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@SeRiSo - Blog Update Agricoltura urbana e periurbana - Matteo Baldo bit.ly/15571Tz Eccoci al secondo post sull’ancor tanto attuale e discusso fenomeno dell’agricoltura urbana. A seguire si distingueranno le forme periurbane da quelle più propriamente urbane di agricoltura, per ragionare ancora, proseguendo il discorso sullo sprawling urbano, sulle compenetrazioni del rurale nell’urbano e viceversa. Per aree agricole periurbane si intendono anzitutto “quelle aree che sono prossime alla città, ma che non sono ancora campagna aperta e in cui il territorio urbano e quello agricolo si compenetrano e si uniscono in maniera non felice e non risolta”[1]. Si tratta di un territorio appartenente agli spazi della periferia e della città diffusa, dove i retaggi della cultura agricola convivono con i vecchi e nuovi tentativi di fare città[2]. L’agricoltura urbana si distingue da quella periurbana prima di tutto per il fatto di essere maggiormente integrata nel sistema ecologico ed economico urbano. Essa si appoggia sui cittadini in qualità di lavoratori, usa risorse tipicamente urbane (rifiuti organici e acque grigie), ha un rapporto diretto con i consumatori, così come un forte impatto sull’ecologia urbana, è parte del sistema di approvvigionamento di cibo, compete per i terreni insieme ad altre destinazioni e funzioni ed è influenzata da piani e politiche di sviluppo: è dunque parte integrante del sistema urbano[3]. Mentre gli antenati dell’agricoltura periurbana sono aree di carattere rurale intorno alle città, di dimensioni più importanti di quelle attuali (che dividono con incertezza un centro abitato da un altro), quelli degli orti urbani, limitandosi al contesto occidentale, sono gli Schrebergarten tedeschi o gli orti di guerra. Entrambe le forme si sono sviluppate in concomitanza con le attività industriali ed il conseguente inurbamento di grandi masse di popolazione, ma mentre i prodotti della prima erano e sono destinati ad un mercato più ampio e al profitto, rientrando all’interno di logiche imprenditoriali, quelli della seconda si limitano ad uno scambio di scala familiare, se non di quartiere, e certamente non assolvono a logiche altre che non siano appunto quelle del bilancio domestico; l’orticoltura urbana non genera plusvalore in quanto il produttore coincide quasi sempre con il consumatore[4]. Gli orti urbani rappresentano dunque uno spunto interessante per riorientare le direttrici dello sprawling precedentemente descritto, perché mentre la “città diffusa” va ad invadere lo spazio rurale mettendo in crisi l’agricoltura periurbana, l’orto urbano permette all’agricoltura di impadronirsi simultaneamente dello spazio metropolitano. Da capire se l’agricoltura urbana allora possa mettere in crisi un modo di pensare ed abitare la città o se invece abbia permesso, sin dalla sua nascita, un abitare urbano più elastico e dunque più sostenibile. [1] Intervista a Paola Santeramo, Presidente dell’Istvap (Istituto per la tutela e la valorizzazione dell’agricoltura periurbana); monzaflora.net [2] D. Perrella, Abitare il paesaggio agricolo perturbano. Esperienze a confronto, Dottorato di ricerca in Urbanistica e Pianificazione Territoriale, Università degli studi di Napoli Federico II, 2006/2007, p. 15 [3] Resource Centre on Urban Agriculture and Food Security (RUAF); ruaf.org [4] L. Riccati, L’orto in città , Tesi di Laurea in Architettura, Relatore M. Robiglio, Università degli Studi di Torino, a.a. 2008/2009
Posted on: Wed, 02 Oct 2013 21:30:13 +0000

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