Prendi e leggi «Quello che devo ricordarmi, soprattutto, sono - TopicsExpress



          

Prendi e leggi «Quello che devo ricordarmi, soprattutto, sono le mani». Delacroix (diario, 11 aprile 1824) «… eravamo / mani, / aprivamo una via all’oscurità». Paul Celan (Fiore) Il significato del libro potrebbe cominciare con Sant’Agostino. Nell’ottavo libro delle sue Confessioni, Agostino descrive il momento della sua con- versione al cristianesimo: Nella mia disperazione esclamavo: «Quanto ancora continuerò a dire domani, domani? Perché non ora? Perché non porre fine ora ai miei peccati e alla mia vergogna?». Così interrogavo me stesso, quando all’improvviso udii una voce infantile che cantava in una casa vicina. Non so se fosse la voce di un bambino o di una bambina, ma continuava a ripetere queste parole: «Prendi e leggi, prendi e leggi». Agostino è seduto nel suo giardino sotto un fico e, udendo questa voce, prende la Bibbia che ha appoggiato accanto a sé, apre una pagina a caso e comincia a leggere (Romani 13:13-14). A quel punto, racconta, «non avevo nessun desiderio di leggere altro e nessun bisogno di farlo. Per un momento, quando raggiunsi la fine della frase, fu come se la luce della fiducia traboccasse nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio fossero dissolte». Agostino chiude il libro, tenendo il segno con un dito, e va dal suo amico Alipio a raccontargli la sua esperienza. La sua conversione si è compiuta. Nessun altro passo ha colto il significato del libro più profondamente di questo. In Agostino non era il semplice fatto di leggere, ma il fatto di leggere libri, che si allineava con l’atto della conversione personale. Agostino scriveva alla fine del quarto secolo, quando il codice aveva diffusamente soppiantato il rotolo come supporto materiale prevalente per la lettura. Sappiamo che Agostino stava leggendo un libro per come sceglie una pagina a caso e per come usa il dito per tenere il segno. La conversione che costituisce il cuore delle Confessioni, di fatto, fu un’affermazione della nuova tecnologia del libro nella vita delle persone: una tecnologia che aiutava i lettori a trasformarsi in individui. Voltare la pagina, e non più ruotare l’impugnatura del rotolo, era il preludio strumentale al compiersi di un cambiamento decisivo della vita interiore. Allineando la pratica della lettura del libro con l’atto della conversione personale, Agostino stabilì un paradigma di lettura che sarebbe andato molto al di là della sua cornice tecnologica, un paradigma che sarebbe arrivato a diventare uno dei fondamenti della cultura umanistica occidentale per i quindici secoli successivi. Era soprattutto la possibilità di afferrare il libro, il suo essere a portata di mano, che consentiva che esso svolgesse un ruolo decisivo nella formazione della vita degli individui. «Prendi e leggi, prendi e leggi» («tolle lege, tolle lege»), ripete il ritornello divino. L’afferrabilità del libro, in senso materiale e insieme spirituale, è ciò che gli conferiva questo immenso potere di cambiare radicalmente le nostre vite. Nel prendere il libro, secondo Agostino, siamo presi dai libri a nostra volta. Oggi niente appare più sospetto della perdurante caratteristica del libro di “essere a portata di mano”. Le coste, i fascicoli, le cuciture, le tavole e le piegature che un tempo davano al libro la sua forma, che lo rende adatto alle nostre mani, oggi vengono soppiantati dagli strati sempre più sottili dei nuovi dispositivi per la lettura, che si integrano in grandi sistemi interconnessi. Se i libri sono essenzialmente vertebrati, in quanto contribuiscono a questo sentimento di unicità, tipicamente umano, che dipende dalla postura eretta del corpo, i testi digitali sono più simili a invertebrati, soggetti alle leggi del trasferimento genico orizzontale e della riproduzione a distanza. Come le meduse o le idre, sfuggono sempre alla nostra presa in qualche senso fondamentale. Che cosa possa significare questo fatto per il modo in cui leggiamo, e per come a nostra volta siamo presi da ciò che leggiamo, è ancora tutt’altro che chiaro. Aristotele riteneva che il tatto fosse il senso più elementare. È il modo in cui cominciamo a trovare una via nel mondo, a mapparlo, a misurarlo e a interpretarlo. Il tatto è il più autoriflessivo dei sensi, secondo un’intuizione del ricercatore tedesco David Katz, che avviò il settore degli studi sul tatto, all’inizio del ventesimo secolo, basandosi sul suo lavoro con gli amputati della prima guerra mondiale. Attraverso il senso del tatto impariamo a percepire noi stessi. Il tatto è una forma di ridondanza, che introduce altre informazioni sensoriali in ciò che vediamo e quindi in ciò che leggiamo. Rende le parole sulla pagina più ricche di significato e ne moltiplica le dimensioni. Conferisce alle parole una geometria, ma anche una qualità riflessiva. Pensare al futuro della lettura significa innanzitutto pensare alla relazione tra la lettura e le mani, alla lunga storia del modo in cui il tatto ha dato forma alla lettura e, per estensione, alla nostra percezione di noi stessi mentre leggiamo. Avendo terminato il suo capolavoro giovanile Dante e Virgilio, Eugène Delacroix, il grande pittore del Romanticismo francese, scrisse nel suo diario: «Quello che devo ricordarmi, soprattutto, sono le mani». Delacroix lo diceva per la pittura, ma vale anche per la lettura. *** Fin dai suoi inizi nella forma di due tavole di legno che raccoglievano tavolette di cera tenute lascamente insieme da una corda, il libro è servito come strumento di riflessione. Nel libro c’è una duplicità che sembra essere decisiva per il suo significato in quanto oggetto. Con le sue pagine rivolte l’una verso l’altra e insieme verso di noi, il libro aperto sta davanti a noi come uno specchio. Ma il libro è informato a una duplicità essenziale anche quando è chiuso. Il libro afferrato non è segno solo di apertura e di accessibilità, come già per Agostino. Può essere anche un affronto, può chiudere fuori qualcosa (o qualcuno) in nome dell’aprirsi di qualcos’altro. Pensate al quadro di Adolf von Menzel Mano con libro, una delle rappresentazioni più sensuali della relazione tra una mano e un libro che abbia mai visto. La mano che vediamo nel quadro occupa quasi per intero lo spazio dell’immagine, escludendo non solo la figura dell’uomo a cui essa appartiene, ma anche il libro – così che non possiamo nemmeno essere sicuri che sia davvero un libro. La presa si chiude in nome di un riaprirsi. Per potersi riaprire al mondo, rinnovato, Agostino deve prima separarsi dal mondo aprendo il suo libro. I libri sono oggetti che uniscono apertura e chiusura, come le mani a cui appartengono. Tutto ciò non è mai così vero come quando leggiamo. Quando reggiamo un libro nell’atto della lettura, le nostre mani sono anche aperte. Leggendo un libro, e non è un caso, si riproducono i gesti del saluto e della preghiera. Nel Medioevo, questa unione di lettura e preghiera si compiva in uno dei formati librari più diffusi dell’epoca, il piccolo “libro delle ore”, che le persone – quelle che potevano permetterselo – portavano in giro con sé come richiami quotidiani al canto e alla sapienza della religione. Nelle Belles Heures de Jean de France (1405-1408), un esempio del genere tra i più riccamente illustrati, vediamo la moglie del signore con le mani giunte in preghiera di fronte al libro. Il rispecchiamento che si intuisce tra le sue mani è a sua volta rispecchiato nel medium del libro aperto davanti a lei, che a sua volta si rispecchia nella figura di Dio, il quale è rappresentato come la Trinità che tiene un libro, il libro del mondo (sebbene con quattro mani e non con sei, presumibilmente perché due sono impegnate a tenere unite le tre persone). Leggere i libri, come ci mostra l’immagine, è una forma di espansione così come di inclusione. È un atto che ci porta fuori e oltre noi stessi, ma è anche un simbolo di reciprocità: nel tenere i libri, siamo tenuti insieme. Ogni volta che teniamo un libro, oggi, riattualizziamo questo legame originario tra la lettura e la preghiera.
Posted on: Mon, 25 Nov 2013 00:32:31 +0000

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