"Riflessioni" (FC) RITORNO IN MAREMMA (pensando al Parco - TopicsExpress



          

"Riflessioni" (FC) RITORNO IN MAREMMA (pensando al Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle d’Ora) La Valle d’Oro è una piccola valle maremmana aperta verso il Tirreno nella quale si compendiano molti millenni di storia ambientale e umana. In essa si trova un insediamento archeologico importante in sé e per il ruolo che ha avuto nella storia dell’archeologia recente: la villa romana di Settefinestre. La Valle d’Oro non è soltanto un bel posto da conservare per l’immagine che trasmette. Se solo questo fosse lo scopo, basterebbero le tele dei pittori, i taccuini dei viaggiatori del Grand Tour, o anche una bella mostra fotografica. La Valle d’Oro è, anche, una sorta di libro all’aperto, nel quale si possono leggere, proprio come se fosse una guida o un manuale, fatto però di cose tangibili, la storia di una parte importante dell’Italia peninsulare, dal primo uomo che abitava la grotta di Settefinestre nel paleolitico medio fino ai coloni che ripopolarono la Maremma negli anni ’50, dopo la Riforma fondiaria e ancora fino al recente paesaggio del turismo. Il romanzo del paesaggio della Valle d’Oro si snoda attraverso i villaggi delle età del rame e del bronzo, quindi attraverso la costruzione del paesaggio rurale che faceva capo alla città di Vulci e poi all’abitato intermedio di Orbetello; la conquista romana con la centuriazione, la viabilità e le case dei coloni venuti dal Lazio (un mixing etnico difficile, quello fra etruschi e romano-latini, ma non impossibile, alla fine; le ville costruite dai grandi senatori romani (Settefinestre, Le Colonne, Le Tombe, Monte Alzato…), con l’esperimento di un paesaggio a metà strada fra piantagione e giardino; la tarda antichità, la nascita della Regio Maritima (o Maremma) e anche del suo concetto negativo, l’impaludamento, la malaria; il Medioevo rappresentato dal castello di Capalbiaccio e da numerosi monasteri, momento ricco e fascinoso. La Valle d’Oro non è un oggetto da rinchiudere nella vetrina di un museo e non è una rovina da coprire e da recintare. E’ uno degli ultimi contesti dell’Italia tirrenica in cui si possa ancora tentare di coniugare storia, archeologia e geografia in modo equilibrato e maturo. E questo per periodi cronologici diversi. Storie, archeologie e geografie del passato qui si incontrano ancora e possono contribuire a costruire un insieme armonico, che trasmette alla gente la storia colta nel suo divenire. La Valle d’Oro è un’occasione da non perdere. Piuttosto, direi, è uno spazio da vivere in modo moderno, come hanno spiegato gli amici della Associazione MaremmaMare. Il paesaggio è sintesi di valori diversi. L’archeologo moderno non si occupa solo di vasi, di coccetti, di muretti. L’archeologo moderno, anche quando ha una formazione da storico dell’arte (come Salvatore Settis) sa guardare alle geografie che lo circondano e sa interpretarne storie, fortune e sofferenze. Uno stesso percorso unisce il paesaggio dipinto o descritto dai viaggiatori del passato, il paesaggio degli storici e degli archeologi, il paesaggio a rischio dei geologi, quello degli agronomi, quello degli urbanisti, dei giuristi, dei medici e dei biologi che analizzano lo stato di salute nostro, strettamente dipendente dallo stato di salute del paesaggio in cui viviamo. Infine, il paesaggio dei cittadini quello sul quale tutti noi camminiamo e dal quale tutti noi traiamo, o dovremmo trarre, cibo, benessere, svago. Il paesaggio dei pittori, naturalmente, non esiste più e, probabilmente, questo è un bene. La rappresentazione visiva del Bel Paese presso le culture egemoni dell’Europa, coincideva, per le classi subalterne del Bel Paese medesimo, con scenari di spaventosa miseria, di pestilenze e di carestie che colpivano senza pietà. Nel 1840 l’aspettativa media di vita a Firenze era di 40 anni; in Maremma la metà. Rimpiangere i secoli del bel paesaggio italiano può essere un esercizio di stile, non un punto da cui partire. Il paesaggio degli storici e degli archeologi è esso stesso in via di dissolvimento. Le agricolture contemporanee, e soprattutto la vitivinicoltura, oggi tecnologicamente molto aggressiva, cancellano colline, spianano pendii, modificano versanti. La scienza agronomica è stata piegata, ancor più che in passato, al profitto, cosicché le diverse monocolture di pregio (il vino prima degli altri) hanno finito con lo stravolgere i paesaggi italiani e si è arrivati a sfasciare intere colline per riplasmarle in forme ottimali dal punto di vista dei versanti, delle esposizioni al sole e delle pendenze (tutto finto). Oggi gli agronomi più avveduti e moderni sostengono che l’unica sicura salvezza può venire da un ridisegno armonico dei paesaggi agrari, che consenta una equilibrata autosufficienza ai diversi contesti. Le nuove opere urbanistiche trasformano le campagne in periferie desolate. Le proliferazioni-esondazioni urbanistiche (chiamate ‘sprawl’ dagli urbanisti) travolgono tutto e tutti. Fra poco non ci sarà più spazio per niente. I nostri paesaggi saranno un continuum indistinto di case e di capannoni. I geologi hanno raccontato e scritto, fino alla noia, che, continuando in questo modo, il meno che possa capitare è di finire tutti travolti dal fango e dalla melma. Loro hanno scritto, la natura ha dimostrato, con terrificanti esperimenti ripetuti (Toscana-Liguria-Elba-Messina), che è proprio così. Fra l’altro, la progressiva invasione degli spazi rurali, unita all’abbandono dei coltivi già esistenti, sta modificando i microclimi della piana fiorentina e della val di Cornia. Sembra quasi pazzesco anche soltanto immaginare che in posti tanto belli si possa vivere male e ci si possa ammalare ma è così. Il profitto ha vinto su tutto tanto che è ormai più facile trovare un cartone di sofficini che un kilo di sardine o di sgombri oppure dei poveri ortaggi estenuati dopo avere viaggiato dalla Puglia al Veneto, a Firenze, a Siena. Pensiamo a quale è il contributo negativo dato da questi pessimi prodotti, trasformati in merci dall’ormai diabolico sistema della grande distribuzione, all’inquinamento dell’aria e alla congestione del traffico. Non sarebbe meglio avere un’offerta alimentare più ricca e più varia, proveniente da aree più e meglio coltivate e da versanti più stabili e meglio gestiti? Si tratta di impostare un cambiamento epocale, di spessore, intensità e portata pari almeno a quelli del miracolo economico. Investire nelle risorse riproducibili dei diversi contesti invece che nelle attività immobiliari. Sussistono inquietanti problemi di governo del territorio, governo che tenga conto del bene comune dei cittadini (la salute pubblica) prima che del profitto di alcuni. Tutte le cose sono insieme. Perché, a questo punto, il cerchio comincia a chiudersi: nel bene e nel male, lo stesso filo unisce il paesaggio dei pittori settecenteschi, il paesaggio del passato ricostruito da storici e da archeologici, il paesaggio a rischio dei geologi, quello degli agronomi, quello degli urbanisti. Nel paesaggio più recente, che dovrebbe essere il nostro, noi camminiamo e noi possiamo e dobbiamo decidere se debba essere fatto per produrre benessere per tutti oppure agiatezza per pochi e malessere per i più deboli e sfortunati.
Posted on: Mon, 01 Jul 2013 16:07:11 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015