Niente crisi per i cinesi Più di 62.200 attività sul territorio - TopicsExpress



          

Niente crisi per i cinesi Più di 62.200 attività sul territorio nazionale dedite a commercio, ristorazione ed estetica. La crisi e l’imprenditoria cinese - L’onda calda della crisi ha colpito gran parte del circuito commerciale e produttivo del nostro Paese. Le imprese chiudono o si trasferiscono all’estero, i negozi abbassano le saracinesche e i ristoranti sono sempre più vuoti persino il sabato sera. Vi è però una larga fetta di attività produttive che sembra non aver risentito della grave congiuntura economica, tant’è che continuano a produrre e fatturare come nel periodo pre-crisi, se non addirittura meglio. Si tratta dell’imprenditoria cinese, sia quella dedita alla ristorazione che quella attecchita nel commercio e nella produzione di abbigliamento e accessori. Senza tralasciare poi i picchi raggiunti nel 2012 anche dai centri estetici e dai parrucchieri cinesi, oggi divenuti di gran moda. La presenza delle imprese cinesi - “In passato le attività guidate da cinesi si concentravano nella ristorazione, nella pelletteria e nella produzione e vendita di cravatte. Successivamente le loro iniziative imprenditoriali si sono estese anche all’abbigliamento, alla calzatura, ai giocattoli, all’oggettistica, alla conduzione di pubblici esercizi e, da ultimo, alla gestione delle attività di acconciatura”, spiega il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi. Quella che molti indicano come una sorta di ‘invasione cinese’ è in realtà un boom economico che ha potuto mettere radici anche in virtù delle difficoltà riscontrate dai contribuenti. I prezzi aumentano, il potere d’acquisto cala, pertanto si preferisce acquistare al ribasso e le offerte degli store cinesi sono tra le più allettanti. Secondo la Cgia, nel corso del 2012 l’imprenditoria cinese ha superato le 62.200 unità: con un aumento del 34,7% in confronto all’inizio della crisi (2008) e del 6,9% in rapporto al 2011. I settori – Il commercio è il settore produttivo nel quale l’imprenditoria cinese ha trovato ampio spazio e buone possibilità di espansione, le attività sono infatti quasi 23.500. Il fronte manifatturiero è anche abbastanza fertile, soprattutto per quel che riguarda la produzione tessile-abbigliamento e calzature; in questo caso le imprese su tutto il territorio nazionale sono poco più di 17.650. La ristorazione, comprensiva di ristoranti, bar e alberghi, ha superato le 12.500 attività. Come abbiamo accennato, un fenomeno in crescita è quello delle attività produttive legate alla cura della persona, vale a dire all’estetica e alla parrucchieria. In totale, tra i parrucchieri, le estetiste e i centri massaggi, vi sono oltre 2.500 unità, con un aumento del 38,8% solo fra il 2011 e il 2012. I problemi di integrazione – Giuseppe Bortolussi, pur delineando la spiccata propensione imprenditoriale degli immigrati cinesi, ne individua anche delle problematiche legate all’integrazione. “Innanzitutto è una comunità poco integrata con la nostra società, anche perché molti cinesi non parlano la nostra lingua. Buona parte di queste attività, soprattutto nel ‘pronto moda’, si sono affermate eludendo gli obblighi fiscali/contributivi e aggirando le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. La stessa cosa sta accadendo nel settore dell’acconciatura e dell’estetica: dai controlli effettuati dalle forze dell’ordine emergono quasi sempre palesi violazioni alle norme igienico-sanitarie , infrazioni tributarie, amministrative e penali. Queste inadempienze consentono a questi negozi di praticare alla clientela dei prezzi bassissimi che stanno mettendo fuori mercato moltissime attività italiane che non possono reggere una concorrenza sleale così smaccata. Tuttavia, è giusto sottolineare che anche gli imprenditori italiani non sono immuni da responsabilità. Nel produttivo, ad esempio, in più di un’occasione si è scoperto che coloro che fornivano il lavoro ai laboratori cinesi erano committenti italiani che facevano realizzare parti di lavorazioni a prezzi fuori mercato. Se queste produzioni fossero state commissionate ad aziende italiane, certamente molti committenti avrebbero guadagnato di meno, ma in compenso i nostri distretti industriali non avrebbero subito la diffusione incontrollata di migliaia e migliaia di aziende condotte da cinesi”, conclude Bortolussi. Le rimesse – Inoltre buona parte dei ricavi non rimane in Italia, ma viene trasferita nel Paese d’origine. Il fenomeno delle rimesse infatti è in crescita dal 2012. L’anno scorso gli immigrati cinesi residenti in Italia hanno inviato in patria ben 2,67 miliardi di euro, ammontare che porta a 10,54 miliardi (+73,4% la variazione intercorsa tra il 2008 ed il 2012) la cifra complessiva fatta confluire in Cina negli ultimi cinque anni.
Posted on: Sun, 25 Aug 2013 21:36:14 +0000

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