I ricercatori della Columbia University Medical Center (CUMC) - TopicsExpress



          

I ricercatori della Columbia University Medical Center (CUMC) hanno identificato una proteina chiamata caspasi-2 quale regolatore chiave di una via di segnalazione che porta al declino cognitivo nella malattia di Alzheimer LM&SDP Dietro alla malattia di Alzheimer, una devastante condizione che intacca le capacità cerebrali e cognitive delle persone, potrebbe esserci una proteina chiamata “caspasi-2” (o caspase-2). Secondo un nuovo studio condotto su modello animale dai ricercatori del Columbia University Medical Center (CUMC), l’inibizione di questa proteina potrebbe impedire il danno neuronale e successivo declino cognitivo associato alla malattia. L’intervento avverrebbe nei confronti dell’interruzione delle sinapsi nel cervello (connessioni o punti di contatto tra due neuroni), evento che può portare alla morte neuronale. Il professor Michael Shelanski e colleghi del Department of Pathology and Cell Biology presso il CUMC, hanno osservato come la presenza e l’attività di questa proteina fosse determinante nel decorso della malattia. In precedenti studi, lo stesso Shelanski aveva scoperto che caspase-2 svolgeva un ruolo critico nella morte dei neuroni quando si era in presenza di beta amiloide, la proteina che si è riscontrata accumularsi nei neuroni dei malati di Alzheimer. Altre ricerche, tra l’altro, avevano suggerito che questa stessa proteina contribuisce al mantenimento delle normali funzioni sinaptiche. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla versione online di Nature Communications, e indicano che la caspasi-2 svolge dunque un ruolo fondamentale nei processi cerebrali sottesi alle funzioni cognitive e che un’aberrante attivazione di questa può causare modifiche cruciali alle sinapsi, quando vi sia la malattia di Alzheimer. «Abbiamo dimostrato che la rimozione di caspasi-2 dai topi J20 ha contrastato i disturbi della memoria, senza cambiamenti significativi nel livello di beta amiloide solubile – ha spiegato il dottor Roger Lefort, coautore delle studio – Questo implica che se si può inibire una o tutte queste molecole, soprattutto nelle prime fasi del morbo di Alzheimer, si potrebbe essere in grado di proteggere i neuroni e rallentare gli effetti cognitivi della malattia».
Posted on: Thu, 27 Jun 2013 10:59:27 +0000

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