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IL VIZIO DELL’EVERSIONE GIANLUIGI PELLEGRINO È infatti principio fondamentale che le cause di ineleggibilità che sopravvengano in corso di mandato costituiscono altrettante cause di decadenza. Persino all’interno della galassia berlusconiana si è già fatta piena applicazione pacifica di questo principio. Cesare Previti quando fu anche lui raggiunto da condanna definitiva con interdizione dei pubblici uffici e perdita dell’elettorato attivo non c’era nessuna norma che ne prevedesse espressamente la decadenza da parlamentare. Eppure la competente giunta della Camera non ebbe dubbi nell’applicare quelle interdizioni come causa di decadenza dal mandato in corso, tanto che lo stesso interessato accettò il principio e si dimise senza nemmeno attendere il voto dell’aula. Risulta quindi chiaro che quando la legge Severino ha stabilito che a determinate condanne consegue l’ineleggibilità, per il resto si è limitata a fare applicazione del medesimo principio generale sancendo che se analoghe condanne intervengono in corso di mandato ne deriva la necessaria immediata decadenza. Avrebbe potuto persino non dirlo in modo esplicito, l’effetto sarebbe stato il medesimo per banale applicazione di una regola immanente all’ordinamento. Del tutto surreale è poi il dibattito sulla pretesa retroattività. Non c’è niente ma proprio niente di retroattivo. La legge in primo luogo non sanziona il parlamentare né l’aspirante candidato. Si pone in ottica del tutto diversa, a salvaguardia delle istituzioni rappresentative e della loro composizione. Non guarda affatto alle posizioni e alle aspirazioni personali dei singoli, bensì all’interesse sovraordinato dell’istituzione tutelandola da una composizione viziata secondo l’apprezzamento del legislatore. E la legge opera esclusivamente pro futuro: oggi è arrivata la condanna, da domani non puoi stare nell’istituzione rappresentativa. Dove è di grazia, la retroattività? I cortigiani facciano pure strame del diritto ma almeno rispettino il vocabolario. Le regole del resto danno spesso forma alle istanze della società. E basta riandare per un attimo al dibattito che ha preceduto e accompagnato la legge Severino per ricordare che fu approvata all’esito di un ampio movimento di pubblica opinione indignata dai ripetuti scandali che avevano denunciato un clamoroso degrado morale proprio in seno alle istituzioni rappresentative. Lo sperpero dei fondi gestiti dai consigli regionali a partire dal Lazio, regione della capitale di Italia, aveva palesato il rischio autentico di un collasso morale coinvolgendo gruppi di ogni orientamento politico e chiamando in causa gli stessi deliberati all’unanimità dei massimi organi rappresentativi locali e regionali. La corruzione non riguardava più i singoli ma lo stesso agire collegiale delle assemblee elettive. Ecco allora una prima pur timida risposta del legislatore a tutela delle istituzioni e della precondizione non sufficiente ma necessaria della loro composizione. Nessuno avrebbe mai nemmeno osato ipotizzare che approvata quella norma un condannato per grave frode fiscale potesse restare in Parlamento o in qualsiasi altra assemblea rappresentativa. Oggi invece soltanto perché il condannato è il cittadino Berlusconi dal quale letteralmente ed economicamente dipende l’esistenza e la sopravvivenza politica di un discreto numero di parlamentari con il conseguente malinteso potere di ricatto, improvvisamente si ipotizza di mettere in discussione tutti e in un colpo solo i principi elementari che abbiamo innanzi ricordato. E così si tiene impiccato l’intero dibattito politico, non c’è più crisi economica da affrontare, non c’è più legge elettorale da approvare. Niente di niente. Solo il salvacondotto di un capo che la sua corte pretende per la propria sopravvivenza avendo anche l’impudenza di esplicitare il ricatto: o salvacondotto o crisi di governo. Né ha alcun senso richiamare il ruolo politico o il consenso popolare. Helmut Kohl o Strauss-Kahn sono usciti di scena per molto meno e con ben maggiori credenziali politiche. Qui da noi invece si pretende un diritto personale, una legge del più forte che infine si afferma sempre, ieri grazie alle norme ad personam a colpi di maggioranza oggi per l’appiccicosa palude delle larghe intese. Già solo questo considerare plausibile un parlamento che abusi della sua sovranità per violare l’ordinamento è il segno triste dei tempi che andiamo vivendo, un esempio deleterio per i nostri figli e quindi a ben veder causa non ultima del generale declino di un paese e di una società. Che dovrebbe preoccupare ben più del feticcio di una contingente ed anche inconcludente governabilità.
Posted on: Fri, 23 Aug 2013 19:41:01 +0000

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