Lettera lunga ma divertente! da leggere! Ennio Flaiano, - TopicsExpress



          

Lettera lunga ma divertente! da leggere! Ennio Flaiano, sceneggiatore della Dolce vita e di altri film di Federico Fellini, ha scritto che la lingua italiana: “… è buona per fare le domande in carta da bollo, ricordi dinfanzia, inchieste sul sesso degli angeli e buona, questo sì, per leccare. Lecca, lecca, buona lingua italiana infaticabile, fa il tuo lavoro per il partito o per i buoni sentimenti. La Salerno-Reggio e il Gatto del Cheshire Lettera aperta sul decreto del fare. Gentile signora, rispondo alla sua mail del 10 luglio, tenuta in frigo nell’attesa della conversione in legge del decreto, essendomi sembrato imprudente insultare il Governo prima del tempo. Lei dirige il Settore Urbanistica di un importante Comune, pertanto mi lasci dire anzitutto che la burocrazia, o meglio: la tecnostruttura pubblica (dalla quale io stesso provengo), non è sempre stata malvista, anzi! I concorsi di assunzione procuravano il meglio (o il second best), nonostante le interferenze di parroci e di marescialli, di vescovi e di ministri. L’appartenervi conferiva uno statuto sociale rispettato ma, finita con Mani Pulite l’età dell’innocenza, la gente ormai sgamata si è messa in testa che i pubblici dipendenti siano partecipi del voto elettorale di scambio, come certi professionisti, perfino come le migliori imprese negli appalti di lavori pubblici. Un blog scientifico ha calcolato quanto è costato andare dalla Terra a Marte e quanto sta costando andare da Salerno a Reggio (daily.wired.it/) La NASA ha dichiarato che per far attraversare al suo rover (lett. “giramondo”) mezzo sistema solare (a 20.000 km / h) ha avuto a disposizione 2,5 miliardi di dollari, circa 2 miliardi di euro. Disse la NASA che il 6 agosto 2012 Marte e la Terra distavano 205.000.000 di chilometri (il dato ha un range). Pertanto la Salerno - Reggio (450 km -> lavori in corso) costa circa 25.000.000 di euro / km mentre il lancio del rover nello spazio è costato circa 9 euro / Km. “Con solo gli ultimi fondi stanziati per i lavori di ammodernamento, che complessivamente raggiungono la cifra già astronomica di circa 10 miliardi di euro, si poteva far volare Curiosity [il nome del rover] verso il Pianeta Rosso [Marte] circa cinque volte, con una mano sola sul volante” (Philip Di Salvo). La mia impressione è che il discredito della funzione pubblica, nutrito dai media con le farine dell’apocalisse, sia stato la condizione necessaria per la dismissione di assets industriali anche strategici di proprietà dello Stato (dalle telecomunicazioni alle banche, alle autostrade, ecc.); così come lo sputtanamento dell’urbanistica (ci vuole la parola giusta) è stato la necessaria precondizione per liquidare le politiche pubbliche di pianificazione, che nel mondo non sono in discussione, anzi. INTERMEZZO N. 1 C’è una bella vicenda in tema di pianificazione urbana, di appalti a evidenza pubblica e di parchi naturali che ne smentisce l’incompatibilità con le politiche urbane e territoriali liberiste. Accadde a New York. 1. La pianificazione di Manhattan “New York era nata all’inizio del 1600, da un insediamento di coloni olandesi, sulla punta estrema della penisola di Manhattan: Nuova Amsterdam. Si era espansa molto rapidamente, tanto che all’inizio dell’Ottocento lo Stato decise di fare un piano regolatore. I progettisti disegnano tra il 1808 e il 1811, lo schema a scacchiera dell’attuale New York: streets e avenues che si incrociano formando regolarissimi isolati a loro volta divisi in lotti.” Una splendida centuriatio con il classico reticolato di strade parallele e ortogonali (sono i cardi e i decumani di antica memoria), al servizio della modernità più evoluta. 2. L’appalto per il Central Park “La città bandisce un concorso: vince il progetto presentato da Frederick L. Olmsted e Calvert Vaux. In meno di vent’anni il Central Park è realizzato. Misura circa 340 ettari, occupando tutta la parte centrale della penisola. La sua forma perfettamente regolare (dovuta al rispetto della griglia disegnata dal piano regolatore del 1811) è contrastata dall’accurata progettazione naturalistica: boschi e prati, laghi e ruscelli dominano il paesaggio, nel quale si inseriscono le tre strade di attraversamento progettate in modo da ridurne l’impatto visuale e acustico. Fino al 1938 a Sheep Meadow ancora pascolavano le greggi e il già il parco era diventato da decenni il luogo della ricreazione di milioni di newyorkesi.” 3. I grandi parchi nazionali “Il Central Park testimonia che il primo parco urbano democratico (realizzato cioè per i cittadini e non per il re o il principe) nasce negli Stati Uniti d’America. Lì nasce anche il primo parco naturale: quello della Yosemite Valley, istituito con legge nel 1865” (300.000 ha). Nel 1872 il Governo istituì il secondo parco naturale al mondo, lo Yellowstone National Park di 800.000 ha. (da Edoardo Salzano,“Fondamenti di urbanistica”, Laterza pagg. 216-217). Non potendo la competizione internazionale attendere i tempi di una nostra improbabile mutazione antropologica, la mia irridente proposta sarebbe di licenziare tutti i dipendenti pubblici, riassumerne la metà e pagarli il doppio. Sul tema delle semplificazioni sia procedimentali sia linguistiche, troverà nel mio sito (L’attualità -> La dottrina spot) uno scritto risalente al tempo in cui subimmo per breve tempo un Ministero della semplificazione amministrativa (già abolito) (well done). Titolo: “Ricordatevi di semplificare le teste”. “Mi corre l’obbligo”, come diceva Renzo Arbore imitando certi funzionari statali dalla cotenna spessa, di farle conoscere una parafrasi di Italo Calvino: “Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: «Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata». Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara di essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno di detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante». Le ragioni di questa separatezza culturale, okay non così profonda, vengono da lontano, ho perfino l’impressione che sia il frutto di un certo borbonico persistente caporalismo, che intendo come l’esercitare con arroganza un potere invece dell’adempiere con spirito di servizio). I funzionari inglesi, frutto di una diversa civiltà, si firmano “Il suo fedele servitore” e cioè “Your faithful servant”. Sulle matrici meridionali di una certa subcultura nazionale si legga: Antonino De Francesco, “La palla al piede – Una storia del pregiudizio antimeridionale”, Feltrinelli 2012, pagg. 254. Attualissimo il film “Le Mani sulla città” di Francesco Rosi, non distribuito in Italia (!) ma reperibile su Amazon. Il numero 10 di Downing Street è un bed and breakfast al cospetto di Palazzo Chigi, ma da lì hanno dominato il mondo. La signora Merkel (laureata in chimica industriale), rispetto alla Santanché in tacco 12 (si disse laureata in economia, ma la Bocconi la fulminò con una secca smentita), sembra una desperate houswife, ma tiene in pugno in ciabatte la Germania Federale. I cittadini e le imprese hanno un serio bisogno di amministrazione e quindi di provvedimenti well-timed (dati in tempo), la cui formazione è normata da una legge generale sul procedimento (n. 241 del 1990), che disciplina sia la lavorazione sia la responsabilità da ritardo dei funzionari. Nell’esperienza le cose vanno nel modo che sappiamo, ma eliminare i funzionari incapaci o corrotti è impossibile da parte di un sistema collusivo. Non vorrei che la gente finisse in generale con l’applicare la legge di Lynch, qualche tentativo c’è già stato in ambito ospedaliero. Qualcuno dotato di potere sembra avere deciso che se l’apparato non funziona lo si estromette dalle procedure (se ne fa a meno). Vorrà dire che ci penseranno gli interessi privati in esito a una palingenesi neo-virginale. Il presidente dell’INPS ha proposto un silenzio-assenso generalizzato di cinque giorni. Sembra credere che in un’economia globale lo Stato possa limitarsi a fare il guardiano notturno della proprietà. Quando un Ministro per la Funzione pubblica mandò a Montanelli un progetto di legge sulla semplificazione amministrativa, ottenne questa risposta: “Signor Ministro, noi di persona non ci conosciamo. Ma visto l’apprezzamento di cui ci siamo dati reciprocamente atto, mi permetta una domanda in tutta franchezza, anzi fuori dai denti: si rende conto di ciò che ha intenzione di fare: semplificare l’Italia? Se se ne rende conto e insiste ugualmente nella sua decisione, è un eroe. Se v’insiste non sapendo cosa fa, è un pazzo. Ma debbo subito aggiungere che la differenza fra l’uno e l’altro, in questo Paese, è impalpabile … Semplificare l’Italia, signor Ministro, non è nemmeno un programma rivoluzionario. E’ un programma sovversivo”. Beppe Severgnini del Corriere della Sera ha vissuto a Washington. Dice che quando ebbe a che fare con la burocrazia americana, abituato com’era a combattere contro la nostra, si sentiva un torero che deve affrontare una mucca. Qualcosa tuttavia sta cambiando anche da noi. Il recentissimo Codice del Processo Amministrativo, il primo dall’Unità Nazionale, dispone all’art. 3 (Dovere di motivazione e sinteticità degli atti) quanto segue: “Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica” (ci sono sanzioni). E’ così da sempre anche alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Lussemburgo) e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo), dove ogni atto non può superare un certo numero di pagine (qui per la verità c’è anche il problema di tradurre tutti gli atti in 24 lingue). A Milano qualcuno ne ha già fatto le spese: “1.1. Considerato che la parte ricorrente, unitamente al ricorso principale, ha proposto due ulteriori ricorsi per motivi aggiunti, deducendo in totale 43 motivi di impugnazione estremamente analitici e in larga parte ripetitivi, estendendo così il gravame ad un numero esorbitante di atti amministrativi (oltre 30) [...] 2.1. Tale inutile quanto abnorme dilatazione del giudizio costituisce, attesa la sostanziale ripetizione di molti dei motivi, violazione del principio di sinteticità di e sarà quindi valutata, in sede di statuizione delle spese di causa, indipendentemente dallesito del giudizio. ... 10. Attesa la rilevata violazione dei principi dellart. 3 del Codice del Processo Amministrativo dispone la compensazione integrale delle spese di causa)” (TAR Milano, Sezione II, 19 marzo 2013 n. 721) (il ricorrente chiacchierone aveva vinto ma gli hanno negato il rimborso delle spese processuali). Lei architetto si aspettava più libertà d’azione nel decreto-legge “del fare” (a botte?), ha espresso per implicito il desiderio di funzionari competenti e imparziali, che si sentano responsabili della tempestività dei loro atti. Come può immaginare sono d’accordo, ma da chiaroveggente rifiuto di scegliere tra bulimia (dirigismo) e anoressia (liberismo), mi piacerebbe un equilibrio tra interesse pubblico (che reputo primario) e iniziativa privata (il panificio). In estate, abbiamo il tempo di fare ragionamenti generali, un’attività non così contro natura. Siccome non partecipo mai al tiro al piattello (al discredito generalizzato) mi chiedo con quali criteri misurare l’adeguatezza di un sistema normativo alle esigenze della società che quel sistema ha secreto (da secernere, come le ghiandole salivari secernono la ptialina). Quante siano nel nostro Paese le norme vigenti non lo sa nemmeno Nostradamus. Le leggi infatti sono tutte uguali per la statistica, ma ben diverse per l’incidenza: l’art. 4, comma 1, della legge n. 142 del 1990 dice che “I comuni e le province adottano il proprio statuto”: basta un comma come questo per generare 8.092 statuti comunali e 110 provinciali, per un totale superiore al milione di articoli. Eppure non ci sono ottomila modi diversi di essere Comune, i soli ad averne bisogno (oltre a Roma) sono Campione d’Italia (extra territoriale) e Livigno (extra doganale). Ecco un esempio di malcostume normativo. L’art. 1, comma 2, della citata legge n. 142 così prescrive: “Le disposizioni della presente legge non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione”. “Se incompatibili” vuol dire: “Io non ho la minima idea se ce ne sono o no e in ogni caso non ho nessuna voglia di studiare gli Statuti delle Regioni e delle Province autonome, fatelo voi”. Per noi Italiani la legislazione è come la materia oscura per gli astrofisici, conosciuta solo per le perturbazioni che provoca, però tagliare le leggi decrepite è come ridurre il numero degli abitanti di un Comune cancellandone i morti dall’anagrafe. La Bayer non ha tolto dal mercato l’Aspirina per il solo fatto che la scoperta delle proprietà antinfiammatorie dell’acido acetilsalicilico risalgono al 1853. Non rendiamoci ridicoli contando il numero degli atti legislativi (un niente rispetto a quelli amministrativi), sia perché sarebbe meglio conoscere il numero dei loro articoli e dei loro commi e calcolare poi quanti mega o giga pesano; sia perché esistono leggi come i testi unici che ne abrogano a centinaia. Il d.P.R. n. 327 del 2001 (espropri) all’art. 58 per esempio ne elimina 140. Una società pluralistica tecnologica e internazionale come la nostra non può che avere un ordinamento sociale economico e giuridico complesso, ma il marasma è un’altra cosa. Se per le procedure troppo strutturate (ma la complessità non è un problema) prive di coerenza (qui ci arrendiamo) non si capisce più niente e si frulla a vuoto in balìa dell’imprevedibile arbitrio del funzionario, chi fa impresa preferisce un accordo col decisore, corrispondere cioè (diciamo) una security tax (la corruzione costo d’impresa scaricata sul mercato). Nell’urbanistica il rapporto intercorre tra una persona che ha i soldi (l’investitore) e una che ha il tempo (il decisore): chi ha solo i soldi sta male, perché il denaro si recupera ma il tempo no. Gentile signora, secondo alcuni commentatori il decreto-legge del quale stiamo discorrendo sarebbe solo un’operazione di marketing politico. Per alcune disposizioni il sospetto ce l’ho. Mi sento di deplorare un paio di cose: la demagogia dell’art. 28 (Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento) (qui ci sono i voti); e il cedimento dell’art. 30 (Semplificazione in materia edilizia) (qui c’è la trippa). Non vedo la sussistenza dei presupposti di costituzionalità dell’art. 77, comma 2: “In casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge”. Mi chiedo dove stia l’urgenza dell’art. 38, comma 2: “Fermo restando quanto previsto al comma 1, i soggetti di cui al medesimo comma presentano l’istanza preliminare di cui all’articolo 3 e l’istanza di cui all’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica numero 151 del 2001 entro tre anni dalla data di entrata in vigore dello stesso”. Altre norme invadono l’autonomia regionale nel governo del territorio, del quale l’edilizia costituisce un sottoinsieme. Mi pare indubbia l’inosservanza dei principi di sussidiarietà (prossimità del potere agli interessi), di adeguatezza (capacità di svolgere le funzioni) e di differenziazione (non tutti gli enti dello stesso livello sono in grado di svolgere egualmente bene le stesse funzioni), introdotti nella riforma del 2001 all’art. 118. Mi domando infine come si possa scrivere una proposizione come questa in una legge che dovrebbe essere di semplificazione anche linguistica: “1. Al fine di assicurare la continuità dell’intervento di vigilanza sui concessionari della rete autostradale da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in attuazione dell’articolo 11 comma 5 secondo periodo del decreto-legge 29 dicembre 2011, numero 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, numero 14, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri dell’Economia e delle Finanze e per la pubblica amministrazione e la semplificazione, si procede alla individuazione delle unità di personale trasferite al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e alla definizione della tabella di equiparazione del personale trasferito con quello appartenente al comparto Ministeri e all’Area I della dirigenza nonché alla individuazione delle spese di funzionamento relative all’attività di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali” (art. 25). Il diritto è la lingua del potere e quindi del comando (lasciamo stare l’obbedienza), ma noi Italiani (secondo Montanelli “pecore indisciplinate”) non abbiamo una lingua adatta allo scopo. Ennio Flaiano, sceneggiatore della Dolce vita e di altri film di Federico Fellini, ha scritto che la lingua italiana “… è buona per fare le domande in carta da bollo, ricordi dinfanzia, inchieste sul sesso degli angeli e buona, questo sì, per leccare. Lecca, lecca, buona lingua italiana infaticabile, fa il tuo lavoro per il partito o per i buoni sentimenti. Tra demagogia e speculazione Il Titolo III (Semplificazioni) si apre con l’art. 28 (Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento). Il decreto prova a fare qualcosa per il popolo dei credenti nelle istituzioni, ma con esiti controproducenti (era meglio lasciar stare se non ci sono i soldi), perché introduce in via sperimentale (quindi temporanea) un indennizzo (irrisorio) e solo per le imprese neonate (30 euro / giorno col jackpot a 2.000 euro). I cittadini che non siano imprenditori (nessuno è perfetto) dovranno aspettare il 28 febbraio 2015 (18 mesi dal 21 agosto 2013) per sapere com’è andato il monitoraggio, e cioè se con l’introduzione dell’indennizzo i tempi delle procedure sono stati rispettati (figuriamoci). Secondo come saranno andate le cose, un regolamento interministeriale (l’emanando regolamento), confermerà l’audace esperimento oppure ne deciderà la “rimodulazione “ (ahi) oppure la cessazione (ah ecco). La qualità delle prestazioni potrebbe risentirne per l’esigenza dei funzionari di evitare sanzioni (non si sa mai), come per i ferrovieri durante il fascismo, quando i treni dovevano arrivare (e deportare) in orario. Le imprese neonate (di nuova formazione) sono le sole ammesse all’indennizzo, ma ottenere qualcosa sarà oneroso, come minimo per il tempo e le energie che qualcuno nell’azienda dovrà dedicare al tentativo velleitario di riscuotere. Questo il distillato del procedimento. . Chi intende agire deve assicurarsi che sussistesse l’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi (ricevono anche tante scemenze). Se l’obbligo sussisteva e il termine di conclusione scade senza esito, il comportamento silente del responsabile dovrà essere interpretato (capito). Come mai? Perché il silenzio è un fatto (non un atto), e quindi di per sé inespressivo. La legge talvolta attribuisce al silenzio del funzionario un significato, ad es. silenzioassenso come all’art. 38, comma 10, della legge lombarda n. 12 del 2005; oppure silenzio-rifiuto come all’art. 38, comma 10-bis, della legge regionale citata. Bisogna stare attenti a un trabocchetto: quando la legge qualifica un comportamento come diniego (ad es. all’art. 25, comma 4, della legge n. 241 del 1990), non c’è mai ritardo nell’adempiere perché vi ha provveduto la legge stessa in via generale e astratta, quindi l’indennizzo non è dovuto. Il termine del procedimento può essere sospeso una sola volta per esigenze istruttorie. Nella legge regionale lombarda n. 12 del 2005, all’art. 38, comma 8, alcuni termini “sono raddoppiati per i comuni con più di centomila abitanti, nonché, per i comuni fino a centomila abitanti, in relazione ai progetti particolarmente complessi, definiti tali secondo motivata determinazione del responsabile del procedimento.” C’era un funzionario dalle parti di Varese che qualificava quasi tutti i progetti come particolarmente complessi. Ho cercato di spiegargli che la complessità dev’essere del progetto, non del funzionario. . Se l’obbligo sussisteva e il silenzio non era qualificato dalla legge, si ha un silenzio-inadempimento, illegittimo per violazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990: “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.” Il giovane imprenditore che non sia ancora sazio, a questo punto deve attivare il potere sostitutivo entro venti giorni dalla scadenza del procedimento (termine perentorio, quindi a pena di decadenza). . Se anche il titolare del potere sostitutivo non fa niente entro un termine pari alla metà di quello previsto, oppure rifiuta di riconoscere l’indennizzo, il solo rimedio è il ricorso TAR, che decide con sentenza in forma semplificata (più o meno entro trenta giorni). In caso di accoglimento del ricorso il giudice ordina allamministrazione di provvedere (di solito entro altri trenta giorni), designando un commissario ad acta. Bisogna pensarci bene prima di menare le mani sia per il basso valore della causa (il jackpot come detto è 2.000 euro) sia per il costo della difesa, a meno che non sia una questione di principio, tenendo conto che i principi sono importanti e quindi costano cari. Con gli sconfitti il decreto è spietato. Il giudice condanna il ricorrente a pagare in favore dell’Amministrazione una somma da due volte a quattro volte il contributo unificato oltre le spese di giustizia, così un’altra volta impara. Questo contributo è una tassa che per i ricorsi contro il silenzio è di 300 euro, nell’occasione dimezzata, chissà perché vista la stangata inferta agli sconfitti. Si discuterà se il vinto dovrà pagare da 300 a 600 euro (prendendo a base il contributo dimezzato) oppure da 600 a 1.200 euro (prendendo a base il contributo intero). Come la prenderanno i giudici amministrativi non possiamo saperlo, ma qualche idea l’abbiamo su cosa pensano dellart. 2-bis, comma, 1 della legge n. 241 del 1990: “Lart. 2-bis, l. 7 agosto 1990 n. 241 riconosce che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e rafforza la tutela risarcitoria nei confronti dei ritardi delle Pubbliche amministrazioni, stabilendo che esse sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dellinosservanza dolosa [fatta apposta] o colposa [fatta per sbaglio] del termine di conclusione del procedimento; il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è infatti sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nellattuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica; in questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nellaumento del rischio amministrativo e, quindi, spetta il risarcimento del danno da ritardo a condizione ovviamente che tale danno sussista, sia ingiusto e venga provato” (Consiglio di Stato, Sezione quinta, 21 giugno 2013, n. 3405). Questa decisione superata dalla precedente, me lo auguro perché non può essere condivisa: “Il titolare dellinteresse pretensivo al provvedimento, che lamenta di avere patito un danno ingiusto da ritardo, deve provare con rigore la sussistenza del pregiudizio economicoasseritamente derivante dal ritardo, che può essere riconosciuto quando sia dimostrato innanzitutto che si è verificata una lesione economicamente valutabile alla sfera giuridica del soggetto, poiché tale lesione è direttamente connessa con la violazione delle regole procedimentali da parte dellAmministrazione; la sussistenza di un danno non può infatti presumersi quale automatica conseguenza della tardiva adozione di un provvedimento favorevole allinteressato nei tempi ritenuti congrui da questultimo, ma occorre che il ricorrente dimostri di non avere potuto rivolgere le proprie energie alla cura di altri interessi e attività lavorative.” (Consiglio di Stato, Sezione quinta, 27 marzo 2013, n. 1773). Non intendo qui addentrarmi in uno dei temi più delicati del diritto amministrativo, mi limito a osservare che il tempo non ha prezzo, è terribilmente scarso ma non lo si può comprare né vendere, al massimo lo affittiamo a qualcuno che ci paga. Essendo anche un valore economico, qualunque ritardo esigerebbe (a) una riparazione indennitaria seria, additiva al risarcimento perché ne è autonoma (una specie di multa all’Amministrazione); (b) semplice nel procedimento; c) senza ritorsioni in caso di sconfitta in giudizio del ricorrente; (d) senza il meschino assorbimento dell’indennizzo nel risarcimento. Il decreto fa sentire il profumo di soldi che non ci sono, in tal modo addita ai cittadini i funzionari come i soli responsabili di ogni nefandezza, facendo credere che la politica adesso li vendicherà con un indennizzo. Il Governo ignora i ritardi dell’apparato giudiziario, le cui conseguenze sono abnormi non solo per i cittadini e le imprese; ma anche per le condanne dell’Italia alla Corte europea dei diritti: 948 condanne in 16 anni. “Sono convinto che il nostro Paese abbia bisogno di una riforma globale del sistema giustizia – disse il presidente del Senato - ma mi rendo conto che in questa fase di profonda crisi economica e politica, aprire un dibattito così ampio su un tema certamente delicato come questo, non sia prioritario”. Prendiamo atto. La ristrutturazione liberata Gentile signora, la normativa edilizia a quest’ora la conosciamo bene. L’art. 30 della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del decreto-legge n. 69 del 21 giugno (sopravvissuto a 2.300 emendamenti), è in vigore dal 21 agosto. Come sappiamo ha introdotto (a) modifiche a norme che c’erano già: la ristrutturazione edilizia, i termini di inizio e di ultimazione dei lavori e il certificato di agibilità); e (b) disposizioni nuove: termini delle convenzioni urbanistiche e (oscura) deroga alle distanze tra fabbricati. Lei si aspettava il silenzio-assenso nelle aree con vincolo paesaggistico, non poche delle quali istituite 40 anni fa dal Ministero della Pubblica Istruzione! “Invece niet”, lei scrive. La capisco, ma trovo prioritario un aggiornamento degli elenchi delle aree e degli immobili da mantenere soggetti alla tutela, una materia che lo Stato ha solo delegato alle Regioni, le quali ne hanno affidato la gestione ai Comuni. Da qui i procedimenti numerosi e cervellotici, spesso in sovrapposizione, talvolta usati come strumenti d’interdizione pretestuosa (nella certezza dell’impunità). Il silenzio mi sembra pericoloso, ma sono d’accordo con lei che così non si può andare avanti. La mia proposta è la revoca dei vincoli superati dallo sviluppo dei territori e l’applicazione ai decisori del principio di responsabilità. Detto questo, affrontiamo il tema della ristrutturazione liberata. Per noi Lombardi si tratta di un revival, lei dovrebbe ricordare come la controversia fu decisa dalla Corte costituzionale: “In conclusione, lart. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nel definire come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma – si legge nella sentenza - , è in contrasto con il principio fondamentale stabilito dallart. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dellart. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio” (sent. 23 novembre 2011 n. 309). La regola sancita dalla Consulta è che la disciplina degli interventi edilizi dev’essere uniforme sull’intero territorio nazionale: competenze, tempistica (timing), onerosità o meno dei titoli abilitativi, conseguenze delle loro violazioni (soltanto amministrative o anche penali), non possono variare da una circoscrizione regionale all’altra. Senza il principio di uniformità stabilito dalla Corte, accadrebbe che sul Lago di Garda (poniamo) gli stessi interventi (nuovi o sul costruito) potrebbero essere disciplinati diversamente (benché il lago sia un ecosistema unitario) dalle leggi della Lombardia, da quelle del Veneto e da quelle della Provincia Autonoma di Trento (i Comuni gardesani sono 67) (grazie Wiki). “Nel caso in cui le opere realizzate, considerate nel loro complesso, configurino non già un intervento di nuova costruzione, ma di ristrutturazione edilizia, la disciplina sanzionatoria
Posted on: Fri, 18 Oct 2013 09:49:34 +0000

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