Mi Ricordo di ANTONIO SKÁRMETA "Salvador Allende non era un - TopicsExpress



          

Mi Ricordo di ANTONIO SKÁRMETA "Salvador Allende non era un guerrigliero che un giorno scese dalla montagna, non era un profeta visionario che sbarcò da un’arca con angeli armati fino ai denti, e non era nemmeno un poeta fuori dal mondo che confondeva le nuvole con i carri armati. Era la cosa più simile che ci fosse a un cittadino comune. Non un’apparizione improvvisa, ma una persona che stava tutti i giorni lì dove doveva stare. Il mondo lo ricorda, a quarant’anni dalla sua morte nel palazzo della Moneda, come unrivoluzionario. Per i cileni la sua “rivoluzione” non era l’esercizio della violenza per “far partorire” la storia, ma la paziente, laboriosa lotta di una vita per conquistare, nel 1970, la presidenza della Repubblica che gli avrebbe consentito di dare forma al sogno suo e della società che rappresentava: promuovere un socialismo democratico — con tutte le libertà permesse — differente dai socialismi o comunismi esistenti nel mondo. Con espressione fin troppo folcloristica Allende la chiamò «una rivoluzione che sa diempanadae vino rosso». Aveva attraversato tutte le istituzioni della Repubblica. Fu ministro, deputato, senatore, e prima di essere eletto presidente era stato presidente del Senato, l’istituzione legislativa suprema, il faro radioso di legittimità democratica. Prima di essere presidente, Allende si sente orgoglioso di questo Paese in cui la Costituzione governa la vita del popolo e vincola a sé le leggi che la Repubblica produce. Il popolo lo conosce bene: già tre volte è stato candidato alla presidenza, nel 1952, nel 1958 e nel 1964. Qualche volta ha perso largamente, qualche altra volta di stretta misura. Non prende in considerazione mai altre strategie se non le urne e il voto popolare per arrivare al potere. Prima di essere eletto, nel 1970, pronuncia la sua battuta autoironica più celebre, disegna il suo stesso epitaffio: «Qui giace Salvador Allende, futuro presidente del Cile». Allende è stato più volte personaggio dei miei romanzi, soprattutto ne La bambina e il trombone, un’opera che culmina appunto con i festeggiamenti popolari per la sua vittoria elettorale del 1970, e che si sofferma in modo corposo su altri momenti più intimi e caldi del mito. Allende, di professione medico, visita la giovane protagonista e narratrice del romanzo, che è malata, molto prima di diventare il tragico eroe mondiale del 1973. L’azione del romanzo si svolge nel 1958, proprio nel momento in cui la popolarità del candidato socialista è enorme e la destra si rende conto con trepidazione che ci sono fortissime probabilità che un «comunista» vinca le elezioni, e allora elabora una strategia per sottrargli voti: inventa un candidato dal pittoresco fascino popolare, che fa discorsi non meno di sinistra di Allende, ma che ha il vantaggio di non essere un tribuno marxista bensì un simpatico prete di paese, Catapilco. Le percentuali finali dei due candidati che contano veramente, nelle elezioni del 1958, sono le seguenti: il candidato della destra, Jorge Alessandri, vince con il 31,2 per cento dei voti; Salvador Allende ottiene il 28,5. E il pretino di Catapilco? Il 3,3 per cento! Giusto giusto quello che serviva per sconfiggere Allende. Era un’epoca di machiavellismo bonario. Sono gli amabili giorni della Bambina e il trombone. Nel 1973 il machiavellismo ludico sfuma: la destra conquisterà con bombardamenti aerei, carri armati e odio psicopatico quello che non era riuscita a ottenere con i voti. Allende aveva una postura fisica —un’espressione corporea, diciamo — che trasmetteva calore e rassicurazione. Era una posa straordinaria: lo sguardo attento dietro gli occhiali dalla montatura spessa e il petto gonfio come un piccione fiero. Una figura familiare e rotonda, quella di una persona che rappresenta la storia di un Paese che ha servito in tante vesti. Quando promuove la nazionalizzazione del rame, il Senato approva la legge all’unanimità. Nessuno voleva fare la figura dell’antipatriottico! Ma quando arriva il golpe di Pinochet, con la conseguente soppressione del Senato, la prima misura che promulga è la “snazionalizzazione” del rame: il «salario del Cile » ritorna nelle mani di aziende private e investitori esteri. A quarant’anni dalla morte di Allende, i cileni e tutti gli abitanti del pianeta consapevoli sanno fin troppo bene come avvenne la fine violenta del suo governo di appena mille giorni: i poteri forti del Cile, attraverso gli imprenditori e le corporazioni, attraverso i loro apparati di comunicazione, crearono uno stato di guerra interna, promuovendoscioperi e serrate che affossarono l’economia. Questa insurrezione senza tregua, come è largamente documentato negli atti del Senato degli Stati Uniti, fu istigata e finanziata dalla Cia. Ci si potrebbe chiedere, meravigliati, perché in quasi tutto il mondo occidentale si conservi una memoria così viva ed emotiva del Cile, quando ci sono molti altri Paesi che hanno sofferto sopraffazioni, repressioni barbare e violazioni dei diritti umani assai simili, Paesi che come il Cile hanno messo in pratica lo stesso terrorismo di Stato che instaurò Pinochet. La mia risposta è che quando Allende, nel 1970, diventa il primo marxista democraticamente eletto, i Paesi europei, in preda a gravi crisi e destini incerti, vedono negli episodi del piccolo e lontano Paese sudamericano segnali che possono risultare importanti nel vecchio continente. In Spagna c’è ancora Franco, in Francia Mitterrand è lontanissimo dal prendere il potere, in Germania i Verdi non si sono ancora costituiti come partito. L’attenzione dell’Europa si concentra sul mio Paese con curiosità, simpatia e affetto. Quello che offre è quanto mai auspicabile: un socialismo democratico e con mezzi pacifici. E quando questo sogno viene distrutto a cannonate, scoppia anche la tristezza e la rabbia dei cittadini di tutto il mondo. Non solo la generazione che visse il golpe quando era nel pieno degli anni ne conserva un ricordo profondo. Anche i giovani delle diverse generazioni hanno ereditato dailoro genitori e nonni questo sentimento, per usare una parola più ampia di “politica”. E gran parte di questa nobile immagine del Cile come di un Paese che scelse di percorrere con dignità e allegria la strada verso una democrazia più profonda ha a che fare con la figura di Allende. Confrontato a un mare di turbolenze, Allende cercò di portare avanti il suo programma rivoluzionario senza limitare le libertà di nessuno, senza cancellare l’opposizione e senza reprimere con la violenza i gruppi insurrezionali che paralizzavano il Paese. Una settimana prima del golpe io fui fra quel milione di persone che sfilarono di fronte a lui per dimostrargli il nostro appoggio e il nostro apprezzamento. Fra quella moltitudine spiccava un gruppo di cinquecento giovani che sfilavano con passo militare gridando slogan di violenza rivoluzionaria e portando sulle spalle un pezzo di legno, forse un manico di scopa. Giovani che si illudevano che sarebbero stati in grado di difendere il loro presidente quando il golpe, ormai prossimo, sarebbe arrivato. I manici di scopa che portavano avrebbero potuto essere la metafora dei fucili, e invece no, erano solo quello: manici di scopa. La battaglia di Pinochet fu contro un popolo disarmato. Un altro fattore che contribuisce alla straordinaria memoria di Allende in Cile e nel mondo è la dignità con cui morì. Quando il palazzo della Moneda è alla mercé degli aerei che lo bombardano meticolosamente, lui pronuncia il suo ultimo discorso. Sono molte le frasi commoventi di questo uomo che annuncia che pagherà «con la vita la difesa dei principi che sono cari a questa patria». Ma nessuna mi tocca nel profondo quanto questo sentito omaggio alla pace, all’etica e alla responsabilità repubblicana, quando conclude dicendo: «Ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, perché sarà perlomeno una lezione morale che castigherà, l’infamia, la vigliaccheria e il tradimento». «Perlomeno»… Ah, presidente, quanto «più» c’è in quel «meno». I generali che la spodestarono oggi sono parte dell’ignominia universale. I loro nomi sono stati dimenticati e quando vengono ricordati è solo come icone di orrore e disumanità. I golpisti, dopo la loro vittoria-massacro, battezzarono il viale principale del quartiere più ricco del Cile Avenida 11 de Septiembre, per commemorare la loro impresa. Quarant’anni più tardi, perfino quella parte ricca e destrorsa della popolazione ha voltato le spalle al più fanatico dei sindaci pinochettisti, il colonnello Labbé, e ha scelto una donna del quartiere, Josefa Errázuriz, che è riuscita a cambiare quel nome che offendeva i cileni con la sua designazione tradizionale, Nueva Providencia. Oggi, nella memoria dei cileni, settembre non appartiene a Pinochet:appartiene ad Allende." (Traduzione di Fabio Galimberti) © RIPRODUZIONE RISERVATA
Posted on: Sun, 01 Sep 2013 13:10:21 +0000

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