Non vedo le ripetizioni la lascio cqm alla vs lettura attendo la - TopicsExpress



          

Non vedo le ripetizioni la lascio cqm alla vs lettura attendo la prof Capitolo terzo: La Crisi attuale Lo scenario economico mondiale Il fenomeno della globalizzazione nasce da una straordinaria accelerazione del progresso tecnologico nei campi dei trasporti, delle comunicazioni e dell’informatica; mostra aspetti molteplici e complessi, economici, culturali e demografici. La globalizzazione presenta rilevanti aspetti politici e giuridici ed è probabile che essa abbia ricevuto una forte spinta dalla fine del bipolarismo che ha diviso il mondo per quasi mezzo secolo. L’infittirsi degli scambi e dei contatti ha arricchito l’umanità. Sembra che il termine “globalizzazione” si sia affermato inizialmente con riferimento alla realtà dei mercati finanziari, realtà che negli ultimi decenni ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti. Lintento principale della globalizzazione è quello di creare un unico sistema economico privo di barriere. Il mercato globale ha le sue origini nella creazione degli eurodollari cioè nella comparsa di attività finanziare denominate in dollari, ma detenute da soggetti, e collocate presso banche, operanti al di fuori degli Stati Uniti. L’origine del mercato risale a quanto pare, agli anni cinquanta quando le autorità dell’unione sovietica e dell’Europa orientale decisero di ritirare le disponibilità in dollari che detenevano a New York, temendone il blocco, per utilizzarle altrove, in particolare a Londra. Quindi si trattava di dollari ma detenuti presso banche europee, dal quale il nome di eurodollari. Londra è la piazza finanziaria per eccellenza degli eurodollari. In seguito poi banche di tutto il mondo hanno preso a operare in valute diverse da quelle del Paese di appartenenza, per cui il termine di eurodollari non è presente. Si è tentato di proporre il termine di xenovalute (depositi in una determinata valuta detenuti presso banche non residenti nel Paese che la emette) il quale però non ha avuto molta fortuna. La Globalizzazione dell’economia ossia il cammino verso un’economia mondiale, investe oltre i mercati finanziari anche il mercato reale dell’economia, più specificatamente il commercio internazionale e in misura ancora più accentuata gli investimenti esteri, che rappresentano il campo operativo delle cosiddette multinazionali. In questo senso si può ben dire che il cammino verso la globalizzazione risalga a tempi molto lontani all’alba di quelle civiltà in cui hanno avuto luogo i primi scambi commerciali transfrontalieri in particolare lungo le vie del mare (scoperta dellAmerica nel 1492); scambi che hanno seguito una continua ascesa nella storia, costituendo secondo un’opinione accettata, una caratteristica fondamentale del progresso civile e non solo economico.. Osservando il fenomeno oggi anche i Paesi emergenti come il Terzo Mondo via via che abbandonavano le strategie dello sviluppo inward looking (verso l’interno) ovvero dello sviluppo autarchico, inevitabilmente corredate da pesanti interventi e controlli pubblici, si avviava una crescita sostenuta fondata sia sugli sbocchi consentiti dal grande mercato mondiale per le produzioni d’esportazioni, sia sulla potente ventata di competitività che nasceva dal commercio d’importazione. I casi di economie fortemente proiettate verso l’esterno come Singapore, la Corea del Sud, Taiwan, che nel giro di pochi decenni sono passate dal rango di paesi drammaticamente sottosviluppati a quello di paesi industriali tra i più avanzati Cina e India; ma anche il cosiddetto miracolo economico italiano, che ha consentito al nostro Paese di diventare una delle grandi realtà industriali del pianeta, e che ha preso lo slancio a partire dalla metà degli anni Cinquanta, è stato possibile solo in conseguenza di alcune grandi scelte strategiche orientate verso la crescente partecipazione dell’economia internazionale. Se consideriamo i dati dell’ultimo ventennio sulla base della documentazione presentata due volte all’anno nel World Economic Outlook del fondo Monetario Internazionale possiamo osservare che le esportazioni di merci dei paesi industriali avanzati sono cresciute, negli anni Novanta del 6.5% medio annuo in termini reali cioè in termini di volume e nei primi otto anni del nuovo secolo fino al 2007 del 5.3%. In tutte le sedi internazionali si riconosce ormai che una delle misure più importanti per il progresso dei Paesi emergenti è lo smantellamento delle barriere al commercio, che permetta una maggiore penetrazione nei mercati dei Paesi più ricchi;a tale smantellamento, che andrebbe ovviamente anche a vantaggio di questi ultimi dal punto di vista del benessere collettivo, si pongono gruppi d’interesse potentissimi, agricoli, industriali, commerciali, finanziari e sindacali, tutti accomunati dal timore che la ventata di concorrenza portata dalla globalizzazione ne intacchi i privilegi da sempre goduti al riparo delle barriere erette a difesa dei mercati nazionali. Nei paesi emergenti buona parte della crescita economica deriva da quella della popolazione. Ma poiché i fenomeni economici sono molto complessi, è anche logico osservare che la crescita globale è in parte assorbita dal forte aumento della popolazione; si riduce così il ritmo di aumento di quello dell’indicatore per eccellenza del progresso economico cioè il PIL per abitante. Ma ancora una volta e almeno da un punto di vista strettamente economico, le cifre inducono ad escludere conclusioni pessimistiche; infatti se nelle economie avanzate la crescita demografica è ormai quasi ferma, secondo la Banca mondiale nel periodo 1990-2005 si è registrato un tasso medio annuo di incremento demografico pari allo 0,7% e per il periodo 2005-2015, si può prevedere un tasso dello 0,4%, nel resto del mondo il tasso medio annuo nel periodo 2005-2015 è stato un ormai ragionevolissimo 1,5% medio annuo, destinato a scendere all’1,2% nel 2005-2015. Si tratta di una decelerazione secca, per cui l’esplosiva demografia dei Paesi in via di sviluppo, che ha dominato per decenni la scena mondiale, da quando l’importazione dall’Occidente dei moderni farmaci ha fatto crollare di colpo i tassi di mortalità, mentre la natalità, è rimasta ancora a lungo ,come era logico che fosse,agli alti livelli generati da tradizioni ancestrali, si sta attualmente orientando verso lo stesso sentiero che è stato a suo tempo percorso dai Paesi oggi avanzati, dove il progresso economico e culturale, sopratutto quando ha coinvolto in misura sempre maggiore la popolazione femminile, ha determinato la drastica caduta della natalità, e quindi la chiusura della “fase di esplosione demografica”originata anche nel caso dei Paesi avanzati, dalla progressiva caduta della mortalità, che caratterizzò l’era della rivoluzione industriale, ed alla quale fece seguito solo a molta distanza di tempo quella della natalità. Si può osservare a questo proposito che sia nei Paesi oggi avanzati sia in quelli di sviluppo la fase di esplosione demografica è stata accompagnata da una forte espansione economica. Circa diecimila anni fa il passaggio da un’economia di caccia e raccolta di frutti selvatici ad un’economia di coltivazione agricola e di allevamento di animali addomesticati, rese possibile la crescita della popolazione mondiale dai dieci o venti milioni di individui(quanti al massimo la terra ne poteva allora sfamare a quei primitivi livelli di ricerca del cibo), fino a poco più di duecento milioni al momento della nascita di Cristo, divenuti un po’ meno di trecento milioni, in condizioni tecnologicamente non molto diverse, mille anni dopo. Nell’anno mille il cibo era ancora prodotto da agricoltori e da pastori ben poco progrediti e poverissimi, tanto che il progresso della popolazione era sempre sull’orlo della fame, e solo un sottile strato della popolazione era sempre sull’orlo della fame, e solo un sottile strato di appartenenti alle classi dominanti poteva vivere in condizioni appena accettabili. Solo otto secoli dopo all’inizio dell’Ottocento l’umanità superò il miliardo di persone. Naturalmente l’interazione tra fenomeni demografici e fenomeni economici divenne assai complessa; nell’Occidente industriale la fase di sviluppo economico storicamente più rapida si è avuta nella seconda metà del Novecento quando l’esplosione demografica si era ormai conclusa; e nel Terzo Mondo la crescita della popolazione negli ultimi decenni è stata così impetuosa e dirompente da sollevare rilevanti problemi e minacciose prospettive; ma ,a quanto pare, se nel 1950, con due miliardi e mezzo di abitanti sulla terra, la previsione di sei miliardi di uomini nell’anno 2000 sembrava un pauroso presagio, oggi ai sei miliardi e più siamo arrivati, e viviamo mediamente a lungo, siamo più istruiti abbiamo più cibo e viviamo in genere in condizioni migliori rispetto ai due miliardi e mezzo di cinquant’anni fa. Sebbene problemi gravissimi caratterizzano tuttora il quadro globale dei Paesi in va di sviluppo possiamo sicuramente tuttora dei Paesi in via di sviluppo , possiamo sicuramente affermare che oggi il fenomeno storicamente più rilevante è il loro gigantesco decollo economico; e già si avvertono i primi segnali di un boom dei consumi di massa, analogo a quello che caratterizzò negli anni Cinquanta e Sessanta, i paesi oggi più avanzati. Vale la pena di osservare a questo proposito che le cifre tanto spesso citate, secondo le quali la popolazione dei Paesi avanzati, cioè il 20% della popolazione mondiale (in realtà, se escludiamo i Paesi dell’ex impero sovietico, i Paesi avanzati in senso stretto, compresi alcuni Paesi asiatici di recente industrializzazione, costituiscono oggi, con poco più di un miliardo di abitanti, tra il 15% ed il 16% a seconda delle fonti, come vedremo subito del totale mondiale e non il 20%) disporrebbe annualmente di un flusso di reddito pari all’80% del totale mondiale, sono cifre non attendibili, come ben sa chi si tenga professionalmente al corrente dei progressi della ricerca economica; esse infatti, pur essendo state diffuse a suo tempo dalle istituzioni internazionali(Nazioni Unite, Fondo monetario, Banca Mondiale) si basavano fondamentalmente a tacer d’altro, sulla conversione in dollari dei valori di contabilità nazionale dei diversi Paesi, mediante l’impiego dei tassi di cambio di mercato. Sono definiti Paesi avanzati nel World Economici Outlook del Fondo Monetario Internazionale 33 Paesi; cioè dell’area dell’euro, e poi Stati Uniti e Canada, Giappone,Israele e le quattro cosiddette “tigri asiatici” Hong Kong,Taiwan,Repubblica di Corea e Singapore, in Europa ancora Danimarca, Islanda, Norvegia, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Repubblica ceca, in fine Australia e Nuova Zelanda; questi paesi comprendevano nel 2008 il 15,1% della popolazione, e avevano prodotto il 55.1% del totale mondiale e non 80% del PIL mondiale; al resto del mondo toccava perciò il 44.9%. Secondo la classificazione della Banca Mondiale, i Paesi ad alto reddito sono una categoria paragonabile a quella dei Paesi avanzati del Fondo Monetario ma non identico; sono infatti 65 Paesi fra i quali si annoverano anche alcuni stati dell’Europa orientale , gli Emirati Arabi Uniti, il Quatar, le Isole Vergini etc etc etc sul totale della popolazione mondiale siamo al 56.8% un po’ più del dato FMI. Il resto del mondo rimane al 43.2%. Anche in questo caso siamo lontani dalla proporzione dell’80% ma non v’è dubbio che, anche in base alle cifre appena esaminate nel mondo si registri una drammatica spaccatura tra ricchi e poveri, tra nord e sud. 3.2 L’indebolimento delle famiglie Nell’autunno 2008, l’economia mondiale è entrata nella più profonda recessione dai tempi della seconda guerra mondiale, una crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti nell’estate del 2007 propagata successivamente in Europa e,quindi, nel resto del mondo che ha rapidamente colpito i principali paesi avanzati e le economie emergenti, uno dei canali di trasmissione è rappresentato dagli scambi commerciali; dal momento che i consumatori e le imprese statunitensi riducevano la propria spesa, le importazioni statunitensi e il commercio globale subivano il crollo finanziario. La crisi del 2007-2010 ha colpito le famiglie attraverso il mercato dei mutui “subprime”,mutui concessi con una probabilità relativamente alta di non solvibilità. La forte riduzione del mercato immobiliare statunitense non ha reso possibile per molti proprietari di onorare gli impegni finanziari, il rischio è ricaduto non solo sull’economia ma anche sul collasso delle banche in quanto le famiglie abbandonarono la loro casa quando il prezzo della stessa scendeva al di sotto del valore del mutuo così da non incentivarle a pagare le rate . Il numero dei pignoramenti crebbe, generando un’ulteriore caduta dei valori immobiliari. Il circuito della cartolarizzazione dei mutui subprime s’inceppa, causando il fallimento delle società operanti nel comparto dei prestiti ipotecari ad alto rischio. Se i prezzi delle case fossero stati inclusi nell’indice dei prezzi al consumo(sul quale si calcola l’inflazione)ciò avrebbe fatto aumentare l’inflazione, la Fed,davanti alla crescente inflazione, forse avrebbe alzato i tassi di interesse, la bolla immobiliare non sarebbe cresciuta così tanto. Un investitore, a volte un’altra banca, comprava uno di questi titoli che conteneva migliaia di mutui e si chiama mortgage-bached security ovvero titolo garantito da muti” se non regolamentate, le banche non abbastanza attente nel moneto in cui i prezzi delle case iniziarono a calare le famiglie andavano in rosso con i pagamenti del mutuo ed il sistema entrava in tilt. Effetto successivo il default di molte famiglie statunitensi per lo più appartenenti alla classe lavoratrice immigrata e determinando una serie di fallimenti degli istituti specializzati nell’elargizione di questa tipologia di mutui. Il crollo dei prezzi immobiliari ha colpito le banche ed è stato amplificato dalla loro reazione che ha consistito nel cercare di limitare l’impatto dei mutui nei bilanci. Per iniziare a capire come gli effetti del crollo dei prezzi delle case sia stato amplificato al punto di indurre una profonda recessione abbiamo bisogno di introdurre il concetto di “leva finanziaria” ; considerando i bilanci di due banche entrambe dispongono di un patrimonio del valore esempio di 100 euro tali attività potrebbero essere ad esempio i mutui ipotecari su immobili che hanno acceso. Le due banche differiscono nel modo in cui le loro attività sono finanziate: Banca 1 finanzia i mutui con 20 euro di capitale proprio(la partecipazione iniziale degli azionisti) e con 80 euro di depositi, per esempio in conto corrente pari a 80 euro. La Banca 2, al contrario ha solo 5 euro di capitale proprio e ha a prestito 95 euro. La leva finanziaria è il rapporto tra le attività e il capitale azionario. La Banca 1 ha 100 euro di attività e 20 di capitale il rapporto di leva è 100/20 la Banca 2 100/5. Cosa succede se il valore delle attività scende da 100 a 80, ad esempio perché i prezzi delle case scendono del 20%. Quando il prezzo delle case diminuisce alcuni mutuatari possono chiedere di non ripagare le rate del mutuo e il valore dei mutui (che sono garantiti dal valore delle case per il cui finanziamento sono stati emessi)scende del 20%. La Banca 1resta solvente poiché l capitale è appena sufficiente per assorbire la perdita di 20 euro, la Banca 2 è invece in bancarotta , per questo un elevato rapporto di leva è rischioso: nel caso di una diminuzione del valore delle proprie attività la banca potrebbe diventare insolvente. 3.3 La domanda di investimento e le banche Un importante trasmissione della crisi all’economia reale sono stati i bilanci delle banche, quando il loro capitale è sceso le banche hanno iniziato a tagliare il credito, ossia smettere di fare prestito alle imprese e questo ha fatto scendere l’investimento. Le banche vogliono e spesso hanno la necessità di mantenere un livello sufficiente di capitale;il livello minimo può essere determinato da leggi o regolamentazioni o semplicemente dal desiderio da parte della banca di non aumentare troppo il rapporto di leva. Ora assumiamo che il capitale di una banca diminuisca, ad esempio perché alcuni clienti non riescono a ripagare i loro prestiti. Il capitale della banca assorbe la perdita e riduce il portafoglio prestiti di un importo equivalente alla perdita. Una riduzione del capitale fa aumentare la leva finanziaria. Per far pronte alla caduta del capitale, al fine di ripristinare il rapporto iniziale di leva, la banca ha due possibilità: diminuire le attività, o aumentare il capitale. Per aumentare il capitale , la banca può cercare nuovi investitori, disposti a portarle nuovo capitale. Oppure accontentarsi di un capitale basso, e ridurre le attività, riducendo il volume dei prestiti. Entrambe le strategie hanno l’effetto di ridurre la leva della banca che era aumentata a causa delle perdite sul portafoglio prestiti. Dato che trovare nuovi investitori non è facile la prima reazione di una banca di fronte ad una perdita di capitale è di ridurre le attività, riducendo il volume dei prestiti oppure non concederli; quando il capitale delle banche diminuisce il credito si riduce. Ogni evento che colpisce il valore dei beni che fanno parte del bilancio di una banca influisce anche sul livello di equilibrio della produzione. Quanto più alta è la leva finanziaria tanto maggiore è l’effetto sulla produzione di un dato calo di valore delle attività. Il motivo è che più alta è la leva tanto maggiore è l’effetto sul capitale per una data perdita di valore delle attività. Questo è esattamente il motivo per cui la crisi finanziaria ha colpito l’economia reale in modo forte:uno shock relativamente piccolo del valore degli attivi bancari (le perdite sui mutui subprime)amplificato dall’elevata leva finanziaria, ha prodotto ingenti perdite nel capitale delle banche. Questo ha fatto aumentare lo spread causando una corrispondente diminuzione degli investimenti. L’aumento dello spead durante la crisi in Europa e negli Stati Uniti e il crollo dell’investimento in quattro paesi. 3.4 Il contagio internazionale La crisi iniziata negli Stati Uniti si è rapidamente estesa a tutte le principali economie avanzate ed economie emergenti del mondo. Il canale principale di trasmissione è stato il commercio internazionale. Infatti, l’apertura dei mercati dei beni ha un’importante implicazione macroeconomica: i consumatori e le imprese di un paese spendono parte del loro reddito disponibile in beni e servizi. Quando il reddito disponibile cade, anche il consumo e questo riduce sia la domanda di beni nazionali sia la domanda di beni esteri, cioè l’importazione. Durante la Crisi finanziaria quando i consumatori e le imprese hanno smesso di spendere le importazioni degli Stati Uniti sono crollate dal luglio 2008 fino al febbraio 2009 le importazioni USA di merci sono diminuite del 46% , poiché gli Stati Uniti sono il più grande importatore di merci nel mondo ( pari al 13% delle importazioni totali del mondo), un tale crollo ha rappresentato una forte diminuzione delle esportazioni per i paesi che esportavano verso gli Stati Uniti . Più in generale, la concentrazione in volume degli scambi internazionali(considerando sia le importazioni sia le esportazioni) ha raggiunto il 12% nel corso del 2009. Il contagio è stato maggiore nei paesi relativamente più dipendenti dal commercio con l’estero , per esempio la Germania. Quelli con economie più aperte e con maggiori legami commerciali con gli Stati Uniti, Canada e Messico, soprattutto, ma anche l’Unione Europea e la Cina, hanno sofferto di più (la maggior parte delle importazioni statunitensi infatti proviene dall’UE 17%, Cina 16%,Canada 15% e Messico 10%. Gli effetti di contagio internazionale sono stati amplificati nei paesi come Regno Unito e Irlanda, dove le banche nazionali hanno sofferto di problemi simili al fallimento di Lehman Brothers il 15 settembre 2008) del mercato interbancari, che è il mercato dove le banche prendono a prestito a breve termine fondi da altre banche che hanno eccesso di liquidità ha colpito le banche in tutti i paesi ed è stato un altro importante canale di contagio. 3.5 La risposta di politica economica La politica monetaria e fiscale sono state utilizzate per rispondere alla crisi. Le banche centrali hanno usato la politica monetaria per tagliare i tassi di interesse a zero, mentre i governi hanno utilizzato la politica fiscale per compensare la riduzione del consumo privato, cercando di sostituire la caduta del consumo e degli investimenti privati, con una maggiore spesa pubblica. Parte dell’aumento del deficit di bilancio è stato automatico, a causa dell’effetto degli stabilizzatori automatici( come ad esempio indennità di disoccupazione più elevate), parte è stato associato ad azioni specifiche da parte dei governi, come l’aumento degli investimenti pubblici e la riduzione delle aliquote fiscali. La politica economica ha funzionato, vale a dire l’intervento da parte dei governi e banche centrali è stato efficace a limitare gli effetti della crisi finanziaria sulla produzione e sull’occupazione? Prima di rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di guardare più da vicino la politica monetaria , dal momento che le banche centrali non hanno solo ridotto i tassi di interesse a zero. Per capirlo osserviamo la trappola della liquidità nel modello IS-LM, E’ quanto illustrato nella figura 7.11. La crisi finanziaria riducendo il capitale delle banche, e attraverso questo canale anche la domanda di investimento, come si può vedere dalla figura 7.6 , ha spostato la IS a sinistra, a IS’. Prima della crisi l’economia era in piena occupazione in E; durante la crisi l’equilibrio si è spostato in E’. La politica fiscale ha parzialmente compensato lo spostamento della IS, riportandola a IS’’; l’effetto non è grande, almeno nel breve periodo, perché, ad esempio, gli investimenti pubblici in infrastrutture, una delle maggiori voci del pacchetto di bilancio in risposta alla crisi, richiedono tempo per essere messi in atto. La politica monetaria sposta LM, ma quando si raggiunge LM’, il tasso di interesse è pari a zero e( la politica monetaria tradizionale) non funziona più perché il tasso di interesse nominale non può scendere al disotto dello zero, quindi l’economia è ferma a Y’’ e tutto ciò che la politica monetaria può fare è attendere che gli effetti della politica fiscale spostino ulteriormente la IS verso destra. C’è qualcos’altro che la banca centrale può fare? Ricordate perché la IS si sposta in primo luogo. Perché la caduta del capitale delle banche le ha spinte a vendere parte delle loro attività, in particolare i prestiti. Questo ha fatto aumentare il costo dei prestiti per le imprese, e il risultato è stato un minori livello di investimento. Se la banca centrale intervenisse per comprare alcune attività di cui le banche vorrebbero sbarazzarsi (tra cui alcune dei loro prestiti), il costo del denaro potrebbe non cambiare. Per esempio: supponiamo che una banca, dopo la riduzione del suo capitale, intende ridurre i suoi prestiti al settore edile, e lo facesse rifiutandosi di concedere nuovi prestiti ai costruttori. Se la banca centrale fosse disposta a comprare una parte del portafoglio della banca costituito da prestiti per il settore edile (pagandoli in contanti), la banca potrebbe continuare a dare credito a questo settore. In altre parole, offrendosi di acquistare beni dalle banche commerciali, la banca centrale può annullare l’aumento originale dello spread x, ed evitare una contrazione dei prestiti. In termini della Figura 7.11, la LM si sposta a destra (perché la banca centrale stampa moneta per acquistare attività dalle banche), ma questo sposta anche la IS verso destra. Il tasso di interesse rimane a zero, ma l’output si sposta ancora verso Y*. Questo è chiamato quantitative easing. La Banca d’Inghilterra, per esempio, nel marzo del 2009 ha iniziato ad acquistare le attività del settore privato in particolare i prestiti che le banche avevano fatto alle imprese, o le obbligazioni che erano state emesse da imprese e acquistate da banche o altri investitori. La Banca d’Inghilterra ha dichiarato che lo scopo di questo acquisto è stato”di alleviare le condizioni del mercato del credito alle imprese e, in ultima analisi, favorire un aumento della domanda nominale”. A settembre del 2009 queste attività rappresentavano quasi tutte le attività detenute dalla Banca d’Inghilterra (Figura 7.12). Poiché il valore delle attività di una banca centrale è pari al valore delle sue passività (cioè la moneta), le attività acquistate dalle banche erano pari a quasi tutta l’offerta di moneta del Regno Unito. Nel momento in cui scriviamo sappiamo che gli interventi di politica economica hanno funzionato. Hanno evitato una depressione. La figura 7.13 mostra l’andamento della produzione industriale e delle vendite al dettaglio a partire dall’inizio della crisi. Anche se non si può attribuire solo alla politica monetaria e fiscale la svolta osservata nell’estate del 2009, gli effetti shock finanziario sembrano essere stati gravi, ma limitati nel tempo. Ciò è particolarmente evidente se si confronta la crisi del 2007-2010, con quello che è successo nel 1930. La figura 7.14 confronta l’andamento della produzione industriale nella crisi del 2007-2010, con quello che è successo dopo il 1292. Due conseguenze persisteranno nell’economia una volta terminata la recessione: le politiche monetarie espansive si tradurranno in un livello di inflazione più alto mentre le politiche fiscali espansive provocheranno un aumento del debito pubblico tra economie avanzate.
Posted on: Sun, 24 Nov 2013 13:55:13 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015