi non parleremo di Inter. O forse si, perchè il calcio è calcio a tutti gli effetti e in tutte le Serie, e ciò che è accaduto all’Arechi può succedere anche a San Siro. Detto questo, è inutile che mi metta a fare una cronaca dei fatti accaduti ieri, tanto ormai li conoscono tutti; quello che più mi ha arrecato dispiacere, dopo aver sentito le varie opinioni, è stato leggere questo articolo che sto per riportarvi, in cui si spiegava al piccolo Marco, giovane supporter della Salernitana, quello che stava succedendo in campo. Ecco il pezzo di Dario Cioffi su resport.it: «Papà, cosa succede?». Marco ha sette anni. Uno sciarpone granata che l’avvolge e un dubbio che l’assale. «Perché la partita non comincia?». Il babbo non dà risposta. Semplicemente si guarda intorno, lì, dall’anello superiore della Tribuna Azzurra. Ha una mano sul cuore e un’altra sull’orologio. È mezzogiorno e mezzo. Tira fuori un iPhone dalla tasca. Ha un altro figlio allo stadio. In Curva Sud. Gli telefona e grida: «Entra dentro, stupido. Che cazzo ci fai ancora fuori?». Dall’altro capo della linea il ragazzo (un adolescente) lo tranquillizza. Dice al padre ch’è tutto a posto. Che i boati che sente sono soltanto petardi che esplodono mentre gli ultras raggiungono in corteo il piazzare antistante l’Arechi. Però nessun problema d’ordine pubblico. Il papà si rasserena. Guarda Marco e lo tranquillizza. Poi alza la testa verso i box della sala stampa. Chiede ai giornalisti: «Si gioca? Quando?». Il bimbo si consola con un pacco di Ritz. Mangiucchia e torna alla carica: «Papà, allora?». La risposta arriverà poco dopo dallo speaker. «Tra quindici minuti la partita avrà inizio», dice Luca Scafuri, “voce” degli altoparlanti dell’Arechi. Peccato che quella che stia per cominciare sia solo una farsa. Tre cambi, tutt’insieme, in due minuti. Marco guarda attonito. Pare non aver neppure più la forza di rivolgere altre domande al padre. Un infortunio. Poi un altro. E un altro ancora. Fino a quando la Nocerina non resta in sei. E l’arbitro fischia tre volte. «La partita è sospesa. Finita», dice il papà ancor prima che il figlioletto glielo chieda. Tutto quel ch’è accaduto prima, e che ancora succederà dopo, è nulla davanti al volto pietrificato, perplesso, incredulo e scosso d’un bimbo di sette anni che sfila via dallo stadio dopo un “non” derby costato a lui e a suo padre 30 euro (e magari fosse solo un problema di soldi). Se questo è il calcio, statene certi, Marco non lo guarderà più. E nei suoi occhi tristi c’è il volto riflesso d’ognuno di noi. Quindi, tornando a noi, sorvoliamo sulla retorica buonista e sentimentalista. Anzi, siccome siete proprio voi a usare queste becere armi mediatiche, consentitemi di rispondervi a tono, utilizzando il vostro stesso stratagemma. Consentitemi di spiegare al giovane Marco cosa è successo. Caro Marco, capisco quanto sei triste, capitava anche a me alla tua età. Posso sembrarti eccessivamente giovane rispetto alle mummie che avrai ascoltato ieri e oggi allo stadio, o per radio, o in tv. Ma, nonostante questo, vado allo stadio da 20 anni, non tantissimi ma nemmeno pochi, non una cosa trascurabile. Vedi Marco, vorrei parlarti di un altro bambino, che si chiama come te, che ha la tua stessa età, e adesso è avvolto in un enorme sciarpone rossonero, in onore della sua amata Nocerina. Lo vedi Marco? Riesci a vedere l’altro Marco in quel settore? No eh!. Non lo vedi perchè al piccolo Marco la trasferta è stata vietata, vietata preventivamente, come se la maestra ti cacciasse fuori dalla classe senza che tu hai fatto un bel niente ma col sospetto che avresti potuto dare un pizzicotto alla ricciolina del banco dietro. E come lui anche Andrea, che non aveva i soldi per comprare il biglietto, e quindi ha lavorato tutto il weekend per poterselo pagare, perdendosi risate e avventure con gli amici. E come loro anche quelli che si erano piegati all’insulso stratagemma della Tessera del tifoso, pagandola pure, e che ieri ne hanno assaporato, sulla loro pelle, l’inutilità. Cosa voglio dirti, caro Marco? Voglio dirti che la vita, come il calcio, non è tutta rosa e fiori, ma come non lo è per te, non lo è per tutti. Ieri ti sei perso uno spettacolo di novanta minuti, ma, come te, anche tanti altri tifosi molossi. Perchè? Per quale motivo? Non ci è dato sapere. E non farti propinare la solita solfa dell’ordine pubblico, degli ultras violenti, dei tifosi calmi da tutelare. Tutte cazzate Marco. Se non si è in grado di far giocare un derby all’Arechi, stadio che merita ben altri palcoscenici, allora non si è in grado di organizzare un bel nulla, non si può mettere in atto più niente in questa nazione. E, inoltre, non fraintendermi, il mio non è un compromesso con la violenza; non ti sto dicendo che è giusto minacciare di morte solo per raggiungere un obiettivo, no assolutamente. Anzi, sarebbe stato ancora più bello se, senza alcuna minaccia, i molossi avessero boicottato comunque il match, per solidarietà verso coloro che tengono acceso, con lampante passione, il loro lavoro. Quando avevo la tua età, caro Marco, le cose non funzionavano così, gli stadi erano diversi. Le partite erano uno spettacolo, gli spalti erano il folklore allo stato puro. E oggi invece? Ti posso fare una domanda Marc0? Come hai fatto a innamorarti di questo sport oggi? Come hai fatto senza le bandiere, senza le sciarpate, senza i fumogeni, senza i tamburi, senza gli sfottò, senza gli striscioni, con gli stadi semivuoti? Come hai fatto Marco? E, se ancora non sei innamorato, come farai? Ascoltate il mio consiglio, Marco granata, Marco rossonero. Lasciate perdere, non ne va le la pena. Io, ormai, con 20 anni di stadio alle spalle non posso farci niente più, non ho nessuna possibilità di uscirne, ci sono dentro fino al midollo. Ma voi no. Oggi a uno di voi è stato vietato il diritto alla trasferta, un diritto al divertimento. Domani potrebbe succedere all’altro, così come, nella vita, possono esservi tolti diritti ben più importanti. Perchè continuare a seguire tutto questo? Che senso ha tifare una squadra solo guardandola in tv? Che senso ha non poter sventolare una bandiera, non poter accendere un fumogeno, non poter cantare un coro goliardico quando poi, fuori da quelle quattro mura, possono anche ammazzarvi davvero, tanto non è più un loro problema? Lasciate perdere. Il calcio, se proprio vi piace, giocatelo, non seguitelo. Tanto le cose belle ve la siete già perse. Tranquilli, ci penserò io ad avvisarvi se dovesse cambiare qualcosa. Se tutto tornerà ad essere stupendo come un tempo allora mi prendo la responsabilità di chiamarvi. Quel giorno guarderemo il prato verde emozionandoci insieme.
Posted on: Tue, 12 Nov 2013 10:31:28 +0000

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