LA PACE NEL MONDO È - TopicsExpress



          

LA PACE NEL MONDO È divenuta la battuta più immediata e tipizzante dalla parodia dei concorsi di bellezza che alcune nostre attrici comiche hanno inscenato. Nel perseverante (e deleterio) rito della gara per chi si accaparra il titolo di Miss qualche cosa, sopra a tutti Miss Italia per restare dalle nostre parti, ci si ostina da qualche tempo a far vedere che “oltre le gambe c’è di più”. E allora le icone della bellezza femminile a volte ancora acerba, e spesso perfino a ben vedere goffa, devono esibire la favella, un cervello dietro che pulsa, delle idee, degli interessi che vanno al di là del rimirarsi allo specchio o andare a caccia dell’uomo dei sogni, bello, ma soprattutto ricco e potente, meglio se nel mondo dello spettacolo. E allora studiano, leggono, praticano sport, etc. Poi vengono davanti alle telecamere e alle giurie che qualcuno paga per dire quale cavalla preferisce, non si sa per quali titoli accademici, dopo essersi magari un po’ spalmate negli occhi cupidi della popolazione maschile e aver concorso a formare il deleterio modello dell’effimero nelle menti della popolazione femminile giovane e giovanissima, e, alle domande serie, esistenziali, rispondono compunte sulle proprie massime aspirazioni, sui desideri sommi, sui progetti di vita planetari. E qui spunta, con una frequenza già comica “La Pace Nel Mondo”. Chi può non condividere questa dichiarazione di candido amore per la condivisione di questo grande valore che innegabilmente è conditio sine qua non affinché ognuno possa coltivare altri desideri più terreni ed effimeri senza sentirsi terribilmente egoista nei confronti di chi vive in luoghi del mondo sferzati dalla piaga e dagli orrori della guerra. Della stessa specie è la “sconfiggere la fame nel mondo”. Quest’anno ci ha lasciati Massimo Catalano, un musicista che ai più è divenuto noto per la sua partecipazione a “Quelli della notte” con la squadra di personaggi di Renzo Arbore. Era solito emettere sentenze di grande saggezza ed equilibrio, alle quali si perdonava l’imbarazzante scontatezza. Sua è la frase “È molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati.” Ecco, il candore delle sentenze delle concorrenti ai titoli di miss bellezza ricorda le uscite di Catalano, senza avere la stessa capacità di convertire in comicità la banalità consapevole, e suonando false o semplicemente ingenuamente grossolane. I venti di guerra in aree del mondo che spesso siedono sopra congrui giacimenti di petrolio, che in questi ultimi decenni si sono sostituiti alla tensione della guerra fredda che seguì il secondo conflitto mondiale, per la prima volta, grazie agli strumenti di comunicazione dei nostri giorni, sono stati oggetto di discussione, riflessioni, battaglie, spettacolo, cronaca. Oggi idealmente un proiettile che viene sparato in un punto del mondo non termina la sua corsa finendo sul bersaglio, materiale o umano che sia, ma prosegue in rete il suo eco, la sua oscillazione sempre più ampia se la frequenza è opportuna e si toccano le sensibilità dei più. È pur sempre vero che la quota d’umanità meno digitalizzata o con la pancia non proprio piena, se non avverte con le proprie orecchie il sibilo dei proiettili, le esplosioni delle bombe o se non vede con i propri occhi e dal vivo il sangue delle vittime, ha un coinvolgimento più superficiale con le disgrazie dei suoi conspecifici lontani. È altrettanto vero che nei nostri paesi “privilegiati” ci possiamo permettere il lusso di sostenere e difendere alcuni diritti fondamentali della persona che non sono nemmeno ritenuti tali da tutti, mentre spesso a non molti chilometri esistono esseri umani che hanno dovuto imparare a ritenere normale piangere la morte violenta di figli, mogli, mariti, genitori, fratelli perché sono nati e vissuti nel posto o nel momento sbagliato. Ragioni che li sovrastano, spesso guidate da patologica sete di denaro o potere, in altri casi da assurde e radicate convinzioni religiose, fanno sì che altri, intorno e vicino a loro, si uccidano coinvolgendoli o semplicemente li vogliano sterminare in quanto rappresentanti inconsapevoli della parte sbagliata. Certo, come sarebbe meglio che tutti potessero godere della nostra relativa serenità rispetto almeno a questo problema. Poter condurre una vita senza il terrore incessante di essere ucciso o peggio di essere privati dei propri cari da atrocità inenarrabili. Allora qualcuno ha inventato le bandiere arcobaleno, ha brandito lo slogan “W la Pace!”. Ma cosa significa? Mi pare che visto da fuori lo slogan sia impregnato della stessa disarmante ingenuità delle dichiarazioni delle miss. Esplicitando il significato sottostante si intende che sia condannato ogni ricorso all’uso di armi da parte di qualunque paese o organizzazione militare. Se fossero anche bandite tutte le armi dalla faccia della terra avremmo risolto il problema alla fonte, o no? Peccato che non possiamo contare sul rispetto e la condivisione del principio da parte di ogni popolo, ma ancor di più di ogni singolo. Peccato che la decisione di abbassare la guardia mentre per i benpensanti potrebbe significare un benefico allentamento della tensione, per chi non lo è, ed è semplicemente ingenuo ritenere che si possa escludere la gravidanza continua della mamma dei “cattivi”, può servire da formidabile incentivo all’attacco. Ma ancora di più, le differenze culturali e religiose, inquinate dall’intolleranza che serpeggia nelle menti dei “convinti”, portano al rischio che atti di violenza armata di qualunque segno possano scoccare fra insospettabili peraltro non guerrafondai. Armi sì, armi no. Assistiamo, almeno attraverso la cronaca, al tragico reiterarsi di sanguinose sparatorie in cui troppo spesso vittime sono bimbi, che convincono sempre più (noi) che il troppo facile possesso di armi sul territorio degli Stati Uniti ne sia la causa prima. Menti instabili o facilmente suggestionabili, arrivano a compiere gesta di ferocia inspiegabile, magari emulando personaggi della cinematografia violenta. Qui siamo convinti che le armi non debbano essere disponibili, se non per coloro che, per preparazione, professione e credibilità, possano offrire garanzie di non costituire pericolo per altre persone inermi. E tuttavia spesso le armi regolarmente detenute, magari di persone facenti parte delle forze dell’ordine o ex colpiscono in occasioni di raptus di rabbia o di follia, o anche, purtroppo, di banale distrazione e trascuratezza nella detenzione delle armi stesse. D’altra parte immagino che siano tutti concordi nel pensare che per difendere la comunità dai suoi elementi dannosi le forze dell’ordine non possano disporre solamente della parola e dei muscoli. Ci sarebbero meno rivolverate da parte di agenti dell’ordine verso i propri familiari o il vicino per liti o follia, ma in compenso saremmo facili prede e vittime di malintenzionati armati fino ai denti per vie illegali, per nulla preoccupati delle possibili sculacciate da parte dei tutori dell’ordine. Allo stesso modo come si può pensare di tenere attivo un equilibrio di pace nel mondo senza meccanismi di sicurezza che abbiano potenzialità coercitive nei confronti dei paesi che per cultura, religione, infiltrazioni terroristiche, o per regimi totalitari o estremisti prevedano nel loro linguaggio la possibile prevaricazione dell’altro e il disprezzo dei diritti umani? La Pace non si può assicurare con il ricorso alla sola diplomazia quando non esistano, dietro, forti deterrenti di potere bellico, magari gestiti da organizzazioni transnazionali. Poi, come dice il nostro ministro degli esteri Emma Bonino, si deve discutere mille volte il ricorso alle armi e solo quando tutte le altre strade sono state sondate e hanno fallito e la posta in gioco sia inopinabilmente la sicurezza delle comunità e non interessi economici o politici di singole nazioni o superpotenze. Nel quadro poi c’è la presunzione, in buona o cattiva fede lasciamo ai posteri la sentenza, degli Stati Uniti D’America, di essere i tenutari del ruolo di difensori del mondo, che non si possono esimere dall’intervenire quando hanno prova (certa?) di violazioni gravi ai diritti umani delle popolazioni altrimenti verrebbero esecrabilmente meno alla loro missione, lasciando i malcapitati in balia dei cattivi di turno. Qualcuno più malizioso osserva che, sarà una coincidenza, ma i paesi nei quali si sono decisi interventi bellici nel passato recente hanno ricchezze naturali, come il petrolio, che costituiscono un interesse meno nobile per decidere di mandare i propri ragazzi a rischiare e spesso perdere la vita in interventi unilaterali. D’altra parte proprio noi italiani non dobbiamo dimenticare che abbiamo un debito di riconoscenza verso gli Stati Uniti e gli alleati canadesi ed inglesi, non solo per il loro sangue versato in nostra difesa anche contro le ritorsioni degli ex alleati tedeschi sul finire della seconda guerra mondiale (culminata con la “Liberazione”), ma per gli aiuti economici che hanno consentito la ricostruzione del dopo guerra. In quel caso l’intervento non fu deciso da lontano, ma dopo l’odioso attacco di Pearl Harbour da parte delle forze nipponiche, tuttavia andarono ben oltre la difesa dei propri territori. Ad assicurare alle comunità internazionali una difesa autorevole e sulla quale vigilano tutte le nazioni e le potenze c’è l’Organizzazione per le Nazioni Unite. L’organo delle Nazioni Unite che ha più precisamente il ruolo di “deliberare su atti di aggressione o di minaccia alla pace o alla sicurezza internazionale” e quindi decide per gli interventi dei Caschi Blu, è il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Esso fu costituito all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, senza nessuna voce in capitolo di Italia, Germania e Giappone, in quanto nazioni uscite sconfitte dal conflitto e, conta cinque membri permanenti che sono le nazioni uscite vincitrici dallo stesso conflitto, più potenti politicamente economicamente e militarmente, Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia. Ogni anno vengono eletti a rotazione come membri non permanenti altri cinque paesi che fanno parte dell’ONU e che durano in carica per due anni, portando a quindici il numero dei membri totali. I membri permanenti hanno il diritto di veto, e questo ha spesso la conseguenza di portare all’empasse le decisioni che coinvolgano paesi di schieramenti amici. In un passato non lontano le forze americane sono intervenute in Iraq per due volte. Nel 1991 George Bush padre, dietro l’egida dell’ONU, guidò una colazione di stati all’intervento contro l’Iraq di Saddam Hussein, colpevole di aver invaso il vicino Kuwait. Nel 2006 George Bush figlio, fece scattare l’intervento senza attendere l’avvallo del Consiglio di Sicurezza, dietro l’esibizione di prove poi rivelatesi costruite, sulla presenza di armi di distruzione di massa in disponibilità del dittatore iracheno. Proprio questa “bugia” e tutto quello che possibilmente si cela dietro le motivazioni dichiarate dell’interventismo statunitense mette ora in guardia il mondo alle prese con la questione siriana. In questo articolo (qelsi.it/2013/la-verita-sulla-siria-e-linsensatezza-dellintervento-americano), che riporto senza avere garanzie di affidabilità della fonte, si trovano alcune delle ragioni delle critiche verso gli Stati Uniti e del pericolo che il mondo intero corre a restare alla finestra mentre forse si decide, senza aver ben valutato prove e responsabilità, ma soprattutto la portata delle conseguenze, un intervento armato, di larga scala o limitato poco cambierebbe, per fiaccare l’esercito di Bashar Al-Assad e rivoltare l’equilibrio attuale fra le forze. Oltre al rischio di coinvolgimento nel conflitto delle nazioni che si oppongono all’intervento, in primis la Russia di Putin, che in Siria ha una base militare e concreti interessi, c’è il dubbio, nemmeno recondito, che tra le forze di opposizione siano tutt’altro che trascurabili la presenza e l’influsso di Al Qaeda e il disegno di destabilizzazione del mondo arabo. Spostare il peso delle forze dall’una o l’altra parte rappresenta una responsabilità di portata planetaria e forse lo stesso Obama se ne sta rendendo conto. D’altra parte anche non intervenire potrebbe essere, qualora fossero accertate le condizioni che lo giustificherebbero, un atto colpevole di omissione che non è detto si risolverebbe nella direzione della Pace. Come è giusto che sia, anche Papa Bergoglio, dall’alto del carisma della sua carica e dell’ammirazione conquistata in breve tempo, ha fatto sentire la sua voce e, come è naturale che sia, egli, in nome della chiesa cristiana e dei valori che difende, si oppone all’intervento armato in Siria, pregando affinché si esca dalla crisi con i negoziati. Purtroppo nemmeno lui ha il potere negoziale di sedare conflitti che hanno preso dimensioni ormai viscerali e storiche e le sue parole restano una pia speranza e un’illusione buonista che potrebbe rischiare di lasciare aperte più voragini di quante ne aprirebbe un intervento. Non ho una risposta. Non ho una ricetta. Non ho certezze, non ho visibilità di qualcosa che potrebbe crearmele, ma dubito che tra molti di quelli che ora parlano in difesa dell’intervento o del non intervento vi sia oggettivamente molta più certezza, sicuramente non molta più chiarezza.
Posted on: Sun, 08 Sep 2013 16:53:50 +0000

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