Caso kazako:dopo il comunicato di UDGDP ora anche il tribunale - TopicsExpress



          

Caso kazako:dopo il comunicato di UDGDP ora anche il tribunale accusa la polizia «Gravissime omissioni sull’espulsione» tribunale Unità Democratica Giudici di Pace aveva già indicato nel suo comunicato sulla vicenda della signora Shalabayeva e sua figlia quali erano le considerazioni che emergevano dai fatti. Comunicato di Unità Democratica Giudici di Pace del 21 luglio 2013 Ora anche la stampa sta pubblicando articoli e recenti interviste che confermano le valutazioni date dal nostro sito. ” Adesso sotto accusa per il pasticcio kazako finisce la polizia: nelle procedure per l’espulsione di Alma Shalabayeva ci sarebbero state «gravissime omissioni». Ad affermarlo è il presidente del Tribunale di Roma, Mario Bresciano, che ha inviato una relazione al procuratore Giuseppe Pignatone per «denunciare» le gravi anomalie riscontrate nel comportamento dei polizia «prima e dopo la convalida del provvedimento di trattenimento della Shalabayeva da parte del giudice di pace». Adesso toccherà a Pignatone eseguire gli accertamenti. Bresciano, che ha la competenza sulla sorveglianza dei giudici di pace, era stato chiamato a fare chiarezza dal ministro della Giustizia sulla mancata visione, da parte del giudice di pace Stefania Lavore, del documento che il 30 maggio 2013 l’ambasciata kazaka aveva inviato alla Questura di Roma. Un atto nel quale si chiariva che Alma Ayan, la donna trattenuta a Ponte Galeria, era in realtà Alma Shalabayeva. Il 31 maggio, il giudice aveva convalidato il provvedimento. Per Bresciano il giudice sarebbe stato «tratto in inganno». LA DENUNCIA «Non ho riscontrato alcuna anomalia da parte del giudice di pace – spiega Bresciano – ho già inviato l’esito degli accertamenti al ministro». Poi aggiunge: «Certo se ci fosse stato un giudice togato le cose sarebbero andate diversamente. Probabilmente altri accertamenti avrebbero bloccato la procedura. Ma formalmente non c’è nulla da eccepire». Bresciano ha invece riscontrato condotte pesantemente censurabili da parte della polizia. Aggiunge: «Ho denunciato al procuratore le gravissime omissioni e una fretta insolita e anomala nelle procedure». Perché il documento della Repubblica kazaka, nel quale si diceva che la signora Alma Ayan era in realtà Alma Shalabayeva, è arrivato in Questura il giorno prima dell’udienza, eppure la polizia non lo ha mai consegnato al giudice di pace. «Il giudice è stato tratto in inganno da atti omissivi», ha concluso Bresciano nella nota a Pignatone. Il giudice Lavore, convocata da Bresciano, come l’interprete che il 31 maggio ha assistito la Shalabayeva nel corso dell’udienza, ha spiegato in un documento, adesso trasmesso alla procura, di avere sentito il nome Shalabayeva solo dagli avvocati che assistevano la donna. I legali, per dimostrare che il passaporto di Alma Ayan era autentico, avevano presentato due fax delle ambasciate della Repubblica Centraficana nell’Ue: si attestava che il documento di Alma Ayan, «alias Shalabayeva», non era contraffatto. Prima non aveva mai sentito quel nome. Versione confermata anche dall’interprete. LA QUESTURA La possibilità che Alma Ayan fosse Alma Shalabayeva era chiara in Questura già prima del blitz a Casal Palocco. Il 28 maggio, nella relazione della diplomazia di Astana, che ricostruiva la storia di Ablyazov, forniva l’indirizzo e sollecitava l’arresto del dissidente, si leggeva: «Preghiamo identificare le persone che vivono nella villa. Non è escluso che nella villa conviva sua moglie, cittadina del Kazakistan, Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966». La stessa data di nascita indicata sul passaporto intestato ad Alma Ayan e ritenuto subito falso. Il 30 maggio in Questura arriva la conferma, ma il documento non viene trasmesso, né al giudice di pace né ai pm che hanno aperto un fascicolo sul passaporto falso.”(Fonte:ilmessaggero.it) ____________________________________ “Le conclusioni sono disarmanti: «Nell’udienza di convalida del Giudice di pace del provvedimento di trattenimento presso il Cie di Ponte Galeria, non si segnala nessuna anomalia». Viene assolto, insomma, il giudice Stefania Lavore ma il comportamento e gli atti della polizia, della questura di Roma, vengono fortemente censurati. Il ministro di Giustizia, Annamaria Cancellieri, nel pieno della bufera per la vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, aveva chiesto al presidente del Tribunale di Roma, Mario Bresciano, di verificare la correttezza delle procedure, ovvero se nel contenzioso aperto davanti al Giudice di pace si fossero registrati comportamenti anomali. E il presidente Bresciano, sulla base degli atti e dell’acquisizione della testimonianza dello stesso giudice di Pace, riserva giudizi severi nei confronti della gestione dell’ «affaire Shalabayeva» da parte delle forze di polizia. «Il giudice di pace è stato tratto in inganno, ci sono omissioni nell’attività della polizia, atti che mancano, che non sono stati trasmessi al giudice. Insomma, da parte loro si è registrata una fretta insolita e anomala». Un passo indietro nel tempo. Fissiamo le date. Siamo alla mattina del 30 maggio. Leggiamo un passaggio del rapporto del Capo della Polizia, il prefetto Alessandro Pansa: «Con nota formale l’Ambasciata del Kazakhstan comunica alla questura che la cittadina Alma Shalabayeva “potrebbe usare” un passaporto falso della Repubblica del Centro Africa. In effetti già nella documentazione consegnata al Dipartimento della PS da parte dell’Ambasciatore kazako con nota verbale 76, peraltro consegnata anche alla questura di Roma con nota verbale 77, già sono indicate le vere generalità della moglie del latitante, a conferma della falsità di quelle che la donna dichiarava agli organi di polizia». L’udienza per la convalida del trattenimento davanti al giudice Lavore avviene il giorno dopo, il 31 maggio. Ma di questa «doppia personalità» della moglie dell’esule kazako non c’è traccia. Il giudice Lavore sente quei due nomi, Alma Shalabayeva alias Alma Ayan solo in un passaggio dei legali della signora che consegnano i fax delle due ambasciate europee del Centrafrica, quella di Bruxelles e quella Svizzera, nei quali fax si accenna ai cognomi. Il vero passaporto kazako non esiste ancora, ufficialmente, anche se l’Ufficio immigrazione della questura di Roma il giorno prima dell’udienza, il 30 maggio, era a conoscenza delle due identità. Scrive l’Ambasciata della Repubblica del Kazakhstann in un fax inviato alla Questura: «In base ai dati dell’Interpol, la signora Alma Shalabayeva può usare i documenti d’identità falsi con il nome di Alma Ayan, nata il 15 agosto del 1966, cui potrebbe essere (intestato, ndr) il passaporto nazionale della Repubblica Africa Centrale numero 06FB04081 rilasciato il primo aprile del 2010». Questa nota verbale, se fosse stata depositata, conosciuta alle parti e al giudice di pace, avrebbe troncato ogni discussione. Perché confermava che la donna che si trovava di fronte al giudice Lavore era in realtà la moglie dell’esule kazako Mukthar Ablyazov. E infatti il presidente del Tribunale annota che le forze di polizia «avevano informazioni sulla identità della signora Shalabayeva e non le hanno comunicate al giudice di pace». In realtà, la questura di Roma le ha trasmesse il giorno dopo alla Procura, quando Piazzale Clodio, nel primo pomeriggio, alle 15,30 impartisce l’ordine di sospendere le procedure d’espulsione per «necessità di approfondimenti». Dopo neppure due ore, alle 17, nella ricostruzione del Capo della Polizia, Alessandro Pansa, «la Procura conferma il nulla osta al rimpatrio». Ma c’è ancora un’altra anomalia, segnalata dal presidente del Tribunale. Pur conoscendo la vera identità della donna, il Prefetto, ovvero il viceprefetto, conferma il decreto di espulsione della donna e della figlia che corrispondono al nome di Alma e Alua Ayan, ovvero di due persone inesistenti. La fretta evidentemente non ha permesso di eseguire le procedure correttamente. E del resto sulla pista di rullaggio dell’aeroporto di Ciampino già scaldava i motori il jet della compagnia austriaca «Avcon Jet», preveniente da Lipsia e diretto ad Astana. Adesso le conclusioni del «processo» del presidente del Tribunale sono state consegnate anche alla Procura di Roma che sta indagando sul passaporto falso della donna kazaka. La Procura dovrà verificare se nei comportamenti omissivi o anomali dei diversi funzionari e dirigenti della questura di Roma e del Viminale vi possano essere stati comportamenti penalmente rilevanti. Di certo le conclusioni a cui è giunto Mario Bresciano ripropongono gli interrogativi rilanciati nei primi giorni dell’«affaire Shalabayeva». Non solo sul ruolo invadente e inaccettabile dei diplomatici kazaki, sulla presenza delle agenzie di investigazioni private, su quella fretta a eseguire le direttive kazake. Ma perché mai se l’obiettivo era catturare un pericoloso latitante kazako, forse addirittura un terrorista, alla fine l’uomo non è stato fermato invece la sua donna e la sua figlioletta sono state espulse?”(FONTE:LASTAMPA.IT)
Posted on: Sun, 28 Jul 2013 01:28:31 +0000

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