Sammartino 1500) Portopalo veglia sulle schiume che accarezzano - TopicsExpress



          

Sammartino 1500) Portopalo veglia sulle schiume che accarezzano Capopassero. Non sono schiume con voci d’oceano. E’ acqua che sbatte sulle pietre delle terre di contorno. Portopalo le asciuga mentre brucia sotto un sole infiammato dai deserti che mette sale sule ferite: questa è terra d’Africa aggrappata con le unghie all’Italia. Questa è terra di confine. E’ terra che emerge dove si incontrano i mari: lo Ionio e il Mediterraneo. E’ terra dove la notte, fradicia di onde inquiete, pare più scura che altrove. I pescatori se la portano addosso. La trattengono dentro gli occhi, la notte, quando approdano sul ciglio dell’alba con le reti gonfie di pesci e di scirocco. I pescatori si portano nel petto la notte e la fatica dei marinai. E i fantasmi delle tempeste a cui si sentono sopravvissuti. I pescatori custodiscono questi segreti nei solchi di rughe scavate sulla faccia del brontolio dei venti implacabili. Coltivate dalla noia dei giorni. I pescatori di Portopalo si raccontano il mare a sorsi generosi, nell’arsura dei pomeriggi infilati nei bar dove nascondono le vite bruciate per scampare a furiose calure. Affogano il sole nelle loro birre gelate. Tanto lo sanno che il mare li aspetta. Li aspetta sempre al solito posto. Verdazzurro di cielo nel giorno, neropece di notte. A Portopalo la vita scorre uguale. E non ha mai fretta. La scandiscono matrimoni, nascite e funerali. Quando possono, i giovani fanno le valigie per cercarsi un altrove. Perché hanno bisogno di orizzonti cangianti. Perché non desiderano ripetere il destino dei padri: destino di pescatori buttasangue. Perché hanno voglia di contare stelle diverse da altri angoli della terra. Perché non riescono più a riconoscere i loro sogni nell’acqua e hanno smesso da tempo di guardare il mare. Sammartino 1500) A Portopalo i bar si affollano la sera nell’ora precisa in cui l’aria smette di incendiare le spiagge. Si deve birra gelata per acquietare l’arsura. Per affogare il sale e la polvere del girono. Si assapora vino fresco per misurare a sorsi intensi il tempo. E, per ingannarlo, ci si asciuga la bocca lentamente col dorso del braccio. Si litiga per maniera giocando alle carte e, prima di ritirarsi, si fuma con voluttà e si sbadiglia profondo. Per catturare l’ultimo vento della notte, per farsi attraversare dall’aria che corre, per trattenere lo scirocco nelle viscere prima di arrendersi a un altro sonno. Ma, da quando sono accadute quelle cose, niente è più lo stesso. Al bar non ci si accalora più parlando di donne, di mare, di commerci, di anfore antiche strappate dalle reti ai generosi fondali. Non si discorre più delle reti ai generosi fondali. Non si discorre più della maledizione delle grandi imbarcazioni giapponesi che fanno man bassa di pesce, armate di tecnologiche diavolerie. Da qualche tempo è tutto diverso. Da qualche tempo si parla di pesche straordinarie, mai avvenute prima. Si bisbiglia di pesche maledette. Gli uomini di mare ripetono una domanda: ‘’quando finirà il maleficio?’’. E un pescatore, dopo aver succhiato lunghe sorsate da un collo di bottiglia, aggrappato come un naufrago a una seggiola sbilenca, sprofondato nella tristezza dei vapori del bar, farfuglia parole di solitudine. E racconta. Racconta, con gli occhi gonfi di lacrime e acquavite, la sua struggente avventura: Ho sentito un lamento in mezzo alle onde un lamento che ha reso più fioche le nostre lampare. Era forse il pianto della luna? O era grido di stelle? Erano angeli precipitati da lontane galassie o demoni del mare che davano sfogo a un antico dolore? O forse era solo il vento che gemeva nelle notte ululando memorie di sangue e tradimenti e il presso di ferite per un perduto amore? Ho sentito un lamento in mezzo alle onde un lamento che ha reso più fioche le nostre lampare. Sulle acque era Lui che camminava leggero o erano occhi fissi che galleggiavano e specchiavano il firmamento? ‘’C’è qualcuno che piange qui?’’ Ho gridato alla tempesta, ma la tempesta non mi rispose. ‘’C’è qualcuno che piange qui?’’ Ho gridato alla notte, ma le tenebre si inabissarono nella gobba dell’alba, ingoiate da spume d’orizzonte. Dio non trovò voce. E anche gli angeli del mare rimasero muti e se ne volarono via al primo chiarore. Era forse solo il mio pianto quello che udivo? L’ultimo grido che raggiunse il mio orecchio era rimasto impigliato insieme ai pesci e a un passaporto. Il passaporto di Anpalagan, 17 anni di speranze perdute, tamil. L’ultimo grido mi era rimasto incastrato in fondo alla rete. Poi tutto è scivolato via ingoiato dall’acqua ed è tornato silenzio. Talvolta noi pescatori che andiamo di notte per mare facciamo strani sogni Sporchi di incubi, grondanti di visioni… Ci fu una volta che ho sentito un lamento in mezzo alle onde un lamento che ha reso più fioche le nostre lampare. Non era lamento di vivi. ‘’C’è qualcuno che piange qui?’’. Domandai alla tempesta, alle stelle, alla notte, al vento e finanche agli angeli dei pescatori. E nessuno nessuno rispose. Ma Cristo già camminava sulle acque, o erano occhi che galleggiavano, e nella rete un passaporto. Il passaporto di Anpalagan, 17 anni di speranze perdute, tamil. Ma i figli dei naufragi insepolti e negati possono mai lasciar sentire il loro sospiro? Fa male all’anima il fracasso dei morti. Però talvolta noi pescatori che andiamo di notte per mare facciamo strani sogni sporchi di incubi, grondanti di visioni. E il buio si riempie di voci baldorie senza tempo. Confidai quel segreto solo alle correnti e quella volta restituii ogni cosa alla notte al silenzio del mare. Sammartino
Posted on: Wed, 24 Jul 2013 21:27:28 +0000

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