Il Quartiere Coppedè non si può considerare un vero e proprio - TopicsExpress



          

Il Quartiere Coppedè non si può considerare un vero e proprio quartiere, semmai una piccola isola felice nella giungla chiassosa e caotica di Roma. Questa isola è composta in tutto da quarantacinque palazzi disposti intorno al nucleo centrale di piazza Mincio. Deve il suo nome all’architetto che lo ha progettato, Gino Coppedè, ed è stato costruito tra il 1913 e il 1927 (con l’interruzione dei lavori durante la Prima Guerra Mondiale). L’ingresso, che consta di un arco suggestivo, si trova a via del Tagliamento, nel quartiere Trieste. Una volta superato l’arco che congiunge i palazzi degli Ambasciatori, si entra in un’atmosfera tutta particolare, che sicuramente vi rapirà. Tra marmi, loggiati, decorazioni multicolori, archi e vetrate, vi ritroverete a passeggiare tra costruzioni che riecheggiano lo stile liberty come anche quello dell’art decò, del barocco e adirittura anche medievale. Basta alzare lo sguardo per confondersi tra torri simil-medievali, stemmi barocchi, decorazioni dal sapore retrò. La suggestiva area è situata alle porte del centro, ad impreziosire una delle zone più eleganti della Capitale e, allo stesso tempo, ad interromperne l’ordinarietà del regolamento edilizio. Diciassette villini e ventisei palazzine tra via Tagliamento e piazza Buenos Aires vanno a costituire il Quartiere Coppedè, dal nome dell’architetto-scultore fiorentino Gino Coppedè che, scelto dai finanzieri Cerruti della società «Edilizia Moderna», lo realizzò tra il 1913 ed il 1921. La lunga interruzione dei lavori durante la I Guerra Mondiale e la morte dell’architetto nel 1927, non permisero la portata a compimento del progetto originario, che prevedeva la costruzione di un vero e proprio quartiere, che, rimasto dunque incompiuto, si presenta come un piccolo angolo suggestivo che richiama con la sua varietà di stili più di un’epoca storica. Il Quartiere si apre trionfalmente con il maestoso e a tratti cupo arco d’ingresso che unisce due palazzi e dove simbologie ed elementi propri di Rinascimento, Gotico e Barocco si fondono insieme e danno vita ad una sorta di sospensione temporale. A mettere ulteriormente in discussione il senso del tempo e della realtà, un enorme lampadario in ferro battuto posto proprio sotto l’arco. Due torri riccamente decorate a fregi, statue e balaustre sormontano l’arco. Sopra la torre di destra si ammira un’edicola sacra che ospita un’immagine non riconducibile all’iconografia cristiana classica: una Madonna con Bambino il quale non si rivolge alla Madre bensì ad un ideale passante, come una sorta di benvenuto. Proseguendo lungo via Brenta si arriva al fulcro del quartiere: Piazza Mincio. Proprio nel centro della piazza, nel 1924, era stata installata la Fontana delle Rane – nota l’immagine che vede i Beatles farvi il bagno vestiti dopo il concerto tenuto nella vicina discoteca Piper – posizionata in maniera tale che da essa si potessero ammirare il suddetto lampadario ed il Villino delle Fate, altro elemento caratteristico del complesso edilizio. Le vasche della fontana sono popolate, appunto, da rane: quattro nella conca inferiore, che versano l’acqua nelle conchiglie sorrette dalle quattro coppie di figure, ed altre otto che, sul bordo della conca superiore, sembrano star per saltare verso lo zampillo centrale. In questa atmosfera di fanciullesca fantasia ricca di reminescenze classiche, l’artista non dimentica il personale tributo alla città che lo ospita e all’arte che l’ha resa grande. Così l’ape sul bordo della vasca non è che un richiamo affettuoso e riconoscente alla Fontana delle Api del Bernini. Curiosità in coda: Il quartiere, per la sua particolarità, è stato utilizzato come location di diversi film ma prima ancora si lasciò ispirare dalla scenografia del film “Cabiria”, dalla quale copiò il portone di un edificio costruito nel 1926. “La ragazza che sapeva troppo” (1963) di Mario Bava è ambientato qui, e anche Dario Argento fu rapito dalla magia del luogo e vi ambientò la coltellata del lungometraggio “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970) e alcune scene di “Inferno” (1980): la casa della Mater Lacrimarum si trova in piazza Mincio ed è lo stesso palazzo utilizzato dal regista Richard Donner ne “Il presagio” (1976). Altri film con alcune scene girate qui sono l’horror “Il profumo della signora in nero” (1974) di Francesco Barilli, “Ultimo tango a Zagarolo” (1973) di Nando Cicero, “Audace colpo dei soliti ignoti” (1960) di Nanni Loy con Vittorio Gassman.
Posted on: Wed, 20 Nov 2013 08:46:31 +0000

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