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DOMANI INIZIA LA SCUOLA MA I PROBLEMI RIMANGONO SEMPRE QUELLI!!!HO MANDATO AD ALCUNI GIORNALI QUESTO ARTICOLO MA NON HO AVUTO RISPOSTA...FORSE DELLA SCUOLA ITALIANA SI DEVE SEMPRE PARLARE BENE!!!!! COM’E’ OGGI “RIDOTTA” LA SCUOLA ITALIANA La crisi della scuola italiana è un dato di fatto ormai condiviso da tutti: qualsiasi indagine e confronto si faccia, nazionale o internazione, sia che si tratti di un semplice confronto tra gli studenti di oggi e quelli di qualche decennio fa, il quadro che ne viene fuori è sempre quello di una crisi profonda che non si riesce a frenare e per la quale i rimedi stentano ad arrivare. La scuola italiana era una delle migliori del mondo; il liceo classico ha formato, sebbene di indirizzo prettamente umanistico, generazioni di eccellenti studiosi anche nel campo delle scienze naturali e matematiche. Un laureato italiano in fisica o in matematica (secondo il vecchio ordinamento universitario) si trovava sempre in ottima posizione nel concorrere alle prove d’ingresso per un dottorato negli Stati Uniti, in quanto possedeva un’ottima preparazione di base. La riforma Gentile è stata una delle più intelligenti, organiche ed efficaci riorganizzazioni della struttura educativa che abbia prodotto la cultura europea del ‘900; dopo mezzo secolo di ottime prove richiedeva delle correzioni per dare maggiore spazio alla componente scientifica e tecnologica dell’istruzione, si è invece avuta una sua sistematica demolizione su diversi livelli. Stiamo diffondendo un’immagine della scienza che incoraggia a interessarsi alle applicazioni e alla tecnologia, mentre scoraggia coloro che sono interessati alla scienza come impresa conoscitiva, conseguentemente stiamo distruggendo ogni visione umanistica della scienza. La cultura e la divulgazione scientifica che ci vengono propinate quotidianamente sono quasi sempre orientate a diffondere un’ontologia materialista. Sembra che parlare delle nuove acquisizioni della scienza sia soltanto un pretesto per dimostrare che tutto è materiale, che tutto si riduce a neuroni, geni e particelle elementari, in sostanza cattiva filosofia passata come scienza e rivestita di tecnologia. A questo panorama di fondo si è aggiunto uno smantellamento dei programmi scolastici, che, sebbene antiquati, avevano una loro coerenza e una provata utilità. La causa principale è da attribuire al prevalere di gruppi di pedagogisti che sono riusciti ad attribuirsi il ruolo di stabilire contenuti e metodi per l’insegnamento di tutte le altre discipline. Così la storia non è più narrazione di fatti ma una specie di filosofia della storia e la geografia è divenuta un deposito teorico sulle forme della spazialità. Nel contesto di questa matematizzazione della storia e della geografia, la matematica, paradossalmente, è divenuta una disciplina empirica e pratica. Più precisamente, è stato rovesciato il percorso di apprendimento: nell’insegnamento della storia e della geografia si parte dall’astratto per arrivare al concreto, nell’insegnamento della matematica si parte dalla pratica per arrivare ai concetti e all’astrazione. Il ‘disastro educativo’ è iniziato con i nuovi programmi della scuola primaria introdotti nel 1985, nei quali l’approccio pedagogico-didattico cominciò a prevalere rispetto ai veri e propri contenuti disciplinari. In quei programmi si sosteneva che la vasta esperienza compiuta ha dimostrato che non è possibile giungere all’astrazione matematica senza percorrere un lungo itinerario che collega l’osservazione della realtà, l’attività di matematizzazione, la risoluzione dei problemi, la conquista dei primi livelli di formalizzazione. La più recente ricerca didattica, attraverso un’attenta analisi dei processi cognitivi in cui si articola l’apprendimento della matematica, ne ha rivelato la grande complessità, la gradualità di crescita e linee di sviluppo non univoche. Si dà per scontato che il percorso cognitivo segua la complessità, la gradualità e non univocità individuata dai didatti-pedagogisti; viene operato lo scambio fra la storia reale e i processi cognitivi del soggetto; si confonde il percorso lento, complesso, non univoco fatto dalla matematica, che da disciplina pratica è divenuta - già nell’antichità - astrazione matematica, con il percorso che segue la mente di una singola persona. I percorsi di apprendimento debbono prendere come punto di partenza lo stato presente della scienza e non riproporre il suo percorso storico. Occorreva integrare le materie scientifiche in modo che stessero sullo stesso piano delle materie letterarie e storico-filosofiche, occorreva valorizzare il significato culturale delle singole discipline, evitando ogni approccio che le riducesse a meri saperi tecnici e ne esaltasse al contrario la portata conoscitiva e anche filosofica. E’ paradossale che la demolizione sistematica di una delle migliori scuole statali del mondo sia stata compiuta soprattutto da governi di centrosinistra, ovvero da governi che dovevano avere a cuore più di altri la difesa della scuola pubblica. A onor del vero la più rilevante picconata vibrata alla scuola italiana fu data dal Ministro della Pubblica Istruzione Francesco D’Onofrio, che primo governo Berlusconi - era il 1994- abolì gli esami di riparazione introducendo i cosiddetti ‘debiti formativi’. Questo provvedimento fu visto come necessario per eliminare il mercato delle ripetizioni private ma comportò un crollo del livello di preparazione degli studenti e contestualmente la demolizione di uno dei pilastri della disciplina scolastica, poiché la minaccia degli esami di riparazione era uno degli strumenti più efficaci dell’insegnante per suscitare il senso del dovere. Proprio su questo senso del dovere si innesta un’ulteriore critica a una delle recenti convinzioni pedagogiche: la teoria dell’allievo al centro del sistema, che deve costruire da se stesso i propri saperi mentre il docente deve limitarsi esclusivamente ad aiutarlo nel processo di apprendimento autonomo. L’immagine di docente che ne viene fuori è quella di un animatore culturale, una figura analoga a quegli animatori delle feste di compleanno dei bambini che facilitano la socializzazione e il divertimento proponendo giochi e guidando la festa nel modo più gradevole possibile. Per consolidare comportamenti etici spontanei sono necessari strumenti costrittivi e gli esami di riparazione costringevano gli studenti a non trascurare nessuna materia. I ministri Berlinguer e De Mauro hanno introdotto il ‘6 con asterisco’ e la conseguente promozione anche con insufficienze gravi, seguendo appunto l’idea che gli studenti siano in grado di costruire in autonomia il proprio percorso formativo, le proprie aspirazioni culturali. Tutto ciò, invece, ha indotto moltissimi studenti a decidere preventivamente di non studiare le materie più ostiche e impegnative. Un altro dei pilastri sui quali si fonda la nuova idea di scuola è la concezione dello studente-utente e della scuola-impresa. Secondo questa ormai diffusa concezione, la scuola non assolve tanto a una funzione educativa, bensì a una funzione di erogazione di servizi che deve essere svolta con il massimo di soddisfazione dell’utente, in modo da aumentare il numero dei clienti. La via più semplice per ottenere questo risultato è stata purtroppo quella di offrire promozioni con il minimo sforzo. Di per sé, l’esigenza di introdurre criteri di efficienza e di tenere conto delle opinioni di tutti i soggetti implicati nel processo dell’istruzione è perfettamente comprensibile e giustificata, in senso generale, il sistema dell’istruzione fornisce cultura, e la cultura non è un prodotto al pari di un’automobile o una scatola di tonno, né il lavoro di un docente equivale alla prestazione di un servizio, come quello di un impiegato allo sportello: “Un voto insufficiente in una materia è come una scatola di pomodori avariata: l’utente protesta con il venditore.” Questo modo di concepire la scuola comporta di fatto una riduzione delle responsabilità dello studente: le bocciature e le valutazioni troppo basse vengono a ricadere sulla scuola e sui docenti che nella logica della scuola-impresa risultano i maggiori responsabili dei ‘prodotti’ mal riusciti. Infine, l’ossessione di sottoporre la cultura, la ricerca scientifica e l’istruzione a una misurazione quantitativa oggettiva e a processi di standardizzazione, aspetti che erano estranei al sistema scolastico italiano, sono la conseguenza di una profonda sfiducia nell’uomo e portano a eliminare la sua visibilità e le sue tracce. Ma così facendo si elimina anche la creatività dell’uomo: “il docente della scuola standardizzata secondo i metodi di tipo docimologico-didattichese non è più un uomo di cultura che, sia pure entro certe finalità, programmi e metodologie, trasmette le sue conoscenze e la sua esperienza per formare persone, ma un ‘operatore’, un funzionario scolastico, un burocrate dell’istruzione che è tanto più apprezzato quanto più cancella la sua soggettività, quanto più elimina le tracce della sua presenza”. Quale può essere allora il corretto ruolo dell’insegnante? L’insegnate è una persona che si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità. In conclusione, se si chiede cosa servirebbe concretamente per smantellare questa miscela di dirigismo e di interessi precostituiti la risposta generale è: un ministro autorevole e deciso, capace di ricondurre il ministero entro i confini di un ruolo discreto di supporto. Basta con le continue direttive metodologiche; basta con gli interventi sul modo con cui si deve insegnare e addirittura sulla questione se dare o no i compiti a casa, basta con l’imposizione di tecniche didattiche (incluse quelle informatiche); basta con le pressioni per promuovere tutti; basta con l’alluvione di certificazioni e moduli da imbrattare. Occorrerebbe un ministro capace di spezzare l’asse consolidato dirigenza-sindacati, di far prevalere l’interesse pubblico sugli interessi particolari, di sgretolare il prepotere delle conventicole. Occorrerebbe un ministero capace di rivolgersi al mondo dell’istruzione nel suo complesso, affinché emergano da esso le competenze adatte a passaggi cruciali ponendo termine all’indecente favola per cui il parere di un esperto di “economia della scuola” o di uno statistico varrebbe più di quello di un insegnante. Sarebbe qualcosa di infinitamente più concreto dei blateramenti demagogici da cui siamo alluvionati e realizzabile senza nuove leggi. Purtroppo, allo stato, è soltanto un sogno. Prof. RAFFAELE MAMBELLA
Posted on: Wed, 11 Sep 2013 07:10:20 +0000

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