LA CUSTODIA CAUTELARE NON SOLO UN PROBLEMA DI NUMERI Emerge con - TopicsExpress



          

LA CUSTODIA CAUTELARE NON SOLO UN PROBLEMA DI NUMERI Emerge con chiarezza, dai dati ufficiali, che L’Italia detiene il “record” delle custodie cautelari. Al 30 giugno 2010 ben il 42,5% dei detenuti era in attesa di giudizio e la metà di loro è destinato ad essere assolto. Si tratta di circa 15.000 persone, che scontano da innocenti mesi e a volte anni di “pena anticipata” e contribuiscono a rendere gremite le celle. Questo dato ha la sua attualità nel momento che la Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo accusa lItalia di «Sovraffollamento strutturale» delle carceri essendo, infatti, il tasso doccupazione dello spazio carcerario degli istituti di pena in Italia al 139,17%. Da qui il messaggio del capo dello Stato al Parlamento che tanto fa discutere circa l’amnistia e l’indulto. Sarebbe, tuttavia fortemente diminutivo, ritenere che quello della carcerazione preventiva sia o possa essere soltanto tema di sovraffollamento degli istituti di pena. La custodia cautelare infatti, nelle dimensioni su riportate, viola evidentemente le garanzie costituzionali del cittadino e pone inquietanti interrogativi anche, e soprattutto, sulla ritualità processuale. Valerio Spigarelli, attuale presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, ha scritto, su quest’argomento un interessante riflessione pubblicata su Diritti e ripresa da GLI ALTRI che di seguito riporto integralmente ….. Abuso della custodia cautelare, i giudici tradiscono la Costituzione E’ ormai entrato nel lessico il termine abuso della custodia cautelare, utilizzato sia a destra che sinistra, e perfino – se non il termine perlomeno la nozione – da chi del fenomeno dovrebbe Valerio Spigarelliesserne ritenuto primo responsabile, cioè la magistratura. Sono ormai passati un paio d’anni, infatti, da quando l’allora Primo Presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, dichiarò testualmente: «È necessario che il legislatore assuma sul serio la natura di extrema ratio della custodia in carcere… e la preveda soltanto in presenza di reati di particolare allarme sociale, e, soprattutto, la inibisca quando la condotta criminosa presa in considerazione sia risalente nel tempo e non accompagnata da manifestazioni concrete di attuale pericolosità sociale. La questione chiama ovviamente in causa anche i giudici. Il difetto endemico del nostro sistema, a causa dell’eccessiva distanza temporale tra condanna ed esecuzione della pena, comporta sovente la spinta ad anticipare, in corso di processo o di indagini, il ricorso al carcere al fine di neutralizzare una pericolosità sociale, anche se soltanto ipotizzata, al fine di offrire una risposta illusoriamente rassicurante alla percezione collettiva di insicurezza sociale, che finisce così con il contagiare l’ambito giudiziario, determinando guasti sulla cultura del processo e delle garanzie». Un’affermazione molto più forte di quel che il lessico giuridico lasci trapelare e, forse, anche di quel che il prestigioso magistrato fosse disposto ad ammettere, giacché in tal guisa si denunciava l’applicazione di una forma, incostituzionale, di detenzione anticipata rispetto alla condanna definitiva. In effetti, è proprio quel che avviene nei nostri tribunali: lungi dall’applicare il concetto che la privazione della libertà sia un evento eccezionale, la giurisprudenza la utilizza in funzione di difesa sociale; cioè non perché sussistano nel caso specifico le esigenze che il codice prescrive (rischio di inquinamento delle prove, di fuga, o di reiterazione di reati particolarmente gravi da parte del condannato) bensì per far scontare in anticipo quella che (potrebbe) essere la sanzione finale, nel timore che l’inefficienza del sistema ne vanifichi l’applicazione. Insomma, “pochi maledetti e subito” – come voleva il motto dei bottegai romani del secolo scorso – mesi o anni di custodia cautelare nel dubbio che la sanzione definitiva resti virtuale. Questa analisi, anche se in maniera inconsapevole da parte dei molti che l’avanzano, dimostra, però, anche un’altra cosa rispetto alla scarsa sensibilità verso la legalità costituzionale che contiene. Ragionando in tal modo la giurisprudenza, infatti, svela anche un suo squilibrio genetico: non dovrebbe essere il mestiere del giudice (delle indagini preliminari o del dibattimento) preoccuparsi dell’eventualità che il sistema si dimostri inefficace. Chi giudica dovrebbe avere a cuore la legalità del processo e non altro. Se un giudice (o meglio la stragrande maggioranza dei giudici) è così sensibile alle esigenze di difesa sociale, tanto da arrivare ad una pratica che stravolge i principi costituzionali, è perché si sente istintivamente, culturalmente, giuridicamente, più vicino alle istanze di difesa sociale di cui è portatore il pm rispetto a quelle di tutela del diritto del singolo di cui è latore il difensore. E’ questo il punto su cui bisogna intervenire, ma per farlo occorre rimettere la figura del giudice al centro del triangolo ideale del processo, tra accusa e difesa. Un giudice terzo, che pesa i diversi interessi, non un collega del pm nell’amministrazione della giustizia per ciò solo sbilanciato come è ora. Se non si elimina questa confusione concettuale, attraverso una vera e significativa separazione delle carriere, nessun intervento sulle norme del codice sarà efficace, perché le norme stesse, come già avviene oggi, saranno aggirate. Bisogna poi corroborare in maniera significata un’altra scontata verità che la legge proclama e la prassi elude: custodia cautelare, viepiù in carcere, solo come extrema ratio. Anche in questo caso un comando già previsto che viene eluso. Ed allora occorre che la legge sia ancor più chiara, escludendo il carcere se non per un pugno di reati che per il carattere permanente (associazioni per delinquere di stampo mafioso etc) o per l’estrema pericolosità (fatti commessi con violenza sulle persone) possono giustificare il sacrificio della libertà anche in un fase precedente alla condanna definitiva. Anche qui, però, rinunciando alle presunzioni anticipate ma verificando caso per caso la sussistenza delle esigenze cautelari. Per tutti gli altri reati bastano ed avanzano gli arresti domiciliari, le misure interdittive, i divieti di soggiorno e di residenza, eventualmente rinforzati e resi più efficaci. La politica sarà in grado di farlo? Gli intellettuali si sporcheranno le mani su questo tema? E la stampa avrà la forza di parlarne senza pensare alla tiratura? GLI ALTRI La sinistra quotidiana 14. Ottobre.2013 Valerio Spigarelli Presidente Unione Camere Penali italiane
Posted on: Sat, 19 Oct 2013 07:57:55 +0000

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