In relazione ai punti di riferimento mondiali delle strategie - TopicsExpress



          

In relazione ai punti di riferimento mondiali delle strategie economiche del M5S, va precisato che le idee espresse da economisti neo-Keynesiani come Stiglitz e Krugman sono molto interessanti perché sottolineano come le cure neo liberiste per il problema del debito sovrano siano non solo ingiuste, ma anche sbagliate perché mortificano le risorse e i talenti dell’Europa (il suo capitale umano, fisico e naturale), privilegiando gli interessi di gruppi finanziari a cui sono asserviti gli interessi dei cittadini, e determinano la svendita del patrimonio pubblico e dei beni comuni delle nazioni. È interessante come Stiglitz sottolinei che denunciare questo enorme spreco di risorse non può essere demagogia o populismo, e che lEuropa deve ritrovare una coerenza e una visione comune perchè non può continuare a prestare soldi alle banche per salvare gli Stati e agli Stati per salvare le banche. Paul Krugman è estremamente chiaro nel denunciare la inattendibilità dellaffidabilità di Paesi sovrani sui criteri delle agenzie di rating, che sono contraddittori e usati opportunisticamente per alimentare la speculazione. Non si capisce perché se la spesa sociale è il problema, i Paesi scandinavi, che hanno la spesa sociale più elevata del mondo, hanno tutti la tripla A, e se il problema è il debito, i Paesi più indebitati del mondo (Giappone e USA) godono di valutazioni elevate? Forte è il sospetto, ci ricorda Krugman, del conflitto di interessi, perché chi emette titoli speculativi contro i Paesi indebitati fa parte degli stessi gruppi delle agenzie che emettono le valutazioni, e perciò quei titoli possono farli salire o scendere con valutazioni interessate. In questa situazione, ricorda sempre Stiglitz, l’Unione monetaria ed economica dell’UE è stata concepita come uno strumento per arrivare ad un fine, non un fine in sé stesso. L’elettorato europeo sembra aver capito che, con le attuali disposizioni, l’euro sta mettendo a rischio gli stessi scopi per cui è stato in teoria creato. Anche Jean-Paul Fitoussi concorda che lEuropa abbia preso un colossale abbaglio concentrandosi sulle finanze pubbliche e trascurando il problema urgente dellimpoverimento della gente con la disoccupazione che dilaga. Non si può non condividere la sua idea che il rigore imposto dai tedeschi e lausterity difesa da tutti i leader europei non sono serviti ad arginare la crisi, anzi, sembra abbiano peggiorato la situazione, e che occorre rivedere dalle fondamenta la costruzione delleuro, modificandone le basi ideologiche, e dando una scossa alla macchina europea. In altre parole, economia subordinata ai cittadini e non viceversa. Condivisibile anche il rifiuto dellideologia secondo cui per preservare il potenziale di crescita economica va accettata una maggiore precarietà, in una logica mercantilistica in cui la finanza e i mercati si sostituiscono alla democrazia, fenomeno che Fitoussi chiama “l’impotenza della politica”, suggerendo di restituire alla democrazia quel vigore che mai avrebbe dovuto perdere. Resta da vedere se tutto possa risolversi con una banca centrale vera, eurobond, vigilanza bancaria unificata come sembra suggerire Fitoussi, che ammette che bisogna inventare un nuovo futuro per individuare compensazioni fra soggetti vincitori e soggetti perdenti della globalizzazione e per questo è necessario chiamare tutti i cittadini a discuterne apertamente sulla pubblica piazza. Se queste visioni sono condivisibili, sul piano delle soluzioni concrete il nostro punto di riferimento rimane Jeremy Rifkin, secondo il quale i regimi energetici determinano la forma e la natura delle civiltà: come sono organizzate, come vengono distribuiti i proventi della produzione e dello scambio, come viene esercitato il potere politico, e condotte le relazioni sociali. In altre parole, la crisi che siamo vivendo è la crisi della società creata dalla seconda rivoluzione industriale, basata sul petrolio e sulle fonti energetiche concentrate, che hanno creato una società altrettanto concentrata con ricchezza e potere nelle mani di una élite mondiale che condiziona tutte le scelte e la vita di tutti i cittadini. Questo modello ha prodotto ingiustizia sociale e danni ambientali che sono sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto ha ormai raggiunto i limiti della propria entropia. In altre parole è diventato inefficiente. Buttiamo via tonnellate di cibo ogni giorno mentre un bambino muore ogni tre secondi di malnutrizione; sprechiamo milioni di tonnellate dacqua potabile per riscaldare le nostre case con i fossili o raffreddare le centrali nucleari e termoelettriche, consumiamo una bibita in 20 secondi per lasciare una bottiglietta di plastica nellambiente per 5 secoli, compriamo zucchine o grano cinesi per risparmiare, facendo morire lagricoltura di qualità locale; immettiamo gas a effetto serra nellatmosfera con conseguenze catastrofiche sul clima e anche sulleconomia (il rapporto Stern del 2006 prevede una perdita fino al 20% del PIL mondiale). Quando una cosa non funziona più si cambia. Rifkin suggerisce una transizione dal ciclo fossile al ciclo solare, verso modelli energetici ispirati alle immutabili leggi della termodinamica solare e basati sulle tecnologie di terza rivoluzione industriale a bassa intensità finanziaria e alta intensità di lavoro. Questo permette di redistribuire la ricchezza dalla grande speculazione finanziaria (PIL concentrato) ai salari di milioni di lavoratori (PIL distribuito). Questa infrastruttura, che è l internet dellenergia, si basa su cinque pilastri (rinnovabili, idrogeno, smart grid, costruzioni a zero emissioni, trasporti a zero emissioni) per introdurre i quali bisogna far lavorare un sacco di gente. Sono posti di lavoro qualificati e legati al territorio, non soggetti al ricatto occupazionale della delocalizzazione. E soprattutto sono posti di lavoro che forniscono un redditto adeguato senza distruggere la vita sociale delluomo, per sua natura animale empatico che lasciano il tempo di occuparsi della vita personale, degli affetti, delle relazioni umane. Perché si lavora per vivere, e non si vive per lavorare, e questo è un altro pilastro della visione di Rifkin, espresso nel libro La fine del lavoro, che ridefinisce il concetto di lavoro davanti allesaurirsi progressivo del lavoro nelle fabbriche (sostituito dallautomazione), e indica un futuro in cui i beni verranno prodotti dalle macchine mentre il lavoro delluomo sarà esclusivamente rivolto ai servizi verso laltro uomo, conferendo dignità a lavori che oggi vengono considerati volontariato o lavori socialmente utili (cura dei bambini, assistenza a anziani e invalidi, valorizzazione del patrimonio culturale, servizi energetici integrati avanzati, educazione e istruzione, ricerca e sviluppo). Questa è lidea del futuro dellItalia e dellEuropa. Il Sogno Europeo di cui scriveva Rifkin qualche anno fa per il momento è diventato un incubo. Questa idea non è compatibile con nessuna delle forze politiche tradizionali rassegnate a fare dellItalia un hub del gas e delle trivellazioni petrolifere, che penalizza lindustria del solare e della green economy distribuita sul territorio imponendo assurde procedure burocratiche e regole instabili e mutevoli, che brucia risorse chiamandole rifiuti, che favorisce le speculazioni finanziarie sulle derrate alimentari come sui derivati, praticate da tutte le banche con la complicità della politica, invece che obbligare le banche italiane a investire nel talento locale, nellefficienza energetica e nelle tecnologie solari che garantiscono un ritorno rapido degli investimenti. Una politica che si rassegna a vendere al miglior offerente la nostra intelligenza, facendo emigrare i talenti o invogliando le multinazionali a investimenti in Italia che alla fine convengono solo a loro, promettendo forza lavoro qualificata flessibile (cioè precaria) e svendendo loro i nostri beni comuni. Dobbiamo ripartire dalla valorizzazione dellessere umano e dalla biosfera che ci ospita promuovendo sul territorio modelli economici che vadano verso una riduzione graduale dellentropia. Pratiche commerciali a rifiuti zero, pratiche energetiche e industriali a emissioni zero e pratiche alimentari a chilometro zero, secondo il modello del manifesto Territorio Zero che mette in sinergia le visioni di Jeremy Rifkin, Paul Connett e Carlo Petrini, possono rapidamente creare sviluppo e occupazione e nuovi contratti per le piccole e medie imprese locali legate al territorio, che praticano standard di profitto accettabili e etici, senza pratiche corruttive, anticipando la terza rivoluzione industriale e diventando leder mondiali. Si può fare! Angelo Consoli, Direttore dellUfficio Europeo di Jeremy Rifkin, Fondatore e Presidente del CETRI-TIRES
Posted on: Wed, 13 Nov 2013 22:06:00 +0000

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