PENSIERI Il ‘diritto’ come appare nel ‘Manifesto della - TopicsExpress



          

PENSIERI Il ‘diritto’ come appare nel ‘Manifesto della libertà dei moderni’ come potrebbe chiamarsi la Dichiarazione d’Indipendenza delle Tredici colonie americane: «Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità». Life, Liberty, and the Pursuit of Happiness sono aspirazioni legittime convertite in ‘diritti dell’uomo e del cittadino’, e quindi protetti dalle Leggi della Città, ma vi sono molti altri valori che noi siamo liberi di perseguire – e tale libertà fa parte, ovviamente, dei sacrosanti ‘diritti dell’uomo e del cittadino’ – ma che non possiamo pretendere di veder tradotti in obblighi vincolanti erga omnes: in un mondo segnato dalla presenza di molti dei, è la democrazia – il risultato delle urne – a decidere quali valori, e in quale ordine gerarchico, debbano, di volta in volta, ispirare il legislatore. Il gioco democratico, in una società civile educata alla scuola di Montaigne e di Hume, però, va preso sul serio: se tutti gli individui e tutti i loro ideali, tutte le loro aspirazioni e tutti i loro bisogni stanno sullo stesso piano, hanno la stessa libertà di manifestarsi e lo stesso diritto all’ascolto, non si può barare impunemente. «E quanto alla nobiltà dei fini ultimi – metteva in guardia Max Weber – anche gli odiati avversari pretendono di averla dal canto loro e soggettivamente in perfetta buona fede.» La democrazia liberale, in poche parole, non può essere intesa come instrumentum boni, come la via maestra per realizzare i più alti e i più nobili divisamenti umani, a quel modo in cui i profeti del Risorgimento nazionale intesero la libertà. Giuseppe Mazzini, ne I Doveri dell’uomo, ammoniva «la libertà vera non consiste nel diritto di scegliere il male, ma nel diritto di scegliere fra le vie che conducono al bene. La libertà che invocano quei falsi filosofi è l’arbitrio dato al padre di scegliere il male pel figlio. Che? Se un padre minacciasse di mutilazione, di un guasto qualunque il corpo del suo fanciullo, la società interverrebbe invocata da tutti; e l’anima, la mente di quell’essere, sarà meno del corpo? La società non potrà proteggerla dalla mutilazione delle facoltà, l’ignoranza; dalla deviazione del senso morale, la superstizione?». L’agitatore genovese non poteva certo considerarsi un precursore dell’antiliberalismo totalitario (di destra e di sinistra) giacché al centro delle sue preoccupazioni era l’impegno etico-politico, vissuto e sentito come da pochi altri, a rimuovere dal suolo italico i ruderi ancora ingombranti dell’ancien régime sopravvissuto alla Presa della Bastiglia e all’avventura napoleonica: un diritto familiare patriarcale, un clero invadente e reazionario, una vita politica pressoché inesistente, una società civile asfittica e tenuta sotto tutela dalle vecchie agenzie spirituali e da dinastie che nulla avevano imparato dalle vicende rivoluzionarie. E tuttavia la costante polemica anti-individualista, l’ironia dispiegata contro il buon Sismondi che pretendeva che a tutte le forze della nazione venisse garantita una rappresentanza politica adeguata, rinviavano a una concezione, per così dire, ‘cattolica’ della libertà intesa come collaborazione responsabile e consapevole al disegno divino sul mondo, indipendentemente poi dal modo di concepire quel disegno. Così, nello scritto Italia ed Europa, dopo aver ricordato che «La vita è per noi una missione: il perfezionamento della nazione e per suo mezzo dellumanità è lintento; la scelta dei mezzi, a seconda delle vocazioni particolari, è campo di libertà allindividuo» e che «ogni uomo è oggi per noi un tempio del Dio vivente: la terra, soggiorno di prova e di lavoro per lui, è laltare sul quale si sagrifica: lincenso del sagrificio è lopera che egli compie: l’amore è la preghiera; lamore tradotto in atti, l’associazione, è la sua potenza», Mazzini colpiva alla radice lo zoccolo duro della ‘società aperta’, quella grande divisione tra ‘fatti’ e ‘valori’, tra conoscenza e fede che è il fondamento della moderna convivenza civile dopo le grandi guerre di religione. «Noi respingiamo – scriveva – quel dualismo, che fonda una opposizione immorale fra il cielo e la terra, fra Dio e lopera sua: crediamo che la terra sia scala al cielo; essa rappresenta per noi una linea nellimmenso poema delluniverso, una nota nellinfinito accordo, che celebra il pensiero divino; e larmonizzarsi delle nostre opere con quellaccordo, sarà base di giudicio per noi, cioè di maggiore o minore capacità di progresso, attraverso quella trasformazione che gli uomini chiamano morte. E dacché ciascun di noi è mallevadore, noi crediamo che ciascuno sia libero, che quanto nega o inceppa lesercizio della nostra libertà sia cosa empia e che sia debito nostro rovesciarla, cancellarla quanto più sollecitamente è possibile». E, concludendo, ribadiva la concezione strumentale della libertà: «Libertà che è mezzo, non fine, scelta dei modi di compire il dovere e raggiunger lo scopo, non diritto di abbandonar luno e rinnegar laltro». Leggendo quanto si scrive oggi in Italia nei libri accademici, nelle riviste scientifiche, negli articoli delle pagine culturali dei grandi quotidiani, si ha la netta sensazione che la political culture maggioritaria abbia esteso alla democrazia liberale la visione mazziniana e ‘cattolica’ della libertà. Se ancora durante la Prima Repubblica esponenti dell’opposizione comunista ai governi democristiani potevano, nelle tribune politiche televisive, ricordare ai loro avversari dell’estrema destra che i partigiani avevano restaurato la libertà e la democrazia anche per loro (che non le avevano certo meritate), da qualche tempo la democrazia rappresentativa, “formale”, non sembra più l’architrave del consenso istituzionale, il valore supremo che accomuna quanti siedono in Parlamento, ripartiti nei vari settori, ma è ormai – e lo si scrive talora con un candore sconcertante – il terreno su cui piantano le loro tende gli eserciti in marcia verso obiettivi sempre più esigenti ovvero verso l’attuazione piena e integrale della ‘Costituzione più bella del mondo’. La democrazia è diventata, in tal modo, il ponte che consente a quanti dimoravano nella rive droite, prigionieri del passato – con il suo carico superstizioni, di ingiusti privilegi, di pregiudizi atavici – di raggiungere la rive gauche delle ‘magnifiche sorti e progressive’. A legittimare il regime fondato sulla sovranità popolare è la sua capacità di portare a compimento il ‘Progetto 89’, com’è stato chiamato il lascito illuministico con una discutibile terminologia che ricorda tanto il moderno ‘manager’ quanto il philosophesettecentesco. Questo significa che quanti non si trasferiscono, armi e bagagli, sulla riva benedetta dal Dio del Progresso godono sì dei diritti civili e possono persino deporre la scheda nell’urna elettorale, ma sotto il profilo etico e culturale, in senso lato, non fanno parte dell’ala marciante dell’Umanità: non possono venir privati del voto – a impedirlo è l’universalismo dei diritti di cittadinanza – ma, in quanto specie in estinzione, si affida al Fattore B (Bios) il compito di liberare la terra della loro presenza – a meno che non si riesca a rieducarli, come per molti ‘buonisti’ sarebbe più opportuno ed auspicabile, sempre nella logica mazziniana e cattolica della ‘conversione al bene’. All’interno di questa filosofia, democrazia non significa registrazione (rispettosa) di quanto vogliono, desiderano, temono, gli individui uti singuli, nella loro quotidianità concreta e sofferta, ma diventa conformità a ciò che hanno deciso per il genere umano la Ragione o la Storia o la Natura o Dio. Non sono i Lumi al servizio degli uomini in carne ed ossa, ma sono gli uomini al servizio dei Lumi: sono questi a indicare le mete da raggiungere, i sacrifici che si richiedono, le ricompense che se ne ricavano. “Un uomo, un voto”, sì, ma in teoria: in pratica, bisogna vedere chi vota e cosa vota; non sono le forme, le procedure, a legittimare le decisioni ma sono i contenuti, la qualità, delle decisioni a legittimare forme e procedure sicché, se la gente vota come non dovrebbe, si parla di una democrazia “svuotata” dall’interno, di una camera d’aria rinsecchita dacché lo spirito del Progresso ne è fuoruscito. E’ in vista di questa malaugurata eventualità che un gruppo consistente di maîtres-à-penser del diritto e della filosofia politica – e non solo nel nostro paese – ha pensato bene che la democrazia ‘sostanziale’ potesse venir meglio protetta, legando mani e piedi al popolo sovrano e rimettendo, sostanzialmente, il potere sottratto al demos nelle mani di giudici illuminati e imparziali, che diventano, in tal modo, i veri eredi dei filosofi-reggitori di Platone o, se si preferisce, del pouvoir spirituel di Auguste Comte. Emblematico il caso di Luigi Ferrajoli, che nella sua vasta produzione saggistica, propugna, apertis verbis, l’impiego dell’espressione ‘democrazia sostanziale’ per segnare il punto di non ritorno rispetto alla ‘democrazia formale’ (‘vuota’, il va sans dire) e formare una sorta di cordone sanitario che impedisca all’uomo della strada di far danni con il suo voto ‘sconsiderato’. E’ particolarmente significativo quanto si legge in un o scritto su Norberto Bobbio, pubblicato su ‘Filosofia politica’ nel dicembre 2010: «Le costituzioni della seconda metà del secolo scorso [...] – quella italia¬na, quella tedesca, e poi quella spagnola, quella portoghese e da ultimo quelle di taluni paesi latino-americani, non a caso stipulate tutte dopo la caduta di regimi fascisti o dittatoriali – hanno cambiato simultaneamente, in forza della rigidità a esse conferita dalla previsione di procedure speciali di revisione e del controllo giurisdizionale di costituzionalità, le condizioni di validità delle leggi, la natura della democrazia e il ruolo della scienza giuridica. La validità delle leggi, innanzitutto, dipende non più solo dalla forma degli atti legislativi, ma anche dalla sostanza delle norme prodotte; non più dalla loro semplice con¬formità alle procedure normativamente previste, ma anche dalla loro coerenza o compatibilità con le norme costituzionali a esse sopraordinate; non più, in breve, soltanto dal chi e dal come, ma anche dal che cosa delle decisio¬ni. Ne consegue, a causa del nuovo isomorfismo tra diritto e sistema politico, una dimensione sostanziale sia della validità sia della democrazia, dato che la costituzionalizzazione dei diritti fondamentali equivale all’imposizione di limiti e vincoli di sostanza o di contenuto a qualunque maggioranza: limiti generati dai diritti di libertà che nessuna maggioranza può`validamente violare; vincoli generati dai diritti sociali che qualunque maggioranza è tenuta a soddisfare. E ne consegue altresì linsostenibilità dellavalutatività della scienza giuridica. Avendo le costituzioni incorporato e positivizzato il “dover non essere” e il “dover essere” giuridico dei contenuti delle leggi, stipulando sotto forma di diritti di libertà e di diritti sociali ciò che nessuna maggioranza può decidere e ciò che qualunque maggioranza non può non decidere, si è creato lo spazio del diritto illegittimo, inconcepibile nel vecchio Stato legislativo di diritto; sicché la scienza giuridica ha il compito non più solo di descrivere, ma anche di valutare linvalidità sostanziale delle norme pur formalmente esistenti o vigenti e di criticarne lillegittimità costituzionale onde promuoverne lannullamento davanti alle corti costituzionali.» Tenuto conto dell’amplissima estensione dei ‘diritti sociali’ – che in una recente versione della dottrina dovrebbero includere anche il ‘diritto alla dignità’ – non si vede agevolmente quali (importanti) materie rimangano ancora di competenza del popolo sovrano. Il governo del popolo non è più governo dal popolo – spesso traviato dai terribiles simplificateurs, i demagoghi totalitari del XX secolo – ma governo per il popolo messo al riparo dalla ‘tirannia della maggioranza’ grazie ai Soloni che non debbono la loro investitura e la loro autorità all’incostanza dei ludi cartacei. Sono le conseguenze fatali dell’illuminismo di tipo francese e del suo nocciolo duro valoriale in base al quale gli uomini non si associano per trovare un’intesa, un compromesso (bargaining) tra i loro interessi spesso discordanti e le loro diverse aspirazioni, un compromesso che tocca al governo, istituito a tale scopo, far rispettare, ricorrendo ove si rendesse necessario anche ai suoi apparati coercitivi; gli uomini si associano per realizzare un ‘grande progetto’ inteso a rigenerare la società e a rendere l’esistenza più giusta e confortevole per tutti gli abitanti del pianeta. Come scriveva il mite Condorcet, nel celebre Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, «verrà dunque quel momento, in cui il sole illuminerà sulla terra ormai soltanto uomini liberi, e che non riconosceranno altro padrone se non la propria ragione; in cui i tiranni e gli schiavi, i preti e i loro strumenti stupidi o ipocriti esisteranno soltanto nella storia e sui teatri; in cui ci se ne occuperà soltanto per compiangerne le vittime e gli zimbelli, per mantenersi, attraverso l’orrore dei loro eccessi, in una vigilanza utile, per saper riconoscere e soffocare, sotto il peso della ragione, i primi germi della superstizione e della tirannia, se mai osassero ricomparire». Vaste programme, è proprio il caso di dire che, però, ad onta di quanto pensava il democratico marchese, solo le menti più aperte e più elevate sono in grado di intendere e di realizzare. Di qui il carattere insieme elitistico – v. l’enorme spazio e l’indiscusso prestigio riservato ai ‘philosophes’, i nuovi sacerdoti dell’epoca della secolarizzazione – e potenzialmente rivoluzionario dell’illuminismo alla francese, che si ritrova, pari pari, nei suoi tardi epigoni odierni, ma di qui pure, in piena coerenza, l’assimilazione (attesa e scontata) della democrazia ‘reale’, quella praticata da un popolo che non è fatto di angeli, al populismo: un’assimilazione che, a ben guardare, non traduce tanto la diffidenza nei confronti delle masse che vogliono prendere tra le mani il proprio destino, sottraendosi alla mediazione politica, quanto il disprezzo e l’estraneità delle aristocrazie intellettuali alla ‘gente meccanica e di piccolo affare’ che non guarda più in là del proprio naso e non si lascia guidare dai più capaci e dai più responsabili. La plebe resta indietro sulla riva del passato, del pregiudizio, della tradizione e si rifiuta di passare il ponte, di “andare avanti”, è come un peso inerte che impedisce all’aerostato illuminista di raggiungere le altezze per le quali è stato costruito e programmato: perché non impedirle di fare del male a sé e agli altri? CASTA LIGRESTI di Gianni Barbacetto per Il Fattoquotidiano Don Salvatore è un uomo generoso. Le sue case, i suoi alberghi, i suoi soldi erano sempre a disposizione degli amici. Adesso Salvatore Ligresti, travolto dal tracollo Fonsai, rinchiuso agli arresti domiciliari nella sua bella villa nel verde di via Ippodromo, a Milano, è stupito della irriconoscenza dei tanti a cui ha fatto del bene, in cinquantanni di carriera. È tanto generoso, da arrabbiarsi con un suo manager che voleva far pagare il conto a un ospite eccellente del Tanka Village, il suo resort a quattro stelle in Sardegna. Si è incazzato tantissimo perché io gli avevo detto: no, deve pagare anche, no? Porca puttana! Ah! Ah! Non lavessi mai detto. Così davanti al mare cristallino di Villasimius arrivavano politici e ministri, prefetti e direttori di giornali, riveriti e coccolati anche a tavola: Pare che ci sia un quintale, no, una tonnellata di aragoste in conto!. Uomo pratico, don Salvatore sa che la generosità viene poi ricompensata. Lui non dimenticava gli amici e gli amici non si dimenticavano di lui. Così è stato per molti anni, fino alla caduta. Erano gli anni Ottanta, quando girava per gli uffici del Comune di Milano, ripartizione Urbanistica, con i suoi maglioncini con la cerniera lampo: sorrisi, battute, pacche sulle spalle. Aveva conquistato tutti, dallassessore allultimo impiegato. La caporipartizione, soprattutto, donna potentissima che veniva dalle sezioni del Pci: si chiamava Maria Grazia Curletti ed era preziosissima per sbloccare una pratica o ottenere una licenza. Abitava in un appartamento di via Ripamonti, costruito da Ligresti, ed era spesso ospite dellhotel-residence Planibel di La Thuile, in Val dAosta, proprietà di don Salvatore. Niente di nuovo sotto il sole: le aragoste al mare sono state precedute dai tartufi in montagna. Già nei primi anni Ottanta la generosità di Ligresti era nota a Milano. La conoscevano bene i suoi inquilini eccellenti, come lallora assessore socialista alledilizia privata, Giovanni Baccaini, che viveva in unelegante villetta di San Siro concessa a equo canone. E come il potentissimo architetto Andrea Balzani, il deus ex machina del piano regolatore milanese, che aveva lo studio in via Manin, in un palazzo di Ligresti affacciato sui giardini di via Palestro. In quegli anni lingegnere, uomo molto fortunato, vede molti dei terreni agricoli che aveva comprato nella periferia milanese diventare in un baleno preziosissime aree edificabili. Generoso e anche un po mecenate, don Salvatore, tanto da buttare soldi in imprese intellettuali di nicchia: ha finanziato per anni un giornale, Il Moderno, diretto da Lodovico Festa, che non ha mai venduto più di 500 copie. Era lorgano della corrente migliorista del Pci, guidata a Milano da Gianni Cervetti e a Roma da Giorgio Napolitano. Una sentenza sosterrà che quei soldi erano un finanziamento illecito a una corrente del Pci-Pds. Bipartisan in politica, Ligresti non dimentica le istituzioni. Ha sempre avuto molti amici, per esempio, alla prefettura di Milano. Strettissimo il rapporto con Anna Maria Cancellieri, negli anni Ottanta viceprefetto. Nel 1987 riceve addirittura un cronista del Giornale chiamato a rapporto dai Ligresti: lattuale ministro della Giustizia, mentre è capo ufficio stampa della prefettura, fa le pr per un personaggio che in quel momento è sotto inchiesta per abusi edilizi e corruzione, ma è anche oggetto di una indagine per mafia (aperta da Franco Ionta, proseguita da Piercamillo Davigo e poi archiviata). In rapporti damicizia con don Salvatore anche il prefetto Enzo Vicari e due suoi successori, Bruno Ferrante e Gian Valerio Lombardi. Vicari diventa in seguito presidente di una delle cliniche dei Ligresti, lIstituto ortopedico Galeazzi, Ferrante passa al vertice di una società controllata da Impregilo, la Fibe. Ma la rete dei rapporti dellingegnere, fitta e articolata, ha come campioni alcuni dei personaggi che hanno fatto la storia del Paese. Innanzitutto un Bettino Craxi allapice del suo potere. Quando Silvio Berlusconi, che diventerà un amico e un alleato, era ancora soltanto un palazzinaro concorrente. È nella craxiana Milano da bere che lo sconosciuto Ligresti, che nel 1978 dichiarava al fisco un reddito di appena 30 milioni di lire, diventa il re del mattone e uno degli uomini più ricchi dItalia. Mani pulite rivelerà qualche retroscena di quellamicizia: come le massicce tangenti pagate da Ligresti a Craxi e ai suoi uomini per ottenere gli appalti della metropolitana milanese e per far ottenere alla Sai lesclusiva dei contratti dassicurazione dellEni. È Ligresti ad accompagnare Craxi da Enrico Cuccia, innescando un contatto prezioso per poi avviare la privatizzazione di Mediobanca sotto la regia dello stesso Cuccia, che sarà eternamente grato a don Salvatore. Dopo la sua scomparsa, lingegnere si mette nella scia di un altro banchiere: Cesare Geronzi. Fedele e silenzioso come sempre, sa che nellultraitaliano capitalismo di relazione, i rapporti valgono più dei bilanci. Finché dura. Il finanziere Ligresti era nato in casa La Russa, quando il patriarca Antonino aveva pilotato nelle sue mani le eredità di Michelangelo Virgillito e Raffaele Ursini. Normale che poi i figli di Ignazio La Russa abbiano trovato posto negli accoglienti consigli damministrazione delle società di Ligresti. Uomo silenzioso, in 14 faldoni dinchiesta pieni di parole, dichiarazioni e intercettazioni, di don Salvatore cè una sola frase: Non intendo rispondere. Uomo generoso, ha creato luoghi che diventano icone. Uno di questi è il Tanka Village, dove erano invitati uomini di potere che sono stati utili o lo potranno essere. Un altro, a Roma, è la mitica palazzina di via Tre Madonne dove abitano o hanno abitato Renato Brunetta e Angelino Alfano, Mauro Masi e Italo Bocchino, le figlie di Geronzi e il figlio dellex presidente Consob Lamberto Cardia. Poi ci sono cose che non si vedono. Ne accenna (intercettata) la figlia Giulia, parlando dellazione del commissario ad acta mandato a presidiare le loro (ex) società: Perché se il commissario fa saltare fuori che quelli sono tutti mazzettati, Ispav, Consob, cioè erano tutti appagati da Mediobanca per fare questa operazione.... Chiacchiere al telefono, veleno sparso da chi conosce bene quei metodi e sta perdendo limpero, poco prima che il vecchio don Salvatore fosse rinchiuso nella sua villa, a meditare su quanto sono ingrati gli uomini. 2. IL PALAZZO DI VIA DELLE TRE MADONNE A ROMA PASSATO DALLA FONDIARIA SAI DI SALVATORE LIGRESTI ALLA UNIPOL DOVE RISIEDONO MOLTI INQUILINI FAMOSI - APPARTAMENTI DI 220 METRI QUADRI CON CANONI DA CASE POPOLARI di Grazia Longo per La Stampa Più che un palazzo è un castelletto: tre enormi e lussuosi blocchi neoclassici color giallo arancio con terrazze alberate e fontana con zampilli nel cortile centrale, dietro lenorme cancello elettrico. La roccaforte romana dove Ligresti ha dato alloggio al gotha politico, bancario e mediatico più in vista del Paese - e molto vicino a Berlusconi - si trova immerso nel verde della zona più vip, via delle Tre Madonne, del quartiere più vip della capitale, i Parioli. Non cè neppure bisogno di scorrere i cognomi sui 42 campanelli - la maggior parte dei quali peraltro si limita a una sigla o al nome di una città, tipo New York - per capire che da queste parti in fatto di potere non si scherza. Bastano la Digos e i carabinieri che si alternano di guardia - 24 ore al giorno - perché è qui che abita il vice premier e ministro degli Interni, Angelino Alfano. E prima ancora di entrare nel merito degli altri inquilini famosi, vale la pena ricordare che oltre alla notorietà possiedono anche la fortuna. Come definire diversamente il prezzo stracciato dellaffitto? Fino a una decina di mesi fa molto al di sotto del prezzo di mercato per appartamento di almeno 220 metri quadri. Così almeno riferiscono fonti ben informate che negano categoricamente il rispetto del canone dovuto di 6 mila euro al mese. Ed è quanto implicitamente conferma lUnipol che pur non volendo fornire indicazioni precise sul canone daffitto, sottolinea che «tutti i contratti sono in via di revisione con un nuovo canone daffitto». Ma la pacchia per qualcuno è ben lungi dal finire. Perché se è vero che da un anno il patrimonio immobiliare di via delle Tre Madonne 14, 16 e 18 è passato dalla Fondiaria Sai di Salvatore Ligresti alla Unipol, è altrettanto vero che per molti il contratto daffitto stipulato con la famiglia Ligresti non è ancora scaduto e quindi resta invariato alla vecchia e vantaggiosa cifra. Non cè da stupirsi che in virtù della doppia esclusività, estetica ed economica, in molti abbiano scelta questa come dimora principale. Lex ministro alla funzione pubblica Renato Brunetta ha da poco fatto le valigie verso altri lidi. Da pochi mesi si è trasferito anche Marco Cardia - rampollo dellex presidente della Consob, Lamberto - e avvocato di professione. Attività che tra laltro gli ha consentito di lavorare come consulente proprio per lex padrone di casa Ligresti. Esce a buttare la spazzatura, invece, lex direttore generale della Rai Mauro Masi, in tenuta sportiva da sabato pomeriggio - pantaloni della tuta, camicia e un gilé di piumino - prima di salire sullauto blu con autista. Non abita più qui il vice di Fini Italo Bocchino, che ha tuttavia lasciato lappartamento alla moglie da cui si è separato, la produttrice tv Gabriella Buontempo, che ama far jogging nel parco della vicinissima Villa Borghese. Il suo è lunico cognome scritto a penna su un cartoncino incollato con lo scotch. Mentre Chiara e Benedetta Geronzi - figlie dellex banchiere Cesare condannato a 5 anni per bancarotta fraudolenta - cercano lanonimato dietro a due lettere. Ma è evidente a chiunque che la star tra i super inquilini è il vice premier Alfano: abita qui alle Tre Madonne da quando era ministro della Giustizia e in più duno si domandavano come potesse accettare di diventare inquilino di Salvatore Ligresti, che già allepoca della stipula del contratto era un ex pregiudicato condannato in Cassazione per corruzione. Sia come sia, lavamposto pariolino dei Ligresti faceva coppia con lospitalità che la famiglia riservava ai suoi ospiti più illustri - ministri, parlamentari, prefetti - al Tanka Village di Villasimius, in Sardegna dove venivano offerte tonnellate di aragoste. Generosità che emerge anche da unintercettazione telefonica tra lex amministratore delegato di Fonsai Fausto Marchionni e Alberto Alderisio, uomo vicinissimo al clan Ligresti. Nella lussuosa residenza romana, invece, alloggi da favola per amici importanti che occupano appartamenti gestiti dai fedeli camerieri filippini. Alcuni escono a fare la spesa, ed evitano accuratamente di fornire informazioni. La consegna al silenzio vale oro. Tanto quanto il valore degli alloggi, in barba allaffitto pagato decisamente meno del valore reale. 1. I LIGRESTI AVRANNO RUBATO IL RUBABILE, MA SONO FINITI VITTIME DI QUALCUNO PIÙ FURBO DI LORO: UNICREDIT/MEDIOBANCA Peluso oggi al Corriere a proposito dellintervento nel capitale Fonsai del fondo Amber, in occasione di un aumento di capitale orchestrato dallo stesso Peluso, dice che il fondo lo portò Unicredit che era lead manager delloperazione. Laumento fu fatto a forte sconto sul prezzo di borsa. Fu Amber a scatenare linferno societario su Fonsai poi seguito dalle inchieste, che estromisero i Ligresti. E Peluso proveniva proprio dallUnicredit che aveva finanziato generosamente i Ligresti sotto la gestione di Alessandro Profumo. E il salvataggio di Fonsai a opera di Unipol fu voluto da Mediobanca, di cui Unicredit è socio forte. Salvataggio voluto, come ormai è noto, per permettere ai due istituti di tutelare i loro crediti. Di certo i Ligresti hanno rubato il rubabile, ma non è che son finiti vittime di qualcuno più furbo di loro? Con simpatia. Andrea 2. IL FIGLIO DELLA CANCELLIERI: «I LIGRESTI NON HANNO CAPITO . NOTTI IN PIEDI PER SALVARLI» - PELUSO: NON SONO UN TRADITORE di Fabrizio Massaro per il Corriere della Sera Non vuole parlare delle polemiche sulla madre, il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, per linteressamento verso Giulia Ligresti in carcere; ma del suo lavoro in Fonsai Piergiorgio Peluso, 45 anni, top manager di Telecom da un anno, dopo aver lasciato la compagnia assicurativa, parla eccome. Per difendere il suo operato e respingere le accuse dei Ligresti di essere stato lemissario delle banche inviato per privarli della compagnia. «Non è così, ovviamente. Che queste accuse arrivino da Jonella e Giulia, che non hanno la più pallida idea di che cosa parlano, è sintomatico». Allora raccontiamo comè andata. «Sono arrivato in Fondiaria a giugno 2011 dopo laumento di capitale, quando le banche posero il tema della discontinuità manageriale. Io avevo lavorato in Capitalia e UniCredit seguendo i più grandi gruppi, compreso quello Ligresti. E poi cera la conoscenza famigliare, più con Antonino Ligresti che con Salvatore. Fondiaria nacque per me come una opportunità di carriera interessante». Ma lei cominciò subito a ripulire i bilanci... «Ad agosto scoppiò la crisi finanziaria, e con lo spread a 500-600 limpatto sul portafoglio di una compagnia è immediato. A questo si combinò la crisi delle riserve, perché a fine settembre lIsvap identificò un fabbisogno di riserve per circa 600 milioni. Poi cera il mercato immobiliare, che pesava in Fonsai più del doppio che in ogni altra compagnia. Questa combinazione portò a un nuovo aumento di capitale. E tutto questo non ha niente a che vedere con la predeterminazione di cui parlano i Ligresti, è inaccettabile. Stiamo parlando di unazienda molto debole che ha avuto una situazione di collasso. Lindice di solvibilità era sceso a 75, quando la legge impone 100 e la compagnia si era posta il limite di 120. Insomma mancava il requisito per continuare lattività associativa, lIsvap poteva commissariarla un minuto dopo. Io me le ricordo le notti che passavo in ufficio cercando delle soluzioni alternative». Giulia la accusa di aver fatto diventare azionista il fondo Amber, che subito dopo ha denunciato le operazioni tra la compagnia e i Ligresti, dando vita allinchiesta. «La consequenzialità di Amber può destare delle domande, lo ammetto. Ma anche noi siamo rimasti stupiti quando hanno fatto quelle domande. Io li ho conosciuti solo in quella occasione. Loro comprarono dei diritti che come Fonsai eravamo obbligati a vendere. Ce li portò Unicredit, perché era la banca che seguiva laumento di capitale. Erano normali investitori. Per me la denuncia sulle operazioni con parti correlate fu un fulmine a ciel sereno. Evidentemente Amber voleva forzare una situazione e ha scelto quella strada legale. Ma nessuno è mai entrato in Fonsai con lottica che dice adesso la famiglia». Quando espose i problemi di Fonsai ai Ligresti, quale fu la reazione? «Alla famiglia dissi: purtroppo la crisi è qualcosa che è più grande di noi, non siamo più in grado di gestirla. E provammo altre strade per recuperare patrimonio, visto che sapevo che per la famiglia laumento di capitale era lextrema ratio. Cercammo di vendere pezzi di società, e cercai soci esteri: ma nessuno voleva sentire parlare di rischio-Italia in una Fonsai che aveva 30 miliardi di Btp in pancia. Fu lIsvap che ci obbligò allaumento di capitale, perché eravamo sotto i limiti regolatori e non ci lasciava ancora tempo. Pensare altro è la solita teoria del complotto». E lei scelse di difendere la società. «Lì ci fu la rottura, di fatto mi diedero del traditore perché capirono che avevo preso una strada per loro molto complicata. Ma anche in quel contesto la famiglia ebbe la possibilità di trovare soluzioni alternative. Aveva studiato in totale autonomia insieme con il suo advisor Banca Leonardo loperazione con Palladio, con cui però poi loro stessi decisero di chiudere, per aprire con Mediobanca e dunque con Unipol. Io non sono mai stato coinvolto perché non ero più parte delle loro discussioni. Dunque nessun complotto, nessuna eterodirezione, tutte cose verificabili e documentate». Lei contestò alla famiglia di «costare» 100 milioni. «La frase va inserita in un contesto. Io feci una ricostruzione di tutto il costo allargato della famiglia, comprese le operazioni immobiliari e tutto il resto. Il mio obiettivo era arrivare a un accordo per una riduzione di quellimporto. Se per esempio lavessi ridotto di due terzi, avrei avuto 60-70 milioni in più in cassa. Loro sarebbero rimasti con una remunerazione importante ma ridotta. Oramai era tanta la pervasività della famiglia che parlavamo di numeri insostenibili. Sono convinto che quellazienda, con risparmi sui costi e un efficientamento dei rischi, è la più bella compagnia italiana. Unipol ha fatto un affare, in senso industriale; ha comperato unazienda che, ristrutturata, è ottima». 3. FONSAI, DUBBI DEI PM SU RUOLO DI PELUSO. GIULIA LIGRESTI: E PROTETTO DALLA MADRE (Adnkronos/Ign) - Piergiorgio Peluso, ex dg di Fonsai, viene messo sotto la lente dei pm di Torino i quali disponendo lintercettazione del suo cellulare si chiedono se sia stato il promotore di quella che è stata una vera e propria pulizia di bilancio oppure abbia agito con lintento di escludere lazionista di riferimento (famiglia Ligresti) ovvero abbia fatto emergere lacune (e quindi falsità) relative ai bilanci relativi agli esercizi precedenti. Peluso, figlio del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, ha ricoperto il ruolo di direttore generale nel periodo più delicato attraversato da Fonsai, coinciso con la chiusura di bilancio 2011 che ha registrato una perdita di oltre un miliardo di euro. Nel documento i pm Vittorio Nessi e Marco Gianoglio spiegano che lintercettazione dellutenza di Peluso è necessaria visto il suo ruolo e anche alla luce delle relazioni che Peluso ancora intrattiene con alcuni indagati (ed in particolare con Emanuele Erbetta, ad di Fonsai nel periodo di interesse. In unintercettazione Giulia Ligresti commenta così con unamica il suo operato: Sto Peluso è il figlio del ministro Cancellieri... Siccome lui è talmente protetto, figurati cosa gli daranno in Telecom. Sto Peluso che è entrato da noi un anno fa, gli hanno deliberato in consiglio una buonuscita di cinque milioni e mezzo, capito? Tutto è stato deciso dalle banche, noi ci fanno il mazzo... afferma Giulia Ligresti in una conversazione intercettata. Se quei soldi fossero stati deliberati per te o per me o Paolo, per qualcuno, il giorno dopo - prosegue - dal consiglio veniva fuori una denuncia, per questo qui che è entrato, ha distrutto tutto eh, è venuto ha avuto il mandato come se tu entri in unazienda e svalorizzi tutto, distruggi tutto, fai in modo che, che uno se la può prendere a zero, e poi si vedeva che era un mandato, è uscito appena fatto con cinque milioni e mezzo. Per Giulia Ligresti si è creato un appesantimento ad hoc sui conti Fonsai per estromettere lazionista di riferimento e favorire il controllo da parte di un altro gruppo. DIFESA di Goffredo Buccini per il Corriere della Sera Lappuntamento è in un bar di largo Argentina: a due passi dai palazzi dove si disegna proprio in questi giorni la nuova faccia delle nostre forze armate. Il vecchio ufficiale, ora «consulente istituzionale», chiede lanonimato bevendo caffè lungo e ben zuccherato: «Sa, ho lamaro in bocca». Sembra in imbarazzo: «La facciamo, sì, la riforma, ma la scarichiamo sulle spalle degli italiani». Tira fuori le carte. «Mi dica lei se in un Paese di esodati e precari possiamo portare avanti un testo del genere: è uno scivolo doro, come diavolo si fa a spiegarlo alla gente?». La riforma delle riforme, lanciata con lo slogan «meno generali, più tecnologia», sta tutta qui, atti del governo 32 e 33, decreti attuativi della legge 244 del 2012 voluta da Giampaolo Di Paola, allora ministro del governo Monti dopo una carriera da ammiraglio approdata sullo scranno di capo di Stato maggiore della Difesa. I provvedimenti del governo Letta recepiscono il lavoro dellesecutivo precedente, Mario Mauro assorbe la visione del predecessore con le stellette. «Trentacinquemila uomini in meno in dodici anni» e una formula magica che prevede una sostanziosa redistribuzione dei carichi di spesa: questanno in un bilancio di circa 14 miliardi per la «funzione difesa» (la «funzione sicurezza» con i carabinieri è a parte) i costi del personale gravano per il 67 per cento, il 10 per cento va alladdestramento (pericolosamente scarso) e il 23 agli investimenti; il mantra di Di Paola è 50, 25 e 25. Ovvero meno uomini, armi migliori e usate meglio. Ma, attenzione: nel dimagrimento il trucco cè e sintravede. Molto resta a carico della spesa pubblica e quindi delle nostre tasche, tramite tre canali: il passaggio del personale ad altro ministero, il prepensionamento e, soprattutto, l«esenzione dal servizio», comma sesto dellarticolo 2209, il punto più controverso nella disciplina del periodo transitorio: dai 50 anni in poi (dieci anni prima del congedo) si può entrare in un magico limbo, lo «scivolo doro» appunto, grazie al quale si conserva lottantacinque per cento dello stipendio senza lavorare più nemmeno un solo giorno, con tanto di pensione piena; non è esclusa neppure la facoltà di fare altri lavori (il reddito non si cumula). Questo bonus decennale per le forze armate in (libera) uscita verrà inserito nel codice dellordinamento militare a meno che Camera e Senato non si mettano di traverso in modo plateale (è solo previsto un loro parere) spingendo il governo a ripensarci. Fino a oggi il comma dorato stava attraversando zitto zitto lultimo guado tra Palazzo Madama e Montecitorio. Eppure era proprio difficile non accorgersene. «Quando ho visto quella norma, ho fatto tre salti sulla sedia! Così comè non passerà. Non è un articolo di legge, è una provocazione», tuona Gian Piero Scanu, capogruppo pd in commissione Difesa. «È vero, fa effetto», ammette Domenico Rossi, ex generale e adesso deputato di Scelta civica: «Però, ci pensi, è la via duscita della generazione delle missioni, i cinquantenni di adesso avevano 35 anni in Kosovo. Non è che si possono mandar via così». Già, ma non è che tutti i trentacinquenni degli anni Novanta andassero in missione... «Va bene, ma non ne faccia una questione di percentuali. E comunque la legge era diversa, il Cocer (la rappresentanza sindacale dei militari, ndr ) ha ottenuto di aumentare dal settanta allottantacinque per cento la quota di stipendio mantenuta intatta». Nelle commissioni di Camera e Senato, si combatterà sugli articoli della riforma. Ed è da qui che è opportuno partire per cogliere chiaroscuri, miserie e nobiltà dei nostri uomini e donne in divisa. La faccenda è dura da semplificare, perché ha ragione il capo di Stato maggiore dellEsercito, Claudio Graziano, quando dice che «ci serve la certezza di risorse adeguate per laddestramento del personale e lammodernamento, se adeguatamente vogliamo andare in missione. Non si tratta di una spesa, ma di un investimento». Insomma, il comma doro è una goccia che cade nel pieno duna grande, autentica trasformazione dei nostri militari, passati dalla derisione negli anni della contestazione allo straordinario lavoro nelle missioni, dal Libano in poi, e già radicalmente rinnovati nel 2001 con labolizione della leva. Quando si parla dei loro sprechi si pensa, per dire, ai circoli (storica la querelle su quello degli ufficiali a palazzo Barberini, a Roma) o agli stabilimenti balneari (tutta roba che ormai è affidata in buona parte a privati con grande contrarietà dei Cocer). E certo fa sorridere la battaglia a suon di finanziamenti di Fregene nord contro Fregene sud, scolpita nel rapporto Monti di due anni or sono, un milione di qua, duecentomila euro di là alle rispettive spiagge con cabine riservate alle stellette. Fanno mugugnare noialtri gli alberghi camuffati da centri di addestramento dove soggiornare da Dobbiaco ad Alghero per una trentina deuro a persona; l«ausiliaria» che ancora consente un 24 per cento in più di pensione garantita per un molto improbabile richiamo in servizio nei cinque anni successivi al congedo (dovesse scapparci una guerra...); già nel 2006 la senatrice Silvana Pisa, Sinistra democratica, rilevava persino le spese di «rifacimento letti» negli appartamenti di generali e ammiragli al top della carriera, parte di un esborso di tre milioni e mezzo lanno per la pulizia dei loro 44 alloggi di servizio e rappresentanza. «Noi rischiamo di diventare strumento delle lobby e voi cercate il colore», ci rimprovera la nostra fonte al bar di largo Argentina. Già. Lo «scivolo doro» della riforma può fare imbestialire i comuni cittadini ma la partita vera delle spese e, forse, degli sperperi, si gioca su altri tavoli. Gli F-35, con una faida sanguinosa in cui il ministro Mauro ha rischiato di restare impallinato, sono stati solo un assaggio: tutto ora è al vaglio del Parlamento. La commessa più ghiotta per un futuro molto futuribile si chiama Forza Nec: ventidue miliardi di spesa possibile nei ventanni che verranno; si tratta di digitalizzare lesercito, immaginando il soldato del 2030 molto prossimo a un robot (lacronimo Nec sta per Network enabled capability , capacità di fare rete coi sensori sul campo di battaglia). Già nel 2006 Di Paola riteneva «prioritaria e ineludibile» la trasformazione «net-centrica» (sic) delle forze armate, salvandola dalla scure montiana della spending review. Con verosimile soddisfazione di Selex Es, la società di Finmeccanica che, quale «prime contractor», gestirà a tempo debito tutto da sola, senza gara né confronto sui prezzi, come consentono le procedure. Il domani in un affarone, insomma, senza voler in alcun modo revocare in dubbio le capacità tecniche dellazienda italiana. Tuttavia lo scenario non è pacificato. «Nessuno conosce le cifre esatte, ma chi pensa che Forza Nec sia cosa fatta, sbaglia di grosso. Mauro è molto... incline ad assecondare le richieste dellamministrazione militare, ma la ricreazione è finita», dice ancora Scanu. Fabio Mini, già comandante delle nostre forze in Kosovo, si spinge molto oltre: «Ci sono sistemi per dare soldi allindustria italiana». Cioè? «Dallindustria dipendono gli incarichi dei vertici militari, cooptati dalle cordate politiche. I debiti si pagano». È unaffermazione molto grave, generale... «Beh, va così. Lho pure scritto nel mio libro Soldati, senza fare nomi, naturalmente». Naturalmente. Sotto le uniformi, battono cuori intossicati. La legge di Stabilità è stata loccasione dun sotterraneo scontro di lobby per la conquista dei finanziamenti. Si chiudono caserme dove mancano i soldi per la bolletta della luce, e le ristrettezze esasperano. Perfino il prossimo viaggio umanitario in Africa della portaerei Cavour ci viene segnalato come spreco da una fonte di unaltra arma, «130 giorni di navigazione, ci costa venti milioni. Quanti ospedali potrebbero farci laggiù?». Alla fine il nostro esercito è come noi, generosità e invidie, grettezze e slanci, questa è lItalia del 2013. Alla stazione Trastevere due bersaglieri sono di pattuglia con un appuntato dei carabinieri (è la vecchia operazione «strade sicure» che volle La Russa da ministro, soldati e forze di polizia assieme): sono ragazzini, prendono 900 euro per i prossimi quattro anni, «è dura», e dopo non andrà molto meglio. Stipendi bloccati dal 2010 come tutti, lidea della «specificità» del lavoro fagocitata dalla crisi. «Se mi promuovono colonnello sono rovinato, ci perdo», mastica amaro un amico prossimo ai gradi. Più grane, meno quattrini. Merito e coraggio negletti come sempre. «Usiamo le missioni per addestrare i ragazzi, se no addio!». In quelle missioni, dal 1982, sono caduti 103 dei nostri, dallAfghanistan in poi i feriti sono 651. «Io vorrei che il Paese se ne ricordasse», dice lex generale Rossi: «Ci sono posti dove si decidono vita e morte in un secondo. Chi sta di notte in un avamposto a Bakwa tra colpi e rumori nel buio, beh, vorrei che non si sentisse troppo solo». INTERNI PELUSODELUSO di Filippo Ceccarelli per la Repubblica Una telefonatina. Una cenetta sbagliata. Una tassa non pagata. Un debituccio. Una colf straniera in nero. Un microfono lasciato aperto. Un errore di traduzione. Un collaboratore troppo volonteroso, oppure troppo arrendevole, magari dinanzi alle pressioni di unambasciata post- sovietica. Col risultato che se la vicenda Alfano-Shalabayeva metteva in causa anche il trattamento disumano riservato alla moglie del dissidente kazaco, quella Cancellieri-Ligresti vorrebbe ruotare quasi per intero attorno alla scelta umanitaria del ministro; mentre, per completare il tris del governo Letta, laggiramento dellIci da parte del titolare dello Sport Josepha Idem non si sa bene dove collocarlo se non nel campo delle umane debolezze, le quali a loro volta hanno acquistato un inedito rilievo non solo negli affari di governo, ma sullintera scena pubblica nella sua bislacca interezza. E sì che non si può, né è giusto fare di tutterba un fascio di riprovazione, però gli scandali, i passi scabrosi, gli impicci, gli intoppi, gli inconvenienti continuano a succedersi a pieno ritmo mutando di segno e sempre più - se è consentito - umanizzandosi, personalizzandosi. Per cui se un tempo non lontano i governi finivano nelle peste e i potenti erano costretti, sia pure di rado e dopo inaudite resistenze, a dimettersi per sanguinose collusioni con la mafia, ricchissime tangenti petrolifere, gigantesche compravendite di aerei da guerra oppure oscure (ancora!) collusioni col terrorismo o gli apparati di sicurezza, oggi il potere si è come rimpicciolito; e a metterlo periodicamente in crisi, più che delitti o ricchezze, sono semmai misere storie e spesso miserabili, comportamenti folli, beghe famigliari, vanità, pecionate, scemenze, istinti da parassiti e rapine da morti di fame. Basti pensare alle spese dei consiglieri delle regioni, chi mette in conto alla collettività il gratta-evinci e chi lo sciampino per tingersi i capelli, chi il parquet di casa, il ricevimento per la cresima, la escort, il peluche e addirittura, in Campania, un corno davorio del valore di 1900 euro. Si lascino per un attimo da parte linettitudine con scaricabarile di Alfano, la furbata fiscale di Idem o il preteso slancio pietoso della Cancellieri per la figlia dellex datore di lavoro di suo figlio. E si cerchi piuttosto il filo che conduce questi casi con altre vicende, certo minori, e tuttavia rappresentative di mali cronici, o meglio resi cronici da tempi segnati dalla fine delle culture politiche e da fenomeni di personalizzazione ormai arrivati a farsi marketing. Ed ecco quindi governatori assenteisti che esibiscono porcini; ministri che chiedono ad aziende statali inutili e costose consulenze per placare o risarcire lagitazione di ex mogli; sindaci rinnovatori che depositano lauto privata nel parcheggio del Senato perché è vicino casa e più comodo - e subito si trova qualcuno pronto a garantire che è per motivi di sicurezza. Come sintende, pure in questi casi il rilievo penale delle questioni appare secondario. O almeno, come si legge nei Promessi sposi: Mentre il tribunale cercava, molti nel pubblico, come accade, avevan già trovato. Che cosa? Si direbbero nuovi, retrattili e in ogni caso non distinguibili parametri dindegnità. Condotte certo riprovevoli, ma non tali da richiedere sanzioni, al limite fatte oggetto di prese in giro, ma solo e meglio se dotate di risorse narrative che accendano la fantasia del gentile pubblico non pagante. Esempio: il trasbordo in elicottero Roma-Rieti utilizzato dalla governatrice per visitare la mostra sul peperoncino; o le cozze pelose donate dal discusso costruttore al sindaco; o anche le vacanze esotiche pagate dal lobbista al governatore che si tuffa in foto dallo yacht turandosi il naso. Da questo particolarissimo punto di osservazione gli scandali sessuali berlusconiani, la saga fiorita attorno alla casetta di Montecarlo, le scorribande finanziarie della family Bossi e le vivide predazioni di Lusi costituiscono pietre miliari e al tempo stesso punti di non ritorno. Ma con la dovuta apprensione - e la garanzia documentaria che a quanto segue si potrebbe agevolmente dare nomi e cognomi - la vita dei potenti italiani un po vivrà pure di giornalisti malefici e macchinine del fango, ma nel complesso scorre da un ventennio come dentro un fiume di astute micragne e disperate meschinità. E dunque: piscine abusive, lavori edilizi non pagati, guida in stato debbrezza, code non rispettate, bestemmie, saluti romani, stalking su Facebook, figlioli discoli, affitti e acquisti di favore, debiti lasciati a negozi (dabbigliamento), colpi di sonno in aula, scorte inutili o menacciute.Ecco, tutto ciò anima le cronache, giorno dopo giorno. Posto che i vizi personali sono gli unici meccanismi, al giorno doggi, che il politico può adoperare senza sporcarsi di sangue (Nicolàs Gomèz Davila, Tra poche parole, Adelphi, 2007), saperli accettare o almeno vederli attraverso di essi rappresenta la più eroica sfida contro il cinismo. ECONOMIA Di r.d’agostino CRACSPREAD?! lo spread è il termometro della fiducia degli investitori. In realtà lo spread è il termometro della ‘momentanea fiducia degli investitori. La fiducia di medio- lungo termine è la capacità di un paese di produrre ricchezza e di mantenere il suo livello di competitività internazionale, lo spread finanziario di breve termine inevitabilmente, prima o poi, si allinea a quello di lungo anche con movimenti improvvisi. Invece di concentrarsi giornalmente su pochi decimali di variazione i giornaloni nazionali dovrebbero concentrarsi sullo scenario devastante del capitalismo e dellindustria italiana. Alitalia è lultima bandiera che si ammaina, i capitani coraggiosi sono stati capitani di sventura a cominciare da quel Roberto Colaninno che ha messo le basi per laffondamento di Telecom, ha distrutto quel che rimaneva della compagnia di bandiera e si sa seriamente applicando su Piaggio. Ma dato che non ci facciamo mancare niente alla tragedia si aggiunge la commedia visto il figlio di Colaninno, Matteo, è il responsabile dello Sviluppo Economico del maggior partito Italiano. Quella del capitalismo italiano è una storia di figli, di rapporti di famiglie di intrecci, lo sa il Ministro di Grazia e Giustizia Anna Maria Cancellieri che ha un figlio che ha lavorato alla Fonsai di Ligresti dove ha ricevuto una buona uscita di 3,6 milioni di euro per poi passare a lavorare in Telecom, con la mamma che si prodigava per far uscire di galera la figlia dello stesso Ligresti. Lo sa la Famiglia Marcegaglia più volte indagata e condannata dal fisco nonostante la rampolla Emma tuonasse contro gli evasori da Presidente di Confindustria e contemporaneamente cercasse di accaparrarsi gli immobili costruiti per il G8. Lo sapevano tutti che Monte dei Paschi era una banca decotta quando facevano finta di stilare un patto per lItalia insieme a quel Mussari che sarebbe stato defenestrato da lì a poco. Lo sapevano le banche che Zalesky era una scatola vuota e non avrebbe ripagato i debiti, come sanno tutti che lo spread di lungo periodo dellItalia segna la fine industriale e finanziaria. I capitani di sventura sono ancora tutti lì a pontificare sul futuro, su una ripresa che non ci sarà facendo finta di essere interessati alla sorte del paese, ma Alitalia, Telecom e Monte dei Paschi sono il loro specchio di Dorian Gray che riflette unimmagine invecchiata e decrepita di unItalia che non cè più. Il rifiuto di Air France di sottoscrivere laumento di capitale di Alitalia è la controprova di un paese che è passato da essere il target di obiettivi predatori stranieri dei tempi di tangentopoli allappestato di turno da cui stare lontani, anzi lontanissimi. Un Presidente del Consiglio come Monti deciso nelle stanze di Banca Intesa ed un Ministro di Grazia e giustizia che interviene per un amico di famiglia sono la controprova di un sistema che nel suo complesso e sullorlo di una implosione. I capitani di sventura hanno vinto, niente è più scandalo, niente è vietato. Corriamo a dividerci le ultime spoglie di quella che fu la quinta potenza industriale del mondo, i capitani di sventura sono già allopera e non lasceranno molto dietro di sè. ESTERI BUNDABRIGATISTAPENTITO-di Ignazio Stagno per Libero Quotidiano Va pure in giro a dare lezioni. Cesare Battisti ormai è una star. In Brasile lex terrorista è una celebrità nei convegni e viene inviatato per lectio magistralis in tutti gli atenei del Paese. Ma quella che terrà tra pochi giorni ha un vero e proprio sapore di beffa: Chi ha il diritto di vivere (Quem tiem direito ao viver) al VI forum dellUniversità Federale di Santa Catarina a Florianopolis. La lezione, finanziata dal ministero delleducazione brasiliana, come racconta Qelsi.it ha fatto indignare i brasiliani che si chiedono che diritto abbia di parlare di questi temi un pluriomicida e di prendersi oltretutto un gettone di 1500 Real (circa 500 euro). Lorganizzatore, è il compagno professor Paulo Lopes, interrogato su questo, sostiene che è stato chiamato per dar voce agli esiliati, agli imprigionati. Insomma Battisti, condannato in contumacia allergastolo, con sentenze passate in giudicato, per aver commesso quattro omicidi, in concorso, durante gli anni di piombo, adesso pontifica dal Brasile e parla di chi ha il diritto di vivere. Già tutti, tranne le sue vittime.. SPORCAUE-La legalità nell Unione europea dalle mani sporche Manfred Gerstenfeld intervista l’ambasciatore Alan Baker(Traduzione di Angelo Pezzana) Alan Baker è stato consigliere legale, esperto di legge internazionale e vice direttore generale del Ministero degli Affari Esteri israeliano. Ha poi ricoperto la carica di ambasciatore in Canada. Oggi è direttore dell’Istituto per gli Affari Contemporanei al “Jerusalem Center for Public Affairs” e capo del Dipartimento Azioni Internazionali del “Legal Forum for Israel” “ L’Unione europea ha emesso quest’anno una direttiva verso gli stati membri affinchè vengano bloccati i rapporti con le istituzioni israeliane di ricerca, aziende e altre strutture situate in quelli che la UE considera “territori occupati”, in particolare le colonie israeliane, che la UE giudica illegali. Con questo atto la UE dimostra il suo pregiudizio contro Israele, poichè si coinvolge nei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi partendo da una valutazione pregiudiziale. Ritengo urgente la formulazione di un documento legale, condiviso a livello internazionale, che spieghi perché questa direttiva debba essere revocata in quanto basata su dati scorretti e in violazione del processo di pace stabilito dalla UE. “ Voglio riunire un rilevante gruppo di avvocati e di personaggi pubblici perché firmino un documento serio, chiaro e legalmente approfondito, senza ‘sottigliezze’ diplomatiche da inviare alla UE. Produrrà un effetto più forte e più persuasivo delle iniziative politiche di routine “ “ Questa idea parte dalla mia esperienza nel ‘Legal Forum for Israel’, dove un gruppo di avvocati, israeliani e non, si occupano della difesa dei diritti di Israele e del popolo ebraico, anche di fronte alla comunità internazionale. “ Abbiamo fatto circolare questo progetto fra circa 500 avvocati soci del Legal Forum ,in Israele e all’estero, così come abbiamo cercato il sostegno e il parere delle organizzazioni internazionali ebraiche che si occupano di problemi legali, affinchè firmassero poi il documento. In due settimane abbiamo ricevuto più di 1000 adesioni. Il documento è stato inviato a Catherine Ashton, il ministro degli esteri della UE, mentre copie sono state spedite ai ministri degli esteri degli Stati europei e agli alti funzionari della UE. “ Il documento affronta alcuni punti fondamentali. La premessa della direttiva UE afferma che le linee armistiziali del 1967 sono i confini di Israele, il che è falso anche secondo la legge. Abbiamo scritto: ‘ L’interferenza riguardo ai confini di Israele stabilita dalla UE.. è sbagliata, storicamente e legalmente. Le linee armistiziali pre-1967 ( la cosiddetta linea verde) non sono mai state considerate dei confini. La risoluzione 242 (1967) del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, approvata dai membri europei del Consiglio, stabiliva ‘confini sicuri e riconosciuti’ che avrebbero dovuto sostituire le linee di armistizio pre-1967. I leader europei approvarono questa risoluzione nella Dichiarazione di Venezia del 1980. Insistendo sulle linee armistiziali pre-1967, la UE danneggia i negoziati di pace su questo argomento prefigurando già il risultato”. “ Un altro punto importante riguarda i territori di Giudea e Samaria, nessun accordo e documento formale ha mai stabilito che debbano essere territori palestinesi. Anche la UE, in quanto testimone, ha firmato l’Accordo-interim fra israeliani e palestinesi (1995), nel quale i partners aderivano a negoziati per stabilire il destino di questi territori. Quindi la risoluzione UE destabilizza il processo di pace. “ Abbiamo anche scritto:’ L’uso ripetuto da parte della UE dei termini ‘territori palestinesi o arabi occupati’, riferiti a Giudea e Samaria, non ha basi legali. Questa area non è mai stata attribuita come la UE si ostina a scrivere, un uso che contrasta lo stesso concetto di negoziazione, impedisce la soluzione dei problemi mantenendo inalterato lo status attuale’. “ Abbiamo inoltre affermato che il completo rigetto al diritto di Israele su questi territori nega il diritto storico di Israele e del popolo ebraico che i Paesi europei per anni avevano riconosciuto e che quindi rimane valido. Ne deriva che la UE mina il proprio status e dovere prendendo posizione contro Israele. “ In quanto alla illegalità delle comunità israeliane, la UE, da anni, interpreta erroneamente la legge internazionale, incluso l’articolo 49 della quarta Convenzione di Ginevra, la cui origine era:’la necessità di risolvere le espulsioni, migrazioni forzate, evacuazioni, espulsioni di più di 40 milioni di persone da parte dei nazisti nella seconda guerra mondiale’ non aveva nessuna connessione con le comunità israeliane in Giudea e Samaria’. “Abbiamo anche scritto:” La legalità della presenza di Israele nell’area deriva dai diritti storici, stanziali e legali del popolo ebraico a stabilirsi in quell’area, garantita, riconosciuta e accettata dalla comunità internazionale. Diritti che non possono essere messi in discussione. La Dichiarazione di Sanremo del 1920, sottoscritta all’unanimità dalla Lega delle Nazioni, affermava la costituzione di uno stato per il popolo ebraico nella storica Terra di Israele (incluse Giudea,Samaria e Gerusalemme), così come tutti gli altri territori dell’area. Nel 1922 venne la conferma della Lega delle Nazioni che attribuì questo mandato all’Inghilterra. Così come venne confermato dall’articolo 80 della Carta delle Nazioni Unite. “ Il nostro documento ha ottenuto una larga approvazione dalle comunità ebraiche, mentre dalla UE, a parte la conferma di ricezione da parte di un funzionario, non c’è stata alcuna risposta. Manfred Gerstenfeld è presidente emerito del “Jerusalem Center for Public Affairs” di Gerusalemme. Ha pubblicato più di 20 libri. E’ stato di recente ristampato il suo libro “ Israel’s New Future” con una nuova introduzione e il nuovo titolo di “Israel’s New Future Revisited”.
Posted on: Sun, 03 Nov 2013 18:47:39 +0000

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