IL NIETZSCHE DI HEIDEGGER Il Nietzsche di Heidegger - di cui - TopicsExpress



          

IL NIETZSCHE DI HEIDEGGER Il Nietzsche di Heidegger - di cui ora viene proposto il compendio - riunisce le ricerche e i corsi universitari di Heidegger su Nietzsche tra il 1936 e il 1946. Già a partire dal 1930 (è lo stesso Heidegger ad indicare questa data, nella Premessa del suo Nietzsche), Nietzsche era diventato per Heidegger un inelubibile punto di riferimento. Ma dal 1936/37 al 1940 Heidegger tiene lezione quasi esclusivamente su Nietzsche, in un confronto serrato che egli definisce una Aus-einander-setzung, e la grafia con i trattini, nel vocabolario heideggeriano, sottolinendo le varie componenti della parola, accentua il significato di un disporsi delluno contro laltro, e quindi di un contendere come in un corpo a corpo. (Il termine è impiegato per tradurre il concetto di pòlemos in Eraclito). Ecco i titoli dei corsi: Nel semestre invernale 1936/37: Nietzsche. La volontà di potenza. Nellopera del 61 il titolo diventa: La volontà di potenza come arte. Nel semestre estivo del 1937: La posizione metafisica di fondo di Nietzsche, con il sottotitolo: Leterno ritorno delluguale, divenuto lunico titolo nel Nietzsche del 61. Nel semestre estivo del 1939 (dopo un intervallo di due anni, causato, nel pieno del suo corpo a corpo, da un grave esaurimento nervoso che lo costringe ad interrompere lattività didattica): La dottrina nietzscheana della volontà di potenza come conoscenza, divenuta poi: La volontà di potenza come conoscenza. In questo stesso periodo scrive un testo che mostra la connessione tra la dottrina della volontà di potenza e il pensiero delleterno ritorno, che nel Nietzsche si trova allinizio del secondo tomo con il titolo: Leterno ritorno delluguale e la volontà di potenza. Nel secondo trimestre del 1940: Nietzsche: il nichilismo europeo, nel secondo tomo del libro del 61. Nellagosto dello stesso anno egli prepara un ulteriore testo intitolato: La metafisica di Nietzsche, che viene annunciato per il semestre invernale del 1941/42 (in realtà, poi tenne un altro corso) e che fu inserito nel Nietzsche. A questi corsi sono aggiunte alcune trattazioni stese fra il 1940 e il 1946. Il risultato è la grande opera pubblicata in due tomi nel 1961 dalleditore Neske di Pfullingen. La traduzione italiana è la versione integrale di tale opera, riunita in un unico volume. La strategia di Heidegger nei confronti di Nietzsche va oltre i confini di una mera interpretazione: non solo infatti la sua lettura del testo nietzscheano è in funzione del progetto filosofico che va elaborando, ma egli pensa in parallelo con Nietzsche, in una continua e serrata interrogazione. Come egli scrive, rimane comunque decisivo [..] ascoltare Nietzsche stesso, porre le domande con lui, per mezzo di lui e così al tempo stesso contro di lui, ma per lunica intima cosa comune in questione nella filosofia occidentale. La cosa in questione è il problema dell essere, che, secondo Heidegger, Nietzsche ha in comune con la tradizione della metafisica occidentale. Per Heidegger, Nietzsche è un pensatore essenziale, proprio perchè ha pensato un unico pensiero, quello dellessere, interpretato come volontà di potenza ed eterno ritorno delluguale. Non è mia intenzione, in questa sede, soffermarmi sullinterpretazione heideggeriana di Nietzsche (di cui il mio compendio vuole essere un invito e una guida agile alla lettura), ma piuttosto indicare, per grandi linee, il contesto teorico in cui matura tale confronto. Nietzsche occupa una posizione particolare nello sviluppo del pensiero di Heidegger successivo a Essere e tempo, e ne condiziona gli esiti speculativi. In questa fase, la filosofia di Heidegger è incentrata sul problema della metafisica e della sua storia; a ciò egli è sollecitato dalle stesse conclusioni della sua opera principale. Nella Lettera sullumanismo del 1947, egli dice che la svolta (Kehre) dallanalitica esistenziale - incentrata sullesserci, ossia sulluomo - verso lanalisi del senso dellessere in generale, non cè stata, perchè il linguaggio, ancora sostanzialmente condizionato dallapparato concettuale della metafisica, lha resa impossibile. Ne emergeva la necessità, dunque, di ripensare la storia della metafisica occidentale e individuarne lerrore che la caratterizza. Gli scritti che scandiscono questo nuovo itineriario sono, in particolare, Lessenza della verità del 1930 (pubblicata nel 1943), l Introduzione alla metafisica del 1935 (edito nel 1953), Hoelderlin e lessenza della poesia del 1937, i già citati lavori su Nietzsche, e, infine, La dottrina di Platone sulla verità del 1942. Va chiarito, in primo luogo, che cosa intende Heidegger per metafisica: essa si identifica in quella tradizione di pensiero che pone il problema dellessere dellente, andando oltre (metà) lente stesso, in una dimensione trascendente, ma che tuttavia lo risolve in modo errato, poichè riconduce lessere sullo stesso piano dellente, concependolo come semplice-presenza (Vorhandenheit) - secondo la terminologia di Essere e tempo. Ciò avviene sia pensando lessere come il carattere comune di tutti gli enti, il più astratto e indeterminato - il che rende possibile il suo rovesciamento nel nulla, come nella Logica di Hegel -; sia come causa e fondamento degli enti - il Dio della teologia aristotelica e cristiana. In ogni caso si oscura la differenza ontologica che distingue lessere dallente e si giunge a quell oblio dellessere (Seinsvergessenheit) che contraddistingue la storia della metafisica occidentale fino a oggi. Ora, questi sviluppi, contenuti implicitamente già in Essere e tempo (là dove si descrive la comprensione dellessere nellesistenza inautentica) e tematizzati nelle opere immediatamente successive Che cosè la metafisica? e Lessenza del fondamento - entrambe del 1929 - trovano tuttavia una più ampia articolazione negli scritti sopracitati degli anni trenta e quaranta. Ed è appunto in questo periodo che la problematica heideggeriana si confronta con la filosofia di Nietzsche. Ma per comprendere meglio questo punto, occorre seguire più da vicino la ricostruzione che Heidegger compie della storia della metafisica, sottolineando alcune tappe fondamentali. La storia della metafisica si rende comprensibile se si parte dal problema dell essenza della verità. Fare la storia della verità, non significa solo ricostruire i diversi significati di una parola, ma ripensare la storia dello stesso essere e, quindi, la nostra storia. Ma nostra non nel senso che è stata decisa da noi, poichè, se è vero che per Heidegger la metafisica è lapertura storica da cui dipende il destino di noi occidentali, tuttavia tale apertura non dipende da noi, bensì dallessere. Schematicamente, seguendo le diverse ricostruzioni che Heidegger ha elaborato negli scritti di questo periodo, possiamo articolare tale storia secondo cinque tappe fondamentali: 1) Nel mondo greco. In greco, la parola verità, a-lètheia, è formata da un alpha privativo e dal verbo lathein che significa essere nascosto; di qui la verità come svelamento (Unverborgenheit); il che implica un originario legame di svelamento e nascondimento, una originaria coappartenenza di verità e di non-verità. Ciò che la verità svela è la natura (physis), ossia lessere nel suo originario manifestarsi. (La radice phu è comune sia a physis che a phainesthai, manifestare). La verità, per i Greci, è dunque il manifestarsi dellessere che, sottraendosi al nascondimento, si offre in visione. Ma già nel pensiero greco questo originario legame di svelamento e di nascondimento viene dimenticato. 2) Nel platonismo. Con Platone si assiste a un capovolgimento dellessenza della verità che sarà decisivo per la storia dellOccidente. Il vero diventa l idéa, ciò che è visibile, afferrabile con esattezza dal nostro intelletto. La radice id del termine greco idéa è la stessa del verbo latino video (vedere) e videor (apparire), ma ora non si tratta più dellapparire dellessere, ma dello sguardo delluomo sullessere stesso. La verità cade sotto il giogo dellidea, diventa qualcosa di relativo alluomo, al suo saper vedere correttamente lente. La verità, da originaria manifestazione di ciò che si nasconde, è diventata correttezza dello sguardo rivolto allidea, che consiste nella corrispondenza (orthòtes in greco, adaequatio in latino) tra lidea e la cosa. In questo passaggio, che riduce lessere a oggetto di valutazione delluomo, Heidegger ha visto le premesse del dominio della tecnica. 3) In Aristotele e nel Medioevo. La concezione della verità come corrispondenza tra il pensiero o la proposizione e le cose, presuppone che lessere sia qualcosa di effettivamente presente. Da qui si sviluppa la metafisica come onto-teo-logia, ossia quella dottrina dellessere dellente, che concepisce come tratto essenziale dellessere la presenza effettiva. I passaggi successivi sono rappresentati da Aristotele, che privilegia la concezione dellessere come enèrgheia, lesistenza in atto, e dal Medioevo, che identifica lessere in un ente supremo - il Dio della teologia cristiana, causa del mondo e fondamento di tutti gli enti - al quale vengono attribuite, oltre alla presenza, la capacità di fondazione e la causalità. 4) In Cartesio e nellidealismo tedesco. Con Cartesio, da cui prende avvio la scienza moderna, luomo si instaura come soggetto, prendendo posto nel bel mezzo dellente. La verità diventa la certezza del soggetto umano, e lessere si trasforma in oggetto, in qualcosa che sta di fronte (Gegen-stand) al calcolo e al progetto tecnico delluomo. Con ciò si rende possibile la tecnicizzazione del mondo, la quale, dunque, si configura come il naturale sbocco del pensiero metafisico. Lidealismo, da Fichte a Hegel, ha proseguito sulla medesima via che riconduce lessere delle cose allio, e, dunque, alla volontà del soggetto. 5) In Nietzsche. Heidegger vede Nietzsche come il pensatore del compimento della metafisica, in cui si attua il massimo e più profondo raccoglimento, cioè il compimento di tutte le posizioni di fondo essenziali della filosofia occidentale da Platone in poi. In Nietzsche giunge al termine il platonismo, ossia la tradizione di pensiero caratterizzata dalla distinzione tra mondo vero e mondo apparente, che lOccidente ha fatto propria grazie anche al cristianesimo, una forma di platonismo per il popolo. Il nichilismo, ossia il venir meno dei valori e il depotenziamento della vita, è connaturato con tale tradizione, che svaluta il mondo sensibile e la corporeità. Nietzsche non si limita tuttavia a rovesciare il platonismo - nel senso di mantenere la struttura di questultimo invertendone gli spazi - il mondo sensibile al posto del soprasensibile - ma effettua un passaggio più elaborato, uno svicolamento (Herausdrehung) che comporta una profonda trasformazione filosofica e una metamorfosi delluomo: il superuomo, inteso come luomo che va oltre (ueber) luomo che cè stato finora. In opposizione al platonismo, Nietzsche pensa lessere come volontà di potenza ed eterno ritorno (dottrine che risponderebbero alle tradizionali domande metafisiche sul che cosa e sul come lente è), in altri termini, come potenziamento e innalzamento incessante, in un perenne ritorno su di sè. Caduta la distinzione metafisica tra mondo vero e mondo apparente, la verità dellessere è posta senza fondamento, in certo qual modo solo su se stessa. Tuttavia, lessere pensato come volontà di potenza, (o volontà di volontà, termine che, secondo Heidegger, esprime meglio la totale infondatezza della volontà che vuole solo se stessa) rappresenta lestrema radicalizzazione del soggettivismo e dellantropomorfismo, esemplificata nella massima di Nietzsche: Antropomorfizzare il mondo, cioè sentirci sempre più in esso come signori. Anche la filosofia di Nietzsche, pertanto, rimane, per Heidegger, nellambito del nichilismo, della storia, cioè, in cui dellessere non ne è più niente. Il nichilismo è quindi il compimento della metafisica, che culmina nel trionfo della razionalità scientifica; il mondo, in cui si è persa ogni traccia della differenza ontologica, si è così trasformato in un immenso arsenale di strumenti della volontà di potenza. Con Nietzsche, dunque, la metafisica perviene alla sua forma estrema, e solo in questa forma diviene comprensibile la sua essenza, che consiste nelloblio dellessere. Di tale evento, di cui noi non siamo semplici spettatori, poichè la storia della metafisica, come si è detto, è anche la nostra, veniamo a conoscenza solo quando è giunto alla fine. Ma nel momento in cui si apre la possibilità di ripensare lessenza della metafisica, occorre di nuovo volgersi al primo inizio, per attingere nuove possibilità e un altro destino dellessere. Per questo, secondo Heidegger Dobbiamo pensare Nietzsche, vale a dire sempre il suo unico pensiero e quindi il semplice pensiero-guida della metafisica occidentale, fino al suo proprio limite interno. Esperiremo allora come prima cosa, quanto ampiamente e quanto decisamente lessere sia già coperto dallombra dellente e della supremazia del cosiddetto reale. [...] Eppure, scorgendo questa ombra come ombra, noi stiamo già in unaltra luce, senza trovare il fuoco da cui emana il suo rilucere. Libro Primo I - La volontà di potenza come arte (1936/37) Nietzsche come pensatore metafisico L espressione La volontà di potenza ha in N. un duplice ruolo: 1) è il titolo della sua opera capitale, programmata per anni ma mai realizzata; 2) è la denominanazione di ciò che costituisce il carattere fondamentale di tutto ciò che è. In questo secondo senso, è la risposta a quella che è da sempre la domanda-guida (Leitfrage) della filosofia che chiede che cosa è lente: tutto ciò che è, è per N. volontà di potenza. Nostra intenzione è chiarire la posizione di fondo allinterno della quale N. sviluppa la domanda-guida del pensiero occidentale. N. è un grande pensatore, un pensatore genuino, nel suo pensiero la tradizione del pensiero occidentale si raccoglie e si compie secondo una prospettiva decisiva. Per questo un confronto con N. è un confronto con il pensiero occidentale fino a oggi. Il libro La volontà di potenza La programmata opera filosofica capitale di N. non fu mai realizzata. Il testo di cui oggi disponiamo, intitolato La volontà di potenza contiene lavori preliminari ed elaborazioni parziali. Il piano secondo il quale i frammenti sono ordinati, larticolazione in quattro libri e i titoli di essi sono di N.. I piani, i progetti, le articolazioni dellopera sono cambiati più volte, senza che ci fosse una elaborazione dellinsieme che consenta di intravvedere un abbozzo determinante. Nellultimo anno (1888), prima del crollo, sono definitivamente abbandonati i piani iniziali. Lautentica filosofia di N. non arriva mai ad assumere una forma definitiva nelle opere pubblicate; ciò che egli ha pubblicato è sempre avanscena. La prima edizione della Volontà di potenza, apparsa nel 1901 dopo la morte di N., comprendeva 483 brani, ordinati secondo un piano dellAutore del 1887. Nel 1906 vi fu una nuova edizione, notevolmente accresciuta, comprendente 1067 brani; ma lintero materiale è contenuto nelledizione completa, nei volumi XIII e XIV dei frammenti postumi. Questi brani, per lo più, non sono semplici frammenti e annotazioni fugaci, ma aforismi accuratamente elaborati. Piani e lavori preliminari alla costruzione capitale Dall 82 all88 N. elabora diversi piani e progetti, che mutano di volta in volta. Si possono tuttavia distinguere tre posizioni fondamentali (la prima, che cronologicamente si estende dall 82 all83; la seconda, che comprende gli anni dall85 all87; la terza, che va dall87 all88). Ognuna di esse è caratterizzata da un titolo predominante. La prima ha per titolo: Filosofia delleterno ritorno, con il sottotitolo: Un tentativo di trasvalutazione di tutti i valori. La seconda è intitolata: La volontà di potenza, con il sottotitolo: Tentativo di una trasvalutazione di tutti i valori. La terza: Trasvalutazione di tutti i valori. Eterno ritorno, volontà di potenza e trasvalutazione sono le tre parole-guida sotto le quali sta la progettata opera capitale. Per comprendere la filosofia di N. occorre cogliere la connessione tra questi concetti e la loro relazione necessaria con la metafisica occidentale. Lunità di volontà di potenza, eterno ritorno e trasvalutazione La dottrina delleterno ritorno è intimamente connessa a quella della volontà di potenza, ed entrambe, nella loro unità, si autocomprendono come trasvalutazione di tutti i valori. Ma in che senso eterno ritorno e volontà di potenza sono connessi? Di questa domanda, in quanto decisiva, ci occuperemo più a fondo in seguito; per ora, basti una risposta allusiva. Lespressione volontà di potenza nomina il carattere fondamentale dellente in quanto ente. Con ciò non si è ancora risposto alla prima autentica domanda della filosofia, bensì allultima domanda preliminare. La domanda decisiva che si pone al termine della filosofia occidentale è quella sul senso dellessere, é la domanda fondamentale (Grundfrage), che non è sviluppata come tale nella storia della filosofia; anche in N. rimane entro la domanda-guida. La questione dellessere è il pensiero più grave della filosofia, e non è un caso che leterno ritorno, per N. sia denominato il pensiero più grave. Con tale dottrina N. pensa quel pensiero che domina per intero tutta la storia della filosofia occidentale. Pensare lessere come eterno ritorno significa pensarlo come tempo: leternità non come un ora che resta fermo, nè come una successione allinfinito, ma come l ora che si ripercuote su se stesso. Se non si coglie la connessione tra la volontà di potenza, come carattere fondamentale dellente, e leterno ritorno, come determinazione somma dellessere, non si comprende neppure il contenuto metafisico della dottrina della volontà di potenza. Se però è la dottrina delleterno ritorno ad essere il nucleo più intimo della filosofia di N., in realtà, il suo sforzo decisivo è quello di mostrare il carattere fondamentale dellente come volontà di potenza; in questo senso la volontà di potenza è la dottrina centrale. Nellinterpretazione dellopera, non ci atterremo alla successione dei singoli brani così come si presenta nella raccolta postuma, poichè tale ordinamento è arbitrario e inessenziale. Occorre pensare i singoli brani secondo il loro movimento speculativo interno. E comunque decisivo ascoltare N. stesso, porre le domande con lui, per mezzo di lui e così al tempo stesso contro di lui, ma per lunica intima cosa comune in questione nella filosofia occidentale. La struttura dellopera capitale. Il modo di pensare di Nietzsche come rovesciamento Determiniano la posizione metafisica di N. per mezzo di due tesi: 1) Il carattere fondamentale dellente in quanto tale è la volontà di potenza. 2) Lessere è leterno ritorno dellugale. Se interroghiamo a fondo la filosofia di N. secondo queste due tesi, andiamo oltre la sua posizione e quella della filosofia a lui precedente. Ma soltanto questo andare oltre consente di ritornare su Nietzsche. Ciò avverrà per mezzo di una interpretazione della Volontà di potenza. Il piano di questopera, su cui si basa ledizione in volume, secondo un progetto dell87, presenta la seguente forma: La volontà di potenza - Tentativo di una trasvalutazione di tutti i valori Libro primo: Il nichilismo europeo. Libro secondo: Critica dei valori finora supremi. Libro terzo: Principio di una nuova posizione di valori. Libro quarto: Disciplina e allevamento. La nostra interrogazione comincia e si limita al terzo libro. Per N. una posizione di valori è una posizione in base alla quale si determina il modo come deve essere tutto ciò che è. Una nuova posizione porrà, rispetto a quella antica, un valore diverso che sarà determinante per il futuro. Per questo nel secondo libro è premessa una critica dei valori supremi finora in vigore, legati al cristianesimo, alla morale e alla filosofia. Tali valori vengono confutati in base allorigine problematica della loro posizione. Questa critica è a sua volta preceduta da una esposizione del nichilismo europeo, contenuta nel primo libro. Il nichilismo per N. è il fatto fondamentale della storia occidentale; esso consiste nella svalutazione dei valori supremi attraverso un lungo processo storico che inizia nei secoli prima di Cristo, giunge fino al XX secolo e interesserà i secoli venturi. Il nichilismo non ha solo un carattere puramente negativo, di dissoluzione; non esclude, per lunghi tratti del suo cammmino storico, momenti di ascesa creativa. Corruzione e degenerazione fisiologica non sono cause del nichilismo, ma conseguenze, per cui esso non può essere semplicemente superato con la loro eliminazione, ma solo ritardato. Il contromovimento che si oppone al nichilismo, appartiene anchesso alla storia del nichilismo, è interno ad esso, e sarà una transvalutazione di tutti i valori. Ogni nuova posizione di valori dovrà allevare coloro che portano il nuovo atteggiamento, nonchè i nuovi bisogni e le nuove esigenze. Perciò lopera termina, nel quarto libro con Disciplina e allevamento. La posizione dei valori supremi non avviene di colpo, ma coloro che li pongono, ossia i filosofi, i creatori, devono tentare nuove strade; con il loro domandare devono mettere alla prova lente in relazione al suo essere e alla sua verità. N. scrive: Facciamo un tentativo con la verità! Forse sarà la rovina dellumanità! Orsù! Qual è il principio della nuova posizione dei valori? E importante anzitutto chiarire il titolo del terzo libro. Il termine principio significa fondamento, nel senso dellarchè dei Greci: ciò a partire da cui una cosa si determina diventando quello che è. Il principio di una nuova posizione dei valori è quindi il fondamento di un porre valori nuovi rispetto a quelli finora in vigore. N. vuole fondare in modo nuovo la maniera in cui i valori vengono posti. Questo fondamento è la volontà di potenza. Come la si deve intendere? Abbiamo detto che per N. la volontà di potenza denomina il carattere fondamentale dellente, ciò che propriamente è. Ora, la riflessione decisiva di N. procede così: se si deve fissare ciò che propriamente deve essere, lo si potrà fare solo se prima si saprà con chiarezza che cosa è e che cosa costituisce lessere. Per questo la volontà di potenza è già in se stessa un porre valori, poichè lente è concepito come volontà di potenza. E quindi diventa superfluo un dover essere che si sovrapponga allente affinchè questo lo prenda per misura. Mettere in evidenza il principio della nuova posizione dei valori significa anzitutto dimostrare che la volontà di potenza è il carattere fondamentale dellente. In relazione a tale compito i curatori della Volontà di potenza hanno suddiviso il terzo libro in quattro capitoli: I. La volontà di potenza come conoscenza II. La volontà di potenza nella natura. III. La volontà di potenza come società e individuo. IV. La volontà di potenza come arte. Tale disposizione appare ben fondata, sulla base dei manoscritti di cui disponiamo; i curatori hanno utilizzato, per la suddivisioneripartizione dei capitoli e la ripartizione degli aforismi diverse indicazioni di N. . Iniziamo linterpretazione dal quarto e ultimo capitolo: La volontà di potenza come arte, che comprende gli aforismi dal n. 794 al n. 853. Iniziamo dal quarto e non dal primo capitolo per ragioni che dipendono dal contenuto stesso: è soprattutto in base alla concezione nietzscheana dellarte che si può comprendere il significato della volontà di potenza. Affinchè però lespressionr volontà di potenza non continui a restare una mera parola, anticipiamo i tratti dellinterpretazione del quarto capitolo, domandando: 1) Che cosa intende N. con questa espressione? 2) Perchè il carattere fondamentale dellente è denominato come volontà? Lessere dellente come volontà nella metafisica tradizionale La concezione dellessere dellente come volontà è in linea con la migliore tradizione della filosofia tedesca. La troviamo in Schopenhauer, la cui opera Il mondo come volontà e rappresentazione, fu inizialmente uno stimolo per la filosofia di N., anche se egli intende per volontà qualcosa di completamente diverso. Lopera di Schopenhauer, daltra parte, è profondamente debitrice nei confronti di Schelling e di Hegel. Questi ultimi hanno interpretato lessere come volontà. Schelling ha scritto nel trattato Sullessenza della libertà umana che il volere è lessere originario. E Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, ha concepito lessenza dellessere come sapere, ma il sapere come uguale per essenza al volere. Entrambi erano consapevoli di interpretare il pensiero di un altro grande pensatore tedesco, Leibniz, il quale determinava lessenza dellessere come unità originaria di perceptio e appetitus, di rappresentazione e volontà. Tuttavia la dottrina di N. non è dipendente da quella di questi grandi pensatori. Un grande pensatore del resto è tale perchè è in grado di trasformare in modo originale il pensiero degli altri grandi. Ciò vale per N., la cui dottrina dellessere come volontà si inserisce nella corrente di pensiero più profonda e necessaria della metafisica occidentale. La volontà come volontà di potenza Per N. la volontà non è altro che volontà di potenza, e la potenza non è altro che lessenza della volontà. La volontà di potenza è allora volontà di volontà, cioè volere è volere se stesso. Se vogliamo tentare di chiarire concetti che pretendono di cogliere lessere dellente, non ci possiamo richiamare ad un ente determinato o ad un modo dessere particolare. Così, ad esempio, non si può dire che la volontà è una facoltà psichica, perchè se è la volontà a determinare lessenza di ogni cosa, non è questultima che avrà il carattere della psiche, ma sarà la psiche ad avere il carattere della volontà. Se la volontà di potenza connota lessere stesso, non ci sarà più nulla che possa determinare ulteriormente la volontà. La volontà è volontà; ma questa definizione, formalmente corretta, non dice più nulla, e può indurre in errore in quanto si crede che alla semplice parola corrisponda una cosa altrettanto semplice. Nietzsche nondimeno la denomina a volte come affetto, come passione, come sentimento, o come comando. Anche se questo modo di procedere può suscitare perplessità, in quanto non si tratta di determinazioni chiarite a sufficienza, va considerato che, data la polisemia del concetto di volontà, non restava a N., per definirne lessenza, che utilizzare termini noti. La determinazione del volere che si impone per prima, è quella di un tendere a.., mirare a qualcosa, essere diretti a qualcosa. (Anche se nellessere diretti a qualcosa, come per es. nella rappresentazione, non è insito ancora un volere). Si dice anche volere nel senso di desiderare; ma il volere non è un desiderare, poichè implica la risolutezza del comando. Nel volere inoltre è implicito il riferimento ad un oggetto: lerrore di Schopenhauer, al proposito, è quello di ritenere che esista un volere puro, senza un oggetto determinato. Sta invece nellessenza del volere che in esso consistano il voluto e il volente. E contenuto nel volere l essere risoluto a se stesso, un volere al di là di se stesso e la determinatezza delloggetto. Quando N. accentua il carattere di comando della volontà, intende evidenziarne la risolutezza e la fermezza. In questa fermezza del volere che si slancia oltre se stessa sta lessere signore di... In questo senso la volontà è potenza, e la potenza volontà. Pertanto lespressione volontà di potenza non significa che la potenza sia il fine della volontà, un qualcosa che va ad aggiungersi ad essa, ma un chiarimento della volontà stessa. Solo dopo aver chiarito questi aspetti di fondo, si possono comprendere le ulteriori connotazioni del concetto di volontà. La volontà come affetto, passione e sentimento N. chiama la volontà sia affetto, sia passione, sia sentimento. In un brano della Volontà di potenza (il n. 688), egli definisce la volontà di potenza laffetto originario, e tutti gli affetti forme derivate di essa. Queste spiegazioni non vanno intese nellottica della psicologia comune. La caratteristica essenziale di un affetto è quella di trasportarci fuori di noi stessi. Nellaffetto siamo sovreccitati, non siamo più padroni di noi stessi, siamo al di là, fuori di noi. Nellaffetto la volontà diviene non volontà. Così in tedesco lira si dice anche Un-wille, alla lettera: non volontà, appunto. Oltre che come affetto la volontà è connotata anche come passione. La passione è qualcosa di sostanzialmente diverso dallaffetto. In essa cè uno slancio che non rende ciechi, ma al contrario lucidi, freddi, come ad es. nellodio. Una passione ha anche una maggiore persistenza e compattezza, che non chiude lio in se stesso, ma lo raccoglie aprendolo. In questo senso la volontà è un essere padrone-di-sè, nel quale diventiamo lucidi e prendiamo potere dellente intorno a noi e in noi. Un sentimento invece è il modo in cui ci troviamo nei confronti delle cose e di noi stessi. Nel sentimento si apre e si mantiene aperto tale modo di essere, è esso stesso questo stato originario. Ne viene una ulteriore delucidazione dellessenza della volontà, per cui essa si schiude a se stessa. Nel volere mettiamo in luce noi stessi, la nostra identità, e tale luce è implicita nellessenza della volontà, non deriva da una riflessione che sopravvenga dopo. N. designa la volontà ora come affetto, ora come passione e sentimento, ma dietro questi termini vede qualcosa di più originario: essi sono, nel fondo della loro essenza, volontà di potenza. Perciò non ha molto senso definire emozionale la sua concezione, in contrapposizione a quella idealistica. Linterpretazione idealistica della dottrina nietzscheana della volontà Se per interpretazione idealistica della volontà si intende quella concezione che dice che la volontà nella sua essenza è un rappresentare, ossia è determinata da idee, allora idealistica è lintera tradizione occidentale che inizia con Aristotele. Questi, trattando della natura del desiderio, dice infatti che ciò che nel desiderio è desiderato muove, e lintelletto, il rappresentare, muove soltanto perchè si rappresenta ciò che nel desiderio è desiderato. Il pensiero filosofico successivo fa propria questa concezione. Per Kant la volontà e quella facoltà desiderativa che agisce secondo concetti. Il rappresentare differenzia la volontà desiderativa dallappetito cieco. Anche nellidealismo tedesco viene ripreso questo concetto. Per Hegel sapere e volere sono la stessa cosa. Il vero sapere è anche agire. Nietzsche stesso dice: volere, cioè comandare, ossia: mirare in modo chiaro, teso ad una cosa. E in ciò è insito appunto il rappresentare, il pensiero che comanda. Tuttavia, se vogliamo avvicinarci il più possibile alla concezione nietzscheana della volontà dobbiamo evitare tutte le denominazioni usuali, sia che vengano definite idealistiche o emozionali, o altro. Volontà e potenza. Lessenza della potenza Ogni volere è un voler-essere-di-più; quindi è potenza nel senso del potenziamento, dellelevazione; è anche autoaffermazione, nel senso di un riandare allessenza, allorigine. La volontà di potenza è dunque volontà di essenza, e in quanto tale è qualcosa che crea e distrugge: lessere-signore-al-di-là-di-sè è sempre anche annientamento. Anche il nulla, la distruzione fanno parte dellessenza dellessere. Con tale concezione N. si ricollega al pensiero occidentale. Lidealismo tedesco ha pensato lessere come volontà, e si è spinto fino a pensare il negativo come appartenente allessere. Hegel, nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito ha parlato di immane potenza del negativo e ha scritto che la vita dello spirito è quella che sopporta la morte e che in essa si mantiene. N. che non approvava il disprezzo di Schopenhauer verso lidealismo, nel brano n. 416 della Volontà di potenza, ha esaltato la grandiosa iniziativa della filosofia tedesca che ha pensato un panteismo in cui il male, lerrore e il dolore non siano avvertiti come argomenti contro la divinità. Anche per quanto riguarda il concetto di potenza come determinazione dellessere N. si ricollega alla tradizione metafisica occidentale. La potenza, per N., in quanto forza, significa essere pronti ad operare, essere capaci di.. (dynamis). Ma potenza è anche latto del dominio, lessere-allopera-della-forza (enèrgheia), nonchè venire-a-se-stesso nella semplicità dellessenza (entelècheia). Ma dùnamis, enèrgheia ed entelècheia sono per Aristotele le determinazioni supreme dellessere. Vi è quindi unintima relazione fra la volontà di potenza di N. e la metafisica di Aristotele. Ciò non significa intepretare N. attraverso Aristotele, piuttosto, entrambe le dottrine devono essere riprese nel contesto di una domanda più originaria. La domanda-guida e la domanda fondamentale della filosofia Incominciamo lintepretazione del terzo libro con il quarto e ultimo capitolo, intitolato La volontà di potenza come arte. Chiarendo come N. concepisce larte, si chiarisce perchè lintepretazione della volontà di potenza debba cominciare proprio dallarte. Occorre però tenere ben saldo lintento filosofico fondamentale dellinterpretazione, che si articola nella domanda-guida (Leitfrage) - che chiede che cosa è lente - e nella domanda fondamentale (Grundfrage) - che chiede che cosa è lessere-. Queste domande conducono oltre N., ma portano allo scoperto e rendono fertile il suo pensiero. La domanda fondamentale rimane estranea a N., come al pensiero a lui precedente. In N. il problema dellessenza della verità (che è incluso in tali domande), è legato allinterpretazione dellente in quanto volontà di potenza. E dato che larte ha una posizione eminente nel contesto di tale interpretazione, allora è nellarte che diviene centrale la questione della verità. Le cinque tesi sullarte Tentiamo una prima connotazione dellessenza dellarte in Nietzsche, mettendo in risalto, sulla base di passi importanti, cinque tesi sullarte. Che larte abbia una posizione decisiva nel compito di una nuova fondazione dei valori lo si evince anche dal brano 797 della Volontà di potenza, in cui N. afferma: Il fenomeno dell artista è ancora quello più trasparente, che si può scrutare più facilmente. Più trasparente significa più facilmente accessibile nella sua essenza. Questo perchè essere artista significa produrre, porre in essere qualcosa che ancora non è: nella produzione artistica noi partecipiamo per così dire al divenire dellente, e possiamo coglierne nel modo più chiaro l essenza. E poichè lessenza dellente è la volontà di potenza, e nellessere artista si trova il modo più trasparente della volontà di potenza, la meditazione sullarte è decisamente prioritaria. Va tenuto presente anche che N. vede larte nella prospettiva dellartista, ossia di colui che crea e produce, non in quella di coloro che ne fruiscono. Torniamo al brano 797; ne possiamo ricavare due tesi essenziali: 1) Larte è la forma più trasparente e più nota della volontà di potenza. 2) Larte deve essere concepita dalla prospettiva dellartista. Sempre nello stesso brano, N. aggiunge che è guardando allessenza dellartista che vanno considerate anche le altre forme della volontà di potenza - natura, religione, morale. Secondo N., anche gli enti che non sono prodotti dallartista hanno un modo di essere che corrisponde a quello di ciò che è creato dallartista. Il concetto di arte non è inteso in senso stretto, nellaccezione di belle arti, ma è esteso a ogni saper produrre e a ogni cosa prodotta. Da qui si può formulare una terza tesi: 3) Larte è laccadere fondamentale di ogni ente; lente è, in quanto è, qualcosa che si crea, qualcosa di creato. Ora, affermare che laccadimento fondamentale di ogni ente è arte, significa dire che è la forma somma della volontà di potenza; la volontà di potenza, come larte, è un creare e un distruggere. Già nella Nascita della tragedia N. vedeva larte come carattere fondamentale dellente, laddove egli parlava di arte come attività metafisica. E dunque dallarte, e non più dalla morale, dalla religione e dalla filosofia, che dovrà partire una nuova posizione di valori, che dovrà essere una trasvalutazione dei valori stessi. Secondo N., i valori tradizionali, determinati dal platonismo e dal cristianesimo, presuppongono una svalutazione del mondo sensibile, a vantaggio del cosiddetto mondo vero. Ora, caduto il mondo vero, il vero mondo è soltanto quello sensibile che è loggetto proprio dellarte. Larte afferma dunque ciò che il platonismo e il cristianesimo negano. Per questo N. afferma che essa costituisce lunica controforza contro ogni volontà che rinneghi la vita. Con ciò si ottiene la quarta tesi: 4) Larte è il contromovimento per eccellenza che si oppone al nichilismo. Dunque ogni attività, compresa quella filosofica, devono essere determinati dallarte. Ne deriva che al posto del filosofo moralista e nichilista, che guarda al cosiddetto mondo superiore, deve essere collocata la figura del filosofo-artista, il filosofo del contromovimento che operando sullente decide anche della verità di questultimo. Dire che per N. nellarte si decide della verità, può apparire in contrasto con il fatto che egli definisce larte come volontà di parvenza che si oppone alla volontà di verità. Ma per N. la volontà di parvenza è volontà del sensibile e della sua ricchezza, mentre la volontà di verità, corrisponde alla volontà del mondo vero di Platone e del cristianesimo. La volontà di un vero siffatto è, in realtà, un dire no a questo nostro mondo, dove larte è di casa. In vista di un mondo vero, la sottomissione, la compassione, lumiltà diventano valori autentici, mentre ogni elevazione creatrice, e ogni orgoglio della vita non sono che abbaglio e peccato. Da ciò si ricava la tesi: 5) Larte vale di più della verità. Sulla scorta di queste cinque tesi va ricordata laffermazione di N. secondo cui larte è il massimo stimolante della vita; stimolante è ciò che potenzia, che eleva al di là di sè, ossia è volontà di potenza. Laffermazione quindi che larte è il massimo stimolante della vita significa che larte è volontà di potenza, ed è la tesi capitale di N., che viene delucidata dalle altre cinque. A questo punto domandiamo. 1) Che cosa offre la concezione nietzscheana dellarte in vista di determinare lessenza della volontà di potenza? 2) Che cosa significa tale concezione per il sapere dellarte? Sei fatti fondamentali ricavati dalla storia dellestetica Cominciamo dalla seconda questione. Anche se N. non si pone la questione dellarte come manifestazione della cultura, soltanto una riflessione sullestetica ci consente di capire linterpretazione nietzscheana dellarte; peraltro egli si muove in linea con la tradizione. Secondo questultima, la riflessione sul sapere dellarte è denominata estetica, il cui oggetto è il comportamento sensibile e lo stato sentimentale in rapporto al bello. Il termine estetica per designare la riflessione sul bello e sullarte è recente, e risale al XVIII secolo, ma tale riflessione è antica. Per connotare lessenza dellestetica, il suo ruolo entro il pensiero metafisico e il suo riferimento alla storia dellarte europea, prendiamo in considerazione sei fatti fondamentali. 1) La grande arte greca è priva di una corrispondente riflessione concettuale che la pensi. Ciò non significa che tale arte sia solo vissuta. Piuttosto, essa si manifesta in un contesto di lucido sapere, così da non avere bisogno di unestetica. 2) Lestetica nasce presso i Greci quando la grande arte, nonchè la grande filosofia che le è parallela, si approssima alla fine. In tale periodo, con Platone ed Aristotele, vengono coniati quei concetti fondamentali che da allora in poi definiranno ogni posizione dellarte. Anzitutto la coppia di concetti materia - forma (ylè - morfè). Questa concezione ha origine nella concezione dellente, fondata da Platone, che guarda al suo aspetto : eìdos, idèa. Dove lente viene percepito come ente e distinto dagli altri in base al suo aspetto, i suoi confini sono avvertiti come limitazione interna ed esterna. La forma è ciò che delimita, ciò che è delimitato la materia. A questa coppia di concetti si unisce un altro termine, la tècne, con cui i Greci denominano sia larte che lartigianato. Con ciò non si intende equiparare larte allartigianato: la tècne non è un semplice fare o un produrre, ma un tipo di sapere che guida ogni iniziativa umana. Successivamente, con lemergere della distinzione di materia e forma, il termine perde la sua forza semantica originaria e viene riferita alla fabbricazione di cose belle, e quindi la riflessione su questi concetti si sposta nellambito dellestetica. 3) Il terzo fatto coincide con linizio delletà moderna. Luomo e il suo sapere diventano il luogo della decisione che stabilisce come lente vada sperimentato, determinato e configurato. La libera presa di posizione delluomo, il suo modo di sentire le cose, in breve: il suo gusto, diventano il tribunale che decide dellente. In metafisica, la certezza dellessere e la sua verità sono fondate sullautocoscienza del cogito. La stessa riflessione sul bello viene riferita in modo esclusivo allo stato sentimentale delluomo. E in questo periodo che lestetica viene fondata e praticata consapevolmente. Di pari passo la grande arte si avvia verso la decadenza. Tale decadenza non consiste in una peggiore qualità del prodotto, ma nel fatto che larte non assolve più il compito di rendere manifesta nelle opere la verità dellente nel suo insieme. Da qui capiamo il quarto fatto: 4) La grande arte è alla fine nel momento in cui lestetica raggiunge la sua massima altezza. La grandezza di questa estetica consiste proprio nel riconoscere la fine della grande arte: tale estetica è quella di Hegel. Egli non ha inteso negare la possibilità e lesistenza di singole opere darte, ma affermare che essa ha perduto per sempre il suo potere assoluto. Da ciò deriva la posizione dellarte nel XIX secolo, che può essere indicata in un quinto punto. 5) Il XIX secolo, in relazione alla decadenza dellarte che perde la sua essenza, osa compiere, ad opera di Richard Wagner, il tentativo dell opera darte totale. Essa consiste nel fatto che tutte le arti, e in funzione predominante la poesia e la musica, devono essere congiunte in una sola opera. Inoltre, larte deve diventare la celebrazione della comunità del popolo, la sua religione. L opera darte totale realizza il dominio dellarte come musica, e con esso il dominio dello stato sentimentale puro, dissolvendo ogni elemento stabile nel languido, nellevanescente, esaltando la sfrenatezza dei sensi: lestasi del sonnambulo, come la definisce Nietzsche. Nell opera darte totale larte deve ridiventare bisogno assoluto, ma lassoluto è concepito ormai come sentimento puro; per questo il tentativo di Wagner è destinato al fallimento. Daltro canto, fu proprio questa ebbrezza sentimentale dellopera wagneriana ad incantare il giovane Nietzsche per quella dimensione che egli poi definì dionisiaca. Mentre Wagner tuttavia cercava la mera esaltazione del dionisiaco, N. mirava a domarlo, a dargli forma: la rottura fra i due era inevitabile. Nel XIX secolo il sapere dellarte, in corrispondenza alla crescente incapacità di un sapere metafisico, si trasforma in una indagine scientifica sui puri fatti della storia dellarte. La storia dellarte e la dimensione estetica, diventano oggetto di una ricerca condotta con i metodi delle scienze naturali. Ma tale lavoro e fervore intorno allarte, non è altro che il proscenio di quellaccadere che N. enunciò come nichilismo. Con questo arriviamo allindicazione dellultimo fatto fondamentale: 6) Ciò che Hegel ha enunciato riguardo allarte - laver perso la potenza di configurare lassoluto - N. lo ha riconosciuto riguardo i valori supremi. Ma mentre per Hegel è larte, e non la religione, la morale e la filosofia, a cadere vittima del nichilismo, per N., al contrario, larte rappresenta il contromovimento. Mentre inoltre per Hegel larte diviene oggetto di un sapere metafisico, N. considera la riflessione sullarte una fisiologia dellarte. Lestetica è per lappunto nientaltro che una fisiologia applicata, egli scrive infatti in Nietzsche contra Wagner del 1888. Dunque, da un lato larte è il contromovimento che si oppone al nichilismo, dallaltro è fisiologia: indagine scientifica degli stati e dei processi corporali e delle cause che li provocano. Lebbrezza come stato estetico Vista dallesterno questa posizione sembra assurda: come può larte porre nuovi criteri e valori se viene ricondotta a processi nervosi e a semplici relazioni causali? Per cercare di cogliere una unità fra cose apparentemente contrastanti, esamineremo un abbozzo di N., comprendente una sequenza di diciasette appunti numerati, intitolato Per la fisiologia dellarte, che si trova tra i piani della Volontà di potenza. Nonostante tale abbozzo non contenga unidea direttrice visibile, fornisce tuttavia un quadro di ciò di cui si deve trattare. Per la fisiologia dellarte Per determinare meglio il materiale, seguiremo un duplice filo conduttore: anzitutto la considerazione della dottrina della volontà di potenza, quindi le dottrine capitali dellestetica tradizionale. La questione dellarte in N. è estetica, poichè essa viene determinata facendo ricorso allo stato sentimentale delluomo a cui appartengono la produzione e la fruizione del bello. Ma questa estetica deve essere fisiologia: gli stati sentimentali sono indagati nella loro corrispondenza con gli stati corporei. E lunità psicosomatica delluomo ad essere posta come ambito degli stati estetici; quindi quando N. parla di fisiologia intende anche lambito psicologico. Leggiamo innanzitutto un passo del Crepuscolo degli idoli (1888), intitolato Per la psicologia dellartista. In esso N. afferma che lo stato estetico fondamentale è lebbrezza, nelle sue varie forme (derivanti da eccitazione sessuale, dagli affetti forti, dalla festa, da narcotici, ecc.). Possiamo confrontare questo passo con il brano 798 della Volontà di potenza, in cui N. parla di due stati nei quali larte stessa insorge nelluomo come una forza della natura. Questi stati sono lapollineo e il dionisiaco, che vengono concepiti quindi come la condizione preliminare dellarte. Tali concetti erano già stati sviluppati nella Nascita della tragedia, nella quale, in particolare, lapollineo e il dionisiaco venivano associati ai fenomeni fisiologici del sogno e dellebbrezza. Anche nel frammento 798 della Volontà di potenza lapollineo ha il carattere del sogno, e il dionisiaco dellebbrezza. Ora però, nel passo del Crepuscolo degli idoli, si afferma che anche lapollineo è una specie di ebbrezza: lebbrezza diviene lo stato estetico fondamentale. A questo punto, occorre pertanto chiarire: 1) Qual è lessenza generale dellebbrezza? 2) In quale senso essa è lo stato estetico fondamentale? Alla prima domanda N., nel Crepuscolo degli idoli, dà una risposta concisa: Lessenziale nellebbrezza è il sentimento del potenziamento della forza e della pienezza. Lebbrezza ora è definita come un sentimento. Il sentimento, come si è precedentemente chiarito, è il modo come ci troviamo presso di noi e presso le cose; è la disposizione in virtù della quale noi siamo trasportati al di là di noi stessi. Ora, che lebbrezza sia un sentimento non è in contraddizione col fatto che essa sia uno stato fisiologico. Noi non abbiamo un corpo, ma siamo corpi; il sentirsi, nel sentimento, è il modo nel quale noi siamo un corpo in carne e ossa in una certa disposizione danimo. Ora, nellebbrezza è contenuto sia il sentimento del potenziamento della forza che il sentimento della pienezza. Il potenziamento della forza non sta ad indicare tanto un di più, una crescita di forza, ma deve essere inteso come una disposizione danimo verso lente nella quale lente stesso è esperito come più ricco e più essenziale. Analogamente, la pienezza indica la massima apertura e la massima esaltazione. Si potrebbe connotare lebbrezza anche come una passione, in quanto non è uno stato passeggero, ma qualcosa che permane. Rimane comunque difficile applicare allebbrezza termini quali sentimento, affetto, passione. Per quanto riguarda la seconda domanda, dobbiamo chiederci, secondo le parole di N., in quale senso l ebbrezza è inevitabile perchè vi sia arte, se essa sia soltanto una condizione dellarte o la fonte perenne. Abbiamo visto che lebbrezza è una disposizione danimo che ci apre fino alla pienezza delle nostre facoltà, le quali si stimolano e si esaltano a vicenda. Procediamo continuando a domandare che cosa è determinante in questa disposizione perchè possa essere chiamata estetica. La dottrina kantiana del bello. Il suo fraintendimento a opera di Schopenhauer e di Nietzsche Non vi è in N. una esposizione costruita e fondata sul bello e sulla bellezza. Le sue tesi risultano dal rovesciamento delle vedute estetiche di Schopenhauer. Queste, esposte nel terzo libro del Mondo come volontà e rappresentazione, non sono ben fondate, ma sono un fraintendimento dellestetica kantiana. Il fraintendimento delle idee di Kant sul bello e sullarte, non riguarda solo Schopenhauer e Nietzsche, ma gran parte della storia della filosofia. Tale fraintendimento nasce da una asserzione di Kant sul bello, sviluppata nei parr. 2-5 della Critica del Giudizio. Bello, per Kant, è ciò che piace soltanto in modo puro, senza interesse. Per Schopenhauer ciò si identifica nella sospensione della volontà; in N., secondo uno schema di contrapposizione, bello diviene lebbrezza, ossia il contrario di ogni piacere disinteressato. Ma in Kant lespressione piacere disinteressato, lungi dall indicare unindifferenza verso loggetto, al contrario, ne è una valorizzazione. In Kant il termine interesse ha una valenza negativa, sta a indicare ciò che può distoglierci dallindividuazione del bello in quanto tale. Solo dopo aver messo da parte ogni interesse, possiamo cogliere loggetto nel suo proprio rango e nella sua dignità, e quindi nella sua bellezza. Peraltro, il fraintendimento dellestetica kantiana è un limite che N. condivide con il proprio tempo. Però ora si tratta di capire, allinterno di tale contesto storico, ciò che N. dice sulla bellezza. Anchegli determina il bello come ciò che piace, inteso come ciò che ci si addice, che ci corrisponde. Il bello è dunque ciò che apprezziamo e veneriamo come limmagine-modello (Vor-bild) del nostro essere. N. scrive che il bello è lestasi di essere nel nostro mondo, ossia mediante il bello luomo penetra in uno stato fondamentale in cui perviene alla pienezza fondata sulla sua essenza. Una cosa analoga Kant intende con il piacere della riflessione, quale comportamento fondamentale in rapporto al bello. Ora, tale stato, per N., e un elevarci-al-di-là-di-noi nella pienezza delle nostre facoltà essenziali: in altri termini tale stato coincide con lebbrezza. Lebbrezza come forza creatrice di forme Cerchiamo ora di demarcare meglio lambito dello stato estetico. Per N. lessenza del creare non è sviluppata partendo dallessenza di ciò che è creato, dallopera, ma dallo stato del comportamento estetico. Da un lato, per N., il creare è un atto vitale, un produrre condizionato dallebbrezza, di cui è possibile fornire una descrizione fisiologica: dilatazione vascolare, temperatura, secrezione, ecc.; dallaltro, il creare è legato allessenza dellebbrezza e della bellezza, ed implica landare-al-di-là-di-sè, il vedere le cose in modo più pieno, più semplice, più intenso. Questo aspetto del creare viene definito da Nietzsche idealizzare, ossia estrapolare i tratti capitali. L idealizzare è il segno supremo della potenza, poichè in esso i contrasti sono domati: Che non sia necessaria alcuna violenza, che tutto segua, obbedisca con tanta facilità, facendo buon viso allobbedienza - ciò delizia la volontà di potenza dellartista. (La volontà di potenza, n. 821). Lo stato estetico di chi recepisce lopera darte è visto da N. in corrispondenza con lo stato di coloro che creano: recepire larte è un rivivere il creare. Quanto esposto finora ci consente di cogliere nello stato estetico non soltanto meccanismi psicosomatici, ma piuttosto i processi dellidealizzare e dell estrapolare i tratti capitali. Il sentimento estetico non è perciò una commozione cieca e passeggera, ma è riferito a una struttura, ossia, nella terminologia dellestetica usata da N., ad una forma. N. spiega la forma come un esporsi, un farsi pubblico, e in ciò si avvicina al significato originario del termine. I Greci chiamavano forma (morfè) la figura, laspetto di un ente (eìdos), ciò in cui lente si espone e viene alla luce. La forma va visto in relazione allebbrezza. Questultimo termine non rinvia al caos, ma allopposto, indica la vittoria della forma che fonda lambito in cui lebbrezza diviene possibile come tale. Il termine forma non va visto inoltre in opposizione al contenuto. Forma non è margine, limite esterno di un contenuto, ma sua componente essenziale; la forma è lunico vero contenuto. Ora però, quando N. tenta di caratterizzare le leggi della forma, nomina quelle leggi logiche e matematiche, che sono viste a loro volta in relazione alla vita fisiologica. I sentimenti logici, il piacere dellordinato, che costituiscono la base dei giudizi di valore estetico, non sono altro che i sentimenti di tutti gli esseri organici in rapporto alla pericolosità della loro situazione, o alla difficoltà del loro nutrimento. Occorre tuttavia determinare meglio lambito in cui si collocano tutti questi elementi: lebbrezza quale stato estetico fondamentale, la bellezza, e gli stati del creare e del recepire; quindi la forma e il sentimento dellordinato quale condizione della vita fisiologica. Cerchiamo di chiarire, semplificandole, le connotazioni fin qui date da N.. Limitiamoci ai due termini essenziali dellebbrezza e della bellezza, che stanno fra di loro in un rapporto reciproco. Lebbrezza è la disposizione fondamentale; la bellezza ciò che predispone e determina. A prima vista si potrebbe definire la prima come lelemento soggettivo, la seconda, quello oggettivo. Lebbrezza tuttavia fa saltare la soggettività del soggetto: in essa infatti il soggetto è andato al di là di sè; la bellezza, daltra parte, spezza il cerchio delloggetto separato e a sè stante - giacchè una bellezza in sè non esiste - e lo porta alla coappartenenza essenziale e originaria con il soggetto. Lo stato estetico dunque non è nè oggettivo nè soggettivo; i due termini fondamentali, ebbrezza e bellezza, denominano con la stessa estensione lintero stato estetico. Il grande stile N. parla di grande stile, quando si riferisce a quella realtà dellarte pervenuta alla sua essenza. Il grande stile è lontano dallarte eroica e tronfia di Wagner, ed implica la padronanza della misura e della legge, nonchè la calma propria delle anime forti. Lo stile severo, classico, è quello che maggiormente si avvicina ad esso. Lo stile classico rappresenta essenzialmente questa calma, semplificazione, abbreviazione, concentrazione - il sentimento sommo della potenza è concentrato nel tipo classico. (La volontà di potenza, n. 799). Nel grande stile trovano la loro sintesi anche larte come contromovimento che si oppone al nichilismo, e larte come oggetto della fisiologia. Il grande stile esige, da un lato, la misura e la legge che vengono poste nel domare il caos e lelemento dellebbrezza, e quindi presuppone la dimensione fisiologica; dallaltro, esso è rango e decisione, necessari per porre misure e valori nuovi per realizzare il contromovimento. Larte come grande stile è la semplice calma che domina, conservandola, la somma pienezza della vita e riconduce ad unità gli opposti. Così questa estetica viene portata oltre se stessa: gli stati artistici sono colti in modo estremo, là dove massimamente si distaccano dallo spirito, nella dimensione fisiologica Associando il grande stile al gusto classico, N. non intende riferirsi al classicismo, che egli associa alla mancanza di contrasti, alla povertà interiore. Il classico, più che a unepoca dellarte, è una struttura dellesistenza, la cui condizione fondamentale è costituita dal dominio della legge sul caos, che si compie allinsegna di una originaria libertà. Nelle riflessioni di N. che cercano di fissare la differenza tra classico e romantico, si può definire lessenza dellarte di grande stile e coglierne la dimensione formatrice e creativa. Riferendosi ai concetti di classico e romantico, N. non pensa allarte intorno al 1800, ma allarte di Wagner e alla tragedia greca. Nel classico, ciò che crea è la pienezza e la sovrabbondanza; nel romantico, è invece linsufficienza, la mancanza. Il primo è attivo, il secondo reattivo. Tale distinzione di attivo e reattivo si interseca con unaltra, quella di essere e divenire, che tuttavia non manca di ambiguità. Così, ad es., lesigenza di divenire - di divenire altro, e quindi di distruzione - può essere sia espressione di forza stracolma e gravida di futuro, come nellarte dionisiaca, ma può appartenere anche allinsoddisfazione e allodio. Analogamente, lesigenza di essere può derivare sia dalla pienezza che dalla sofferenza, come nel pessimismo romantico di Wagner. Il classico è desiderio di essere che proviene dalla pienezza, e in questo senso stile classico e grande stile paiono coincidere. Questultimo, però, come essenza vera e propria dellarte, rinvia ad una unità più originaria di attivo e reattivo e di essere e divenire. Da questo punto di vista, dallessenza dellarte come grande stile, si chiarisce la posizione metafisica di fondo di N.: il grande stile è il sentimento sommo della potenza, e la potenza è il dominio della calma che conserva e trasfigura gli opposti. La fondazione delle cinque tesi sullarte Dallessenza dellarte può scaturire la fondazione delle cinque tesi fornulate in precedenza. La prima tesi dice che larte è la forma più nota e più trasparente della volontà di potenza. Questa tesi si può chiarire nel modo seguente. Larte è la forma a noi più nota poichè è uno stato delluomo, dunque di noi stessi, e questo ha la sua fondazione nella concezione del modo secondo cui è data la dimensione in cui, dal punto di vista estetico, larte è reale; ossia, nellebbrezza della vita fisiologica del corpo. Dal momento che larte ha il proprio fondamento nello stato estetico, e questo è concepito in termini fisiologici, essa è la dimensione nella quale lente diventa per noi più perscrutabile. La seconda tesi, che dice che larte deve essere concepita dalla prospettiva dellartista, si dimostra considerando che solo nellattività produttrice dellartista diviene reale la creazione dellarte. Da questa posizione è garantito laccesso al creare in generale, e quindi alla volontà di potenza. La terza tesi dice che larte è laccadere fondamentale nellente nel suo insieme. Questa tesi, insieme alla quarta, che dice che larte è il contromovimento che si oppone al nichilismo, può essere fondata soltanto a partire dalla quinta tesi. E solo partendo da questultima, che dice che larte vale più della verità - e quindi conferisce alla prima un primato unico - che si può stabilire che larte è laccadere fondamentale. Per fondare questa tesi occorre rispondere alla domanda preliminare della filosofia, sullessenza della verità. Continua
Posted on: Tue, 29 Oct 2013 13:09:59 +0000

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