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IL VINCITORE. Quella sera aveva bevuto veramente troppo, ma la sua mole statuaria gli permetteva di stare immobile, come se niente fosse, con la nuca appoggiata sulla parete, in fondo alla stanza e con le gambe divaricate ma saldamente piantate sul pavimento. Erik era un gigante, una massa di muscoli ben torniti, forse per questo motivo la quantità di alcool ingerita, che avrebbe spedito a dormire chiunque altro non lo aveva ancora steso. Non era solito bere, si; ogni tanto si concedeva delle bevute con qualcuno al bar degli irlandesi, ma niente di speciale. Eppure quella sera aveva deliberatamente esagerato, era entrato in tutti i bar che incontrava nel suo cammino e in ognuno di questi aveva bevuto in maniera smisurata. Alla fine decise di acquistare una bottiglia di vodka e farsi compagnia con quella fino a casa. Nella sua stanza il buio era interrotto da una pallida luce proveniente dall’esterno, che rischiarava uno stretto e lungo rettangolo di pavimento e arrivava quasi alle sue scarpe, laggiù, in fondo alla parete. Erik stava in quella posizione da un pezzo, ma quando si è così ubriachi la percezione del tempo è alterata. Forse un’ora forse meno, chissà. La stanza gli ondeggiava davanti agli occhi, leggermente, forse in un’altra situazione avrebbe trovato anche piacevole quel sibilo sottile che gli stazionava nelle orecchie. Pensava Erik, ripercorreva gli ultimi sei mesi trascorsi in maniera confusa, pescando nella sua memoria volti, discorsi, ma soprattutto se stesso. Eravamo a maggio ormai e da dicembre, ogni giorno, Natale e Capodanno a parte, dove da buon cattolico irlandese aveva festeggiato, si era rotto il culo come un matto, pensando alla giornata di oggi. Venerdì 28 maggio. Era sei intensissimi mesi che pensava a quella data, era il suo obbiettivo che doveva raggiungere a tutti i costi. Aveva trascurato un po’ tutti in quel periodo, parlava solo di quello, e solo di quello gli parlavano le persone che gli stavano attorno. L’unica che per qualche ora era capace di allontanarlo da quella ossessione era Annette; la biondina del negozio di stoffe che conobbe qualche anno prima, presentatagli da un suo cugino a una festa irlandese. La sera della festa aveva ballato con lei per tutto il tempo, e tra di loro era nata una certa simpatia. Quella sera Erik non ebbe il coraggio di chiederle un appuntamento e quando lei andò via, prima di varcare la soglia, si girò verso di lui e con un mezzo sorriso lo salutò con un breve gesto della mano. Erik timidamente rispose, consapevole di essere stato uno stupido per farsi sfuggire così ingenuamente quella ragazza, rispetto a lui così minuta, ma tanto carica di energia da poter resistere tutta la sera ai balli sfrenati e a quel fottutissimo whiskey irlandese. Pensò a lei per qualche giorno ancora, finchè una sera, ormai convinto di averla dimenticata la vide, mentre lavorava in un negozio di stoffe. Pensò che fosse strano, perché passava di lì ogni sera, come poteva essere accaduto di non accorgersi di lei? Poi si rese conto che tutti i negozi erano aperti, che la strada era viva, e che stava rincasando semplicemente prima del solito. Si fermò a guardarla attraverso la vetrina del negozio, lei serviva una cliente con quel suo modo di fare deciso: energico ma garbato e coinvolgente. Erik il gigante si fece coraggio e senza pensare entrò nel negozio. Lei lo vide e lo salutò calorosamente con un gran sorriso. Gli disse di aspettarla, che nel giro di dieci minuti avrebbe finito e magari potevano andare insieme a prendere un caffè. Annette, così viva e così intraprendente. Da quella sera cominciarono a frequentarsi, non è che si vedessero spessissimo, ma quando lo facevano Erik dimenticava tutto o quasi.Annette non era una rompiscatole, lasciava ad Erik tutto lo spazio di cui aveva bisogno, ma su certe cose era cocciuta come un mulo, da brava donna di carattere irlandese. Quando mancavano solo quattro mesi al 28 maggio cominciò a pressare Erik. Non sopportava più vederlo così poco, cosi stanco, ad ammazzarsi di fatica ogni santo giorno, a sudare e sudare e sudare, sotto la neve, sotto il primo sole di primavera, attorniato dalla solita risma di gente, che a dir suo di lui se ne fregava, che pensavano a loro stessi, ai quattrini che sarebbero potuti arrivare se Erik avesse compiuto l’impresa. E che lei era l’unica che gli voleva veramente bene e che non gli avrebbe permesso di buttarsi via a trentasei anni per quei fottutissimi trentacinquemila dollari se tutto fosse andato per il verso giusto. Non durò con Annette, a marzo lei si stancò e smise di vederlo e lui non fece niente per non perderla. Troppo importante la data del 28 maggio che ormai si faceva vicina e c’era da lavorare ancora e ancora. Doveva essere pronto, arrivare all’appuntamento preparato. Gonzales lo aiutava nel suo lavoro, con tenace trasporto, lo incitava a spingere, gli dava le dritte, gli stava addosso affinché non mollasse di un millimetro. E anche quella sera, mentre Erik ubriaco fradicio stava nella sua stanza buia lui era lì; a un centimetro dal suo viso, ad incitarlo, ad asciugargli il sudore a suggerirgli il da farsi. Erik con i suoi pensieri era arrivato ormai a qualche ora prima, alle 21. 00 di quel 28 di maggio. A quell’ora non era certamente ubriaco, anzi, saltellava come un grillo, concentrato e attento, ormai era pronto. Gonzales gli massaggiava le spalle gli parlava in un orecchio, mentre i suoi occhi fissavano di fronte a sé un bestione di colore alto quasi due metri, di dieci anni più giovane che a sua volta lo fissava e che tutti conoscevano come Tiger Louis Logan. Tutto intorno una folla vociante faceva un casino infernale, ma Erik non sentiva niente, sentiva solo i suoi muscoli fremere e nella sua mente si ripeteva che lo avrebbe steso immediatamente quel cazzone. Annette era presente, tra le prime file. Non avrebbe voluto esserci ma sapeva quanto era importante per Erik quel giorno e lo era diventato anche per lei. Erik non si accorse della sua presenza e forse meglio così, niente al mondo avrebbe dovuto distrarlo in quel momento. L’arbitro chiamò i due al centro del ring e dettò i primi comandamenti di rito, i due si toccarono i guantoni e subito il gong diede inizio alle ostilità. Tiger Louis si avventò sull’irlandese gettandogli addosso una scarica di pugni da abbattere un toro, Erik si strinse nella guardia incassando decisamente bene e abbracciandolo ogni tanto per bloccarlo. Erik portava qualche jab per tentare di doppiare col destro ma Tiger schivava veloce e quel cazzo di destro non andava mai a segno. Si andò avanti così, colpo più colpo meno per almeno tre riprese. Alla quarta Tiger si avventò di nuovo sull’irlandese con una serie di ganci, Erik schivò prontamente prima il sinistro e poi il destro abbassandosi leggermente, facendo in modo che gli passassero sulla testa, rispondendo poi con un jab fulmineo al volto, doppiato subito da un destro, che portò Tiger alle corde e gli fece perdere la guardia, aprendosi così a una bordata di gancio sinistro al fegato e un gancio destro fulmineo e potentissimo alla mascella. Tiger è al tappeto, la folla in piedi, un boato scuote la sala ed Erik è lì, i guantoni sui fianchi guardando il suo avversario steso sul ring. L’arbitro conta fino a dieci ma Tiger non si muove, ecco allora Erik cadere in ginocchio con le braccia alzate, ci era riuscito, non si era spaccato il culo per niente, aveva battuto la tigre e messo in tasca una barca di quattrini, ora poteva anche smettere di combattere e magari cercare Annette e ricominciare a vederla.Fotogramma per fotogramma, fino a quel momento, Erik, ubriaco nella sua stanza rivedeva il film della sua vita. Non cercò neanche per un secondo di trattenere quelle lacrime copiose che gli cascavano sul viso. L’immagine di Tiger Luis Logan che lasciava il ring su una barella e coperto da un telo lo avrebbero accompagnato a lungo. Quella sera di venerdì 28 maggio, alle 21. 30, Erik Mulligan, pugile di origini irlandesi a fine carriera e neo campione dei pesi massimi, aveva ucciso un uomo.
Posted on: Mon, 07 Oct 2013 08:30:01 +0000

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