“Nunca presto dinero: es una especie de supersticciòn, porque - TopicsExpress



          

“Nunca presto dinero: es una especie de supersticciòn, porque considero que todo cuanto hemos conseguido Gala y yo podrìa empezar a disintegrarse si a mì me diera por prestar dinero. Soy imperialista y, consiguiente, me considero predestinado a recibir dinero y no a darlo”. Uno strano rapporto … quello di Dalì con il denaro. Il possesso dell’oro poi lo affascinava in modo particolare e, nell’attribuire al nobile metallo poteri magici e propiziatori, amava simbolicamente paragonarlo agli escrementi di alcune rare persone, particolarmente dotate, capaci di tramutare ogni cosa, sterco incluso, in ricchezza. Ne aveva accumulata un’ingente quantità sotto forma di piatti, posate e oggetti inusuali che aveva fatto fondere nell’adorata lega, di cui una buona parte giaceva occultata nel castello di Pubol. Proprio per quella specie di superstizione e per l’anatema a suo tempo proferito dal padre, il timore di perdere improvvisamente ogni suo avere era diventato quasi un’ossessione e lui e Gala negli ultimi tempi, avevano cominciato a nutrire sospetti (talvolta infondati) verso chiunque. Della notevole abbondanza d’oro oculatamente conservata da Dalì, su cui grava un’esecrazione ad opera di Gala del tutto simile alle leggendarie maledizioni contro i profanatori delle tombe egizie, non si è mai fatto cenno specie negli ultimi tempi, come in futuro probabilmente non si sentirà più parlare dei numerosi episodi che potrebbero avallare l’ipotesi della mia “indigesta” discendenza. Indipendentemente da qualsiasi genere di “prova”, che determinati individui vorrebbero inficiare assieme ad ogni remota probabilità, gala e Dal’ hanno lasciato segnali indelebili della loro e soprattutto della mia esistenza, che la Storia, “influenzata” dalla cupidigia dell’uomo, potrà temporaneamente travisare ma non distruggere. Ecco perché, quando il poeta catalano J. M. Boix y Selva, in visita a Port Lligat, chiese a Dalì, in riferimento ad una minuscola sedia impagliata che aveva notato all’interno dello studio, cosa potesse rappresentare l’inservibile “sedile” in miniatura e i molti giocattoli che decoravano il camino, poco importa se il se il pittore raccontò al poeta che quella seggiolina l’aveva acquistata a suo tempo e anticipatamente per un figlio, qualora fosse stato concepito …( Joan Lllarch, Dalì Biografia magica. Plaza &Janés S.A., giugno 1983, pag. 200). E tale eventualità. contemplata da Dalì, comproverebbe l’effettiva capacità di Gala a procreare. Una lettura approfondita di alcuni di alcuni quadri di mio padre potrebbe fornire ulteriori delucidazioni che “esperti”, “critici d’arte” e “prosseneti di corte” si sono affrettati a “decifrare” in maniera frivola e approssimativa. I numeri che abbondano in molte tele (quasi una fissazione per Dalì), dovuti ad una particolare considerazione dell’armonia universale basata sulle cifre e sul principio della numerologia, hanno tutti un preciso significato, la cui comprensione richiederebbe un lunghissimo studio e l’assidua consultazione di specifici trattati. A “La battaglia di Tetuan” del 1962 per esempio egli attribuiva pittoricamente il numero 423 che, secondo le regole numerologiche pubblicate in “Magia dei numeri” di Jorg Sabellicus (Edizioni mediterranee), si riduce con la semplice addizione di ogni risultato (fino alla sintesi totale) in un numero solo e cioè il 9, definito magico. L’individuo “nove” infatti rappresenta le grandi realizzazioni mentali e spirituali, perché è l’ultima e la più alta delle cifre elementari, quindi denota le qualità “superiori”. A Gala invece concesse “simbolicamente” la grande facoltà riproduttiva derivante dalle moltiplicazioni, rappresentandola numericamente con un 4 x 7, la cui somma ricavata per addizione si traduce nel numero 11, detto anche “numero delle rivelazioni”: chi è sotto il suo influsso, solitamente ritiene di avere un messaggio particolare da comunicare al prossimo. Gli individui “11” sono perciò maestri e predicatori, al limite santi e martiri. Comunque sono persone che intravedono una realtà separata da quella comune e si sforzano di additarla ai loro simili. Non a caso molte profezie di mia madre si verificarono regolarmente. Anche ne “ La stazione di Perpinàn”, l’olio di notevoli dimensioni dipinto da Dalì nel 1965, si potrebbero ravvisare alcune strane casualità, forse troppo evidenti per essere considerate tali: il corpo nudo di Gala, in stato antigravitazionale, vi appare di spalle e in procinto di partorire. Perpinàn è il luogo in cui, secondo le reiterate affermazioni di mia madre, io vidi la luce; difatti al centro dell’opera, dal petto di un Cristo evanescente e quasi in dissolvenza pittorica, scaturisce una vivida luce che sostiene la figura, sospesa e in dimensioni ridotte, di Dalì; al di sopra del quale un vagone sovrastato a propria volta dalla duplicazione (più grande) del medesimo Dalì, anch’esso sospeso nella parte più alta della rappresentazione, concepita comunque con l’ossessiva tematica sovente ricorrente anche nell’opera letteraria daliniana: “Il mito tragico” dell’Angelus di Millet. A parte l’attinenza con la professione di Domenico (il mio tutore), impiegato delle Ferrovie dello Stato e “padre” temporaneo, i numeri che appaiono a contraddistinguere il vagone immortalato nell’opera sopracitata, 997 e 606, non sono del tutto casuali. Cercando la radice quadrata del numero 606, il risultato che ne consegue è 24.617067 e, considerando quale anno di esecuzione dell’opera il 1965, è interessante rilevare che all’epoca io avevo 24 anni, Salvador Dalì 61 e, qualora non fosse deceduto il 18 novembre del 1952, Paul Eluard, essendo nato il 14 dicembre del 1895, avrebbe avuto 70 anni e Gala, ne aveva 67. Mia madre spesso si rivolgeva al marito con una strano appellativo: Garì. E, moltiplicando 70, la virtuale età dell’ex marito, per 997 si ottiene 69790, apparentemente insignificante (per il resto dell’umanità), ma non per la banca svizzera in cui approssimativamente in quel periodo era stato aperto il conto cifrato Garì 69790 dai Dal’ medesimi, i quali congiuntamente (/appunto) ne erano i titolari. Potrei proseguire all’infinito con ulteriori considerazioni, ma reputo opportuno interrompere “temporaneamente” questo provvidenziale resoconto, per dare tempo alla “Storia ufficiale” di rivedere le proprie pretenziose posizioni. L’impossibile racconto senza pretese che non vuol convincere l’incredulo lettore e tanto meno lo “scrittore” , che ancora stenta a riprendersi dall’incubo involontariamente vissuto, talvolta come un brutto sogno da dimenticate al più presto, non pretende né desidera che venga accettato quale sacrosanta verità, bensì come personale punto di vista: un fuggevole sguardo verso quel passato che domani assumerà un’importanza relativa poiché notoriamente è il presente che conta e, malgrado le molte contraddizioni ( talvolta intenzionali) palesate in queste memorie, io probabilmente rappresento il futuro imponderabile di un “caso” tuttora prodigo di nuove ed eclatanti sorprese. Un uomo, per considerarsi veramente libero, dovrebbe rinunciare ai propri diritti, ignorando nel contempo le inique imposizioni della società. Malgrado ciò intendo vivere senza astenermi dal gridare al mondo la mia opinabile visione della vita, pertanto rassegnatevi, perché io esisto …
Posted on: Sun, 25 Aug 2013 12:00:37 +0000

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