Occorre una sollevazione popolare ...trattao da Antonio Ingroia - TopicsExpress



          

Occorre una sollevazione popolare ...trattao da Antonio Ingroia Antimafia 2000 Un grande magistrato, Pubblico Ministero e giudice istruttore, impertinente, a un certo punto decise di fare politica. Quel magistrato si chiamava Cesare Terranova il quale da Pubblico Ministero prima e da giudice istruttore poi, mise in piedi delle straordinarie inchieste che misero alla sbarra per la prima volta la mafia corleonese del tempo, di Luciano Liggio e dei suoi sodali, ma ebbe due insuccessi gravi, al processo dei centodiciassette di Catanzaro, del dicembre del ’68 e al processo di Bari del ‘69 dove vennero tutti assolti. Cosa accadde? Che queste sentenze di assoluzione erano una indicazione a Cesare Terranova che doveva trovare come cambiare il modo di fare inchiesta? O Cesare Terranova capì che quella magistratura giudicante del tempo non era all’altezza di valutare le prove, o non c’era la cultura giuridico istituzionale per fare quel tipo di processi in cui i mafiosi erano impuniti. Allora erano i mafiosi con la coppola ad essere impuniti. Cesare Terranova capì che dall’interno del palazzo di giustizia di Palermo non ci riusciva, si candidò in politica. Si candidò da indipendente nelle file del P.C.I. (ho detto che l’Italia di oggi assomiglia a quella di allora, mi sbaglio: l’Italia di oggi è peggiore dell’Italia di allora, perché nell’Italia di allora Cesare Terranova si candidò in una lista comunista che più rossa non si può) e nessuno si permise di mettere mai in dubbio il suo lavoro e la sua professione di magistrato quando era Pubblico Ministero e giudice istruttore a Palermo. Cesare Terranova dimostrò che poteva essere più utile in quel momento da politico anziché da magistrato partecipando ai lavori della relazione della Commissione parlamentare che fu relazione di minoranza: denunciò Gioia, Lima, Ciancimino, quando la D.C. li difendeva, e quella relazione di minoranza fece storia. Fece storia, cambiò il modo di pensare degli italiani e cominciò anche a cambiare il modo di pensare dei magistrati e della magistratura giudicante. Fu un primo passo. Cesare Terranova capì che poteva tornare a fare il magistrato e nessuno, quando lui chiese di tornare a fare il Giudice a Palermo, pensò di spedirlo né ad Aosta né disse che non poteva avere l’imparzialità per fare il magistrato a Palermo, né la Democrazia Cristiana e neppure il Movimento Sociale che erano i partiti dall’altra sponda rispetto al Partito Comunista. E neppure Emanuele Macaluso, ma era un’altra Italia. La mafia aveva le idee chiare e non consentì a Cesare Terranova di riprendere il suo posto, perché venne ucciso prima che assumesse le funzioni di consigliere istruttore a capo dell’ufficio istruzione di Palermo. Ma il seme proseguì e poi Falcone, Borsellino, Costa ancora prima di lui, ancora accerchiati da una magistratura nella quale continuavano a fioccare le assoluzioni per insufficienza di prove. Ecco che il 416 bis (come dovrebbe ricordare, ma ogni tanto dimentica, Giovanni Fiandaca di avere scritto qualche anno fa) è stata soprattutto una norma di orientamento politico culturale, una norma che ha cambiato la mentalità dei giudici, una norma che non ha ampliato l’ambito di applicatività del reato associativo, ma ha dato una spinta ai giudici. Ed ecco che improvvisamente, folgorati sulla via di Damasco, sono cominciate a fioccare le sentenze di condanna, di fatto è cambiata radicalmente la giurisprudenza. Ma su cosa è cambiata la giurisprudenza? Un passo alla volta, è cambiata nei confronti dei mafiosi con la coppola. Ai tempi di Terranova venivano assolti i mafiosi con la coppola, ai tempi di Falcone e Borsellino questi si sono cominciati a condannare, ma appena Falcone e Borsellino hanno provato a saltare, a salire il gradino più alto dei rapporti mafia - politica, mafia - affari (da Ciancimino ai cugini Salvo, ai Cavaliere del Lavoro di Catania), arrivarono i guai per Falcone e Borsellino. E lì avviene la distruzione del pool antimafia, complice la magistratura, un’altra magistratura giudicante, quella della Cassazione di Carnevale (per altro assolto), quindi non è frutto necessariamente di collusione; se fosse frutto di collusione meglio sarebbe. È frutto invece di omologazione, di un’omologazione politico culturale istituzionale di cui è stata vittima tutta la classe dirigente, quella di cui parlava il collega Gozzo nella sua lettera quando dice del Ministro per il quale bisogna convivere con la mafia. Prima bisognava convivere con la mafia, poi bisognava convivere con la borghesia mafiosa, ma guai portare alla sbarra la borghesia mafiosa. Ma anche questo scalino, alla fine, con il prezzo e con il sacrificio del sangue di Falcone e Borsellino lo abbiamo salito, siamo riusciti a salire su quel gradino, il gradino delle relazioni esterne. E’ quello che si è riusciti a fare con il processo Andreotti, con il processo Dell’Utri, con il processo Contrada. Si è riusciti a fare quello che a Falcone e Borsellino non è stato consentito fare, salire il gradino del rapporto mafia - politica, mafia - economia. Ora siamo davanti ad un altro gradino ed è quello più alto, non so se è l’ultimo gradino, ma a oggi è l’ultimo che vediamo. Non è più il rapporto mafia - politica, mafia - economia, non è più il rapporto di collusione con la mafia di singoli politici o di gruppi di politici, ma è la collusione fra lo Stato e la mafia, questo è il tema del processo cosiddetto “trattativa o riscatto allo Stato”, cioè il procedimento penale che per la prima volta nella storia del nostro Paese vede alla sbarra nello stesso processo i capi mafia, i capi degli apparati investigativi dei servizi segreti, ex Ministri e parlamentari. E questo lo Stato italiano oggi non lo regge, oggi lo Stato italiano non regge questo tipo di processo. Non lo vuole. E non vuole che siano processati uomini di Stato (lo dice, addirittura, Giovanni Fiandaca in quell’articolo e lo legittima), non bisogna fare processi di questo genere. Noi siamo davanti a questo scalino ed è uno scalino dietro il quale non c’è soltanto il processo allo Stato, c’è anche sangue, ci sono le stragi, c’è il sangue in particolare di Paolo Borsellino e della scorta, che è morta con lui, perché è morta su quello stesso gradino nel momento in cui Borsellino (un po’ per testardaggine, ma un po’ per quello che si è saputo fino a oggi, perfino quasi per caso) ha saputo la verità sulla trattativa. Lo Stato non vuole che i cittadini italiani sappiano questa verità, il tema è questo, la persecuzione politico giudiziaria nei confronti dei magistrati che vogliono continuare ostinatamente a fare questo processo è tutta lì. Per salire questo scalino bisogna fare come fece Cesare Terranova, capire che contro un muro di gomma così non basta sostenere la magistratura e l’impegno dei magistrati (che con la schiena diritta, con l’impegno e a testa bassa vanno avanti), perché quel muro è più potente, è più potente dei pochi magistrati che si impegnano e di quei pochi magistrati andranno a sbattere contro quel muro. Ci dobbiamo rassegnare? Io dico di no, io dico però che assieme ai magistrati che devono continuare ad insistere da questa parte del muro di gomma per cercare di aprire degli altri varchi bisogna girare dall’altra parte del muro. Soltanto con un impegno serio si possono aiutare i magistrati a buttare giù quel muro, ma per andare dall’altra parte del muro non occorre qualche Don Chisciotte che si improvvisa manovratore senza sapere come si entra nella stanza dei bottoni, occorre un movimento di massa che si impegni su alcune battaglie che si possono fare. Credo che vadano fatte alcune proposte, credo che una di queste debba cogliere l’occasione di questa legge istituiva della Commissione parlamentare antimafia. Credo che non ci sia solo la responsabilità penale, ci deve essere anche la responsabilità politica, ma questo Parlamento è un Parlamento eletto in virtù di una legge elettorale incostituzionale, è un Parlamento che non ha la legittimità e la legittimazione per accertare la verità sulle stragi e sulla trattativa. Bisogna chiedere al Parlamento che faccia un atto di volontà, che modifichi la legge parlamentare e che per la prima volta (del resto ogni Commissione parlamentare si istituisce in virtù di una legge), introduca un’innovazione nella composizione della Commissione parlamentare: si preveda che non come consulenti, ma come membri di diritti ne facciano parte i rappresentanti delle associazioni dei familiari delle vittime e delle associazioni che si sono impegnate per la verità sulla stagione delle stragi a cominciare ovviamente, visto il suo impegno, dall’associazione delle Agende Rosse, ma non solo, che facciano parte della Commissione di inchiesta. Che sia una Commissione di inchiesta mista di parlamentari e di rappresentanti della società civile con gli stessi poteri di ogni Commissione parlamentare di inchiesta. Il Parlamento può fare una modifica alla legge appena approvata perché si accerti la verità (al punto da aver raggiunto quasi l’unanimità nell’inserire questo emendamento nell’istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta che si occupi anche delle stragi e della trattativa), immagino che non avranno difficoltà a fare una modifica del genere, visto anche la pessima prova che ha dato quella scorsa. La Commissione Pisanu aveva promesso che si sarebbe occupata delle indagini sulla trattativa e apparentemente l’ha fatto, con una sfilata di audizioni. Ma poi la montagna ha partorito un topolino con un risultato in cui la Commissione parlamentare di inchiesta (che avrebbe dovuto indicare la responsabilità politica dei politici responsabili della stagione delle stragi e della trattativa) li ha assolti tutti, la politica si è autoassolta. Di una Commissione parlamentare così non ci fidiamo e chiediamo che questa Commissione parlamentare sia invece integrata in modo paritario da componenti della società civile. Dimostri in questo modo il Parlamento di essere all’altezza delle aspettative e se non lo fa il Parlamento si faccia una petizione popolare con una raccolta di firme, con la quale si chiede alla Commissione parlamentare che non inizi i propri lavori se non c’è una partecipazione dei rappresentanti della società civile. Credo che questo possa essere solo un esempio del fatto che si può abbattere il muro di gomma e lo si può abbattere non delegandolo soltanto alla magistratura, soprattutto quando la magistratura è isolata, accerchiata, direi disarmata da un potere politico istituzionale ostile in modo totale e globale. Credo che in questi casi si possa riuscire a cambiare le cose soltanto con una forte (non direi più mobilitazione popolare, non basta neanche più la mobilitazione popolare) e vera e propria sollevazione popolare. Abbiamo bisogno di una sollevazione del popolo che vuole la verità, che vuole che sia abbattuta l’omertà di Stato, che ha protetto fino ad oggi i mandanti a volto coperto della strage di via d’Amelio e delle altre stragi impunite del nostro Paese, una sollevazione popolare contro la giustizia diseguale, forte con i mafiosi con la coppola e debole con i potenti. Leggeremo la motivazione della sentenza Mori, ma mi colpisce che sia stata usata la stessa formula assolutoria, il fatto non costituisce reato, già utilizzata per la mancata perquisizione del covo di Riina e se i giudici del favoreggiamento Provenzano arriveranno alla stessa conclusione (cioè che c’è un difetto di dolo), abbiamo uno dei più importanti, acuti, intelligenti e abili investigatori di razza come il Generale Mori che ha favorito la mafia, prima mancando di perquisire il covo di Riina - senza rendersene conto - e ha favorito Provenzano per la seconda volta – senza rendersene conto. Un caso paradossale di favoreggiamento della mafia “a sua insaputa”, da parte del più alto e più importante e più famoso investigatore del Paese. Io non ci credo e so che le cose non possono essere andate così. Occorre questa sollevazione popolare contro questo Stato. Questo Stato delle tante trattative, che probabilmente oggi, dietro le quinte, avvengono; non so cosa abbiano accertato o stiano accertando i colleghi sulla vicenda relativa alla cosiddetta confidenza di Totò Riina all’agente di custodia, ma quella non è una confidenza, quella non è una rivelazione: quello è un messaggio in codice per riaprire altre trattative. Ci sono altre trattative in corso oggi, noi non vogliamo più uno Stato delle trattative. Contro lo Stato delle trattative occorre appunto questa sollevazione popolare, per uno Stato che sia davvero intransigente. Per abbattere quel muro di gomma, per una politica che sia amica della giustizia e della magistratura e non ostile della verità (come è stata ed è ancora oggi), nella consapevolezza che la magistratura da sola non può cambiare il corso degli eventi, solo un movimento di massa può scardinare il sistema criminale che oggi è direttamente intrecciato con pezzi del sistema istituzionale. Lo può scardinare non la magistratura, lo può scardinare solo un movimento dal basso, credo che questo si debba fare, non solo per un dovere nei confronti dei morti, ma lo si debba fare perché senza verità non avremo democrazia, senza verità non avremo pace, e questa è una pace che dobbiamo anche a chi non c’è più.
Posted on: Mon, 22 Jul 2013 07:34:55 +0000

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