Il Bovarismo (Jules de Gaultier) Nel 1902 uscì in Francia per i - TopicsExpress



          

Il Bovarismo (Jules de Gaultier) Nel 1902 uscì in Francia per i tipi del Mercure de France, un singolare libro di un professore di filosofia, Jules de Gaultier, intitolato Il bovarismo. Sulla scorta del romanzo di Flaubert de Gaultier tenta uno studio sugli aspetti psichici delle personalità (era il momento giusto: nel 1900 era uscito l’Interpretazione dei sogni di Freud), e rintraccia in questo testo una lois phénoménale dell’Io che sintetizza nella formula per la quale il bovarismo sarebbe le «pouvoir départi à l’homme de se concevoir autre qu’il n’est» che traduciamo con «la facoltà concessa all’uomo di concepirsi diverso da ciò che è». Argomenta Jules de Gaultier che vi sono uomini di prim’ordine che hanno sé stessi come modelli e uomini di second’ordine che imitano gli altri, che prendono personalità in prestito. Abbiamo visto che Emma “corrotta” dalla lettura dei romanzi (che la suocera vorrebbe proibirle, in quanto «avvelenano l’anima») comincia a vedere ma soprattutto a “vedersi” attraverso la lente deformante di questa percezione di secondo grado che è la lettura. Non solo la propria aspirazione all’amore è educata attraverso le eroine dei suoi romanzi (dopo il primo amplesso con Rodolphe, ritornata a casa si dice «Sì, anch’io ho un amante», sottinteso «come nei romanzi») ma tutta la sua vita psichica è improntata e diremmo stravolta, visto come va a finire, non secondo “modelli” sorgivi, che nascono dall’interno della propria anima, ma secondari, presi in prestito. Ora, ciascuno di noi elabora la propria rappresentazione di sé stesso con modelli, che per quanto possano essere frutto di libera e spontanea elaborazione, in quanto “modelli” appunto, sono sempre presi in prestito. Spesso in questa emulazione di un modello «altro» che in effetti è sempre un « modello alto», ossia al di là della nostra portata, del nostro capitale intellettuale (come è il caso di Emma Bovary, che per questo fa fallimento) andiamo incontro alla nostra rovina. (Qualcuno di recente – Tommaso La Branca - ha definito questo fallimento dell’emulazione di un modello alto, trash, e ci ha fondato su una estetica compiaciuta). Ora, argomenta de Gaultier, questo fallimento (défaillance) della personalità è spesso accompagnato presso i soggetti affetti da bovarismo da impotenza perché concependosi diversi da ciò che in effetti sono, e non essendolo intimamente, essi non giungono a eguagliare il modello che si sono proposti, e tuttavia l’amor proprio proibisce loro di confessarsi questa impotenza. Per sopperire allo scacco di questo fallimento giungono ad imitare tutto del personaggio cui intendono aderire (quanti orologi al polso stile Agnelli abbiamo visto, e quanti Kennedy replicanti nello scenario politico non solo americano!). Questo vizio intimo del bovarismo li induce a supplire al talento con la postura, il gesto, il vocabolario. I personaggi e le situazioni che essi interpretano poggiano sul vuoto della loro personalità: si direbbe che essi non amerebbero mai se non avessero sentito parlare d’amore. L’effetto che sortisce da tutto ciò è il grottesco (che per Flaubert è triste ), il trash appunto. L’indice bovaristico, secondo de Gaultier misura pertanto «lo scarto che esiste in ogni individuo tra l’immaginario e il reale, tra ciò che egli è e ciò che crede di essere». De Gaultier tenta anche una tassonomia del bovarismo, che rintraccia in tutti i personaggi di Flaubert, anche in quelli dell’ Educazione sentimentale delle opere successive. E ci sarebbe pertanto un bovarismo sentimentale (Emma ), uno intellettuale (Frédéric, Sant’Antonio,Bouvard e Pécuchet), uno scientifico (Homais), uno artistico (Pellerin) e così via: ma in effetti si tratta di un unico disturbo della personalità. Flaubert ha individuato un bovarismo metafisico «ha isolato nell’uomo un bovarismo irremissibile che fa dell’errore e della menzogna la legge della sua natura, un male dell’immaginazione e del pensiero che lo obbliga a disconoscere ogni realtà per cedere alla fascinazione dell’irreale». Paul Bourget (negli Essais de psycologie contemporaine) parlerà a tal proposito dei «mali del pensiero», «il pensiero che precede l’esperienza invece di assoggettarvisi», «il male di aver conosciuto l’immagine delle sensazioni e dei sentimenti prima delle sensazioni e dei sentimenti». Certo le suggestioni, le false rappresentazioni di sé non pervengono solo dall’interno, dallo sregolato dispositivo dell’Io, ma anche dall’esterno, dall’ambiente sociale, come abbiamo visto. Auto-suggestione e suggestione concorrono ad alimentare le false coscienze. Emma Bovary è una “idealista”, nel senso filosofico del termine, avrebbe potuto essere una grande mistica come santa Teresa o una grande artista. Ma Emma è priva di senso”critico” (ricordiamo che “critica” deriva dal greco “crino”, separo), ignora lo scarto che intercorre tra la realtà virtuale da quella reale. «Si scorge in lei un principio di insaziabilità, un principio di rottura di ogni equilibrio, di ogni armonia, di ogni pace, di ogni riposo, un principio di fuga dove distingueremo una delle risorse essenziali della natura umana, la fonte del movimento e del cambiamento». E già, perché Madame Bovary disegna la traiettoria di un fallimento umano: vista ex post la sua vicenda suscita in noi raccapriccio più che pena, e tuttavia è proprio nell’uscire fuori da sé, nel concepirsi diverso da ciò che si è, dall’insoddisfazione di sé, da un sano bovarismo diremmo, che nasce il movimento e il cambiamento. A ben vedere, il proprio dell’uomo è essere scontento della propria condizione. È in ciò che si distingue da tutte le altre specie. C’è sempre un momento Bovary nella nostra vita, dunque. Da lì può nascere la nostra riuscita o il nostro fallimento: ci potrà accadere di uscire fuori da noi ma anche di noi, ahimé. Flaubert in una lettera ricorda all’amico Le Poittevin il verso di Orazio (Ars poetica, vv 126-127): «Sibi constet», «Sii in armonia con te stesso», ovvero «Stai, resta in te»: ma quale avventura umana potrebbe nascere da questa formula? È solo l’uscita fuori da sé stessi che potrebbe portare al guadagno o alla perdita di sé stessi. Il bovarismo è dunque bene, il bovarismo è dunque male. Ma ritornando a De Gaultier, si pone un problema filosofico, ossia il diallele (circolo vizioso): l’odio del reale nasce dalla falsa concezione di sé stessi o è quest’ultimo che fa nascere l’odio del reale? In effetti siamo di fronte ad una causa che diventa effetto e che diventa a sua volta causa. Nell’intento di cogliere questa “legge psichica” del bovarismo de Gaultier tenta un esame psicologico della coscienza. Partendo dall’ esse est percepi di Berkley (che non cita, ma è implicito) asserisce che tutto esiste perché percepito. La coscienza psicologica degli individui è uno specchio ove vengono a riflettersi le immagini della realtà. Ora, l’uomo è natura (ereditarietà) e educazione insieme (nature e nurture, direbbe lo Shakespeare della Tempesta). Tramite atti cognitivi spontanei l’uomo elabora immagini-nozioni che costituiscono gli elementi base dell’accumulo della sua esperienza. Ma tramite l’educazione «il suo cervello è ormai popolato d’una quantità d’immagini-nozioni di cui gli è impossibile verificarne il contenuto, che non diventeranno mai per lui immagini reali, e che egli dovrà accettare con un atto di fede. Ciò costituisce un vantaggio in quanto la nozione non esigerà da colui che la riceve la spendita di energia psichica di colui che l’ha prodotta. Ma anche un inconveniente: falsa o mal formata, essa scappa al controllo dell’Io, poiché rendendo inutile l’esperienza personale, essa tende a sopprimerla: così propaga la menzogna e l’errore con la stessa forza con la quale propaga la verità». Ci si renderà subito conto che questo è lo spazio psichico delle idee ricevute, dei “luoghi comuni”, (ci si ricordi che Flaubert era ossessionato dalle idee ricevute) di cui tutta la nostra mente è assediata e soffocata. È l’Ouydire (il Sentitodire ) di Rabelais. La nozione non controllata è fonte di questo particolarissimo bovarismo cognitivo e percettivo. Fa vedere le cose diverse da quelle che sono perché tramite esse l’uomo ha un «pouvoir de connaissance» che «dépasse son pouvoir de réalisation». Naturalmente natura ed educazione possono entrare in conflitto perché l’uomo può essere sollecitato sia dall’istinto che dall’esempio, sia dall’immediato che dal mediato, diremmo. Il rischio di concepirsi diverso da ciò che si è aumenta con lo sviluppo della civiltà, ossia con l’ispessirsi dallo stadio della mediazione. Il bovarismo dunque cresce con l’avanzare della civiltà e laddove soprattutto v’è un «defaut de critique». La falsa percezione di sé stessi inizia fin dall’infanzia, quando ci sentiamo e ci vediamo talora indiani e talora cow boy. Ma c’è anche un bovarismo del genio. Quello della falsa vocazione: Ingres il celebre pittore francese si ritenne per lungo tempo un grande violinista (da qui l’espressione violon d’Ingres per intendere i casi di fraintendimento su sé stessi, sul proprio capitale intellettuale). Ma v’è anche un bovarismo storico: succede ad intere epoche di prendere totalmente a prestito blocchi di modelli culturali: si pensi alla Rivoluzione francese: per comprenderla occorre tenere sempre sullo sfondo la Repubblica romana, i Bruti, i Cesari. C’è un bovarismo delle epoche storiche dunque: che si concepiscono diverse da quelle che sono. E qual è il bovarismo nostro e della nostra epoca? A saperlo. Forse siamo come le ghiande, le quali, se pensano, certamente ambiscono a diventare delle belle e robuste querce: ma 999 su mille finiranno in pasto ai porci. A.S.
Posted on: Fri, 12 Jul 2013 08:45:47 +0000

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