Segue KARL MARX 8. Il Manifesto del partito - TopicsExpress



          

Segue KARL MARX 8. Il Manifesto del partito comunista Nellinverno tra il 1846 e il 1847 Marx redige la Miseria della filosofia, con cui prende le distanze da Proudhon, che egli accusa di aver usato lo stesso metodo astrattivo di Hegel, in quanto ha scisso ; lelemento sociale da quello economico nellanalisi della società borghese, riducendo il primo a una serie di astratti principi, a categorie sociali, e deducendo da questi i rapporti materiali. Proudhon, cosí, ha svuotato il concreto, rifugiandosi in un mondo di astrazioni, credendo che queste siano le essenze della realtà. Ma cè di piú: Proudhon ha offerto unimitazione volgare e meschina del metodo hegeliano, in quanto ha snaturato la dialettica hegeliana di quellaspetto fecondo che è la contraddizione, che sul piano storico i` è rappresentato dallantagonismo delle classi. Egli dunque non ha visto la lotta tra le classi, non ha visto nel proletariato lopposizione reale alla borghesia, e quindi non ha individuato in esso la forza che sola può produrre, con la rivoluzione, la nascita di una nuova società. Nel 47 Marx ed Engels aderirono ufficialmente alla Lega dei Giusti che, con opportune trasformazioni, assunse il nome di Lega dei Comunisti, sul cui mandato Marx compose insieme ad Engels il Manifesto del partito comunista, che fu pubblicato nel febbraio del 1848, alle soglie della rivoluzione, appunto del 48, in Francia. Il Manifesto è una sorta di summa dellelaborazione economica sociale e politica del movimento organizzato nella Lega dei Comunisti. In questopera pertanto si intrecciano motivi molteplici e di natura diversa, di cui qui, tuttavia, verranno esposti, in forma necessariamente riduttiva, i piú rilevanti e qualificanti. A differenza delle classi dominanti delle epoche pre-borghesi, che nellambito delle rispettive società costituivano la forza conservatrice dello status quo economico-sociale, la borghesia, dacché è apparsa sulla ribalta della storia, si è configurata sempre come forza rivoluzionaria; ciò per sua intrinseca necessità; infatti perseguendo la logica del profitto, che richiede una continua crescita economica, essa ha provocato sempre un continuo rinnovamento e accrescimento degli strumenti di produzione e quindi, contestualmente, il rinnovamento dei rapporti di produzione, dellintero assetto sociale e della sovrastruttura ideologica. La borghesia, insomma, nel perseguire i suoi stessi interessi materiali, è stata costretta sempre a sconsacrare, come dice Marx, ogni cosa sacra; essa è dunque, per sua natura, critica. Questo suo carattere rivoluzionario le ha consentito di produrre progressi, nella società umana, quali non si erano mai visti in millenni di storia. In un solo secolo, lultimo, ha prodotto trasformazioni che hanno cambiato laspetto del mondo a misura dei propri progetti e conformemente ai propri interessi; al punto che può dirsi che il mondo attuale sia una sua creazione. Ha sviluppato tutte le capacità creative delluomo e le sue potenzialità produttive; ha creato nuovi e sempre piú efficienti strumenti di produzione e di scambio; ha esteso e potenziato la rete e i mezzi di comunicazione; ha assoggettato la campagna alla città, ha sviluppato la vita cittadina e ha favorito, con linurbamento, lacculturazione degli ex-contadini. Inoltre essa sè diffusa su tutto il globo terrestre, rendendo cosmopoliti la produzione e il commercio; infatti elabora in un luogo materie prime provenienti da altre zone, esporta in tutto il mondo merci chessa produce in una determinata area; con la creazione di un mercato mondiale, ha incivilito nazioni barbare, ha creato uneffettiva interdipendenza tra le diverse nazioni; anzi ha abbattuto le barriere nazionali, provocando una unificazione di fatto del genere umano e universalizzando la cultura. Il suo potere rivoluzionario ha però raggiunto il culmine. Ha sviluppato a tal punto le forze produttive che esse non sadeguano piú ai vigenti rapporti di produzione. Il rapporto di proprietà che le è essenziale, e che finora le ha consentito di crescere, ora determina la sua morte progressiva. La logica del profitto, che la caratterizza, e che finora ha accresciuto la sua ricchezza, ora provoca inevitabilmente la sua rovina. Essa è chiusa in un circolo assurdo, in una condizione contraddittoria. Per ricavare profitto, deve intensificare la produzione; cosí entra però in crisi di sovrapproduzione, cioè è costretta a produrre piú di quanto il mercato esistente è capace di assorbire; esaurita la ricerca di nuovi mercati, e sfruttati piú massicciamente i mercati già esistenti, è costretta a distruggere gran parte della produzione e delle stesse forze produttive per poter sopravvivere; deve insomma distruggere ricchezza per produrre altra ricchezza; deve provocare miseria per permettere al capitale di crescere. Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta una gran parte non solo dei prodotti già ottenuti, ma anche delle forze produttive che erano già state create. Nelle crisi scoppia unepidemia sociale che in ogni altra epoca sarebbe apparsa un controsenso: lepidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra generale di sterminio sembrano averle tolto tutti i mezzi di sussistenza; lindustria, il commercio sembrano annientati, e perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. (Manifesto del partito comunista) Quelli che pagano lalto costo sociale di queste crisi sono gli operai, che sono ridotti in condizioni sempre piú accentuate di indigenza, anche perché il regime di concorrenza tra i capitalisti spinge costoro ad immettere sul mercato merci a prezzi piú bassi, e, quindi, per poter ricavare il profitto, a rendere piú intenso lo sfruttamento dei lavoratori. In tal modo la borghesia capitalista produce e alimenta la forza rivoluzionaria della classe operaia, e con ciò produce la sua stessa fine, naturalmente ed inevitabilmente. Infatti loperaio è, per il capitalista, essenzialmente forza-lavoro; e questa forza-lavoro è per lui merce da acquistare; quindi cè un mercato del lavoro in cui il prezzo della forza-lavoro è determinato dalle leggi del mercato, o più precisamente dalla legge della domanda e dellofferta; esso sabbassa a mano a mano che si amplia lofferta della forza-lavoro; sicché la concorrenza con la forza-lavoro delle donne, dei fanciulli, e dei ceti medi proletarizzati rende sempre piú basso il salario di tutti gli operai. A queste condizioni oggettive loperaio non può sottrarsi; egli è costretto a vendersi per assicurarsi i mezzi di sussistenza per sé e per la propria famiglia. Questa è la caratteristica che ne fa un proletario. Ma ai danni derivatigli dalla concorrenza della sua forza-lavoro con altra forza-lavoro sempre disponibile, alla precarietà del salario determinato dalle crisi di sovrapproduzione, al sempre piú intenso sfruttamento del suo lavoro per il regime di concorrenza tra capitalisti, gli si aggiunge anche la pena della precarietà delle sue condizioni di lavoro: egli è appendice, accessorio della macchina; la sua opera è ridotta ad atti semplici, puramente ripetitivi, estremamente parcellizzati; la sua azione produttiva è sottoposta a ritmi duri e a disciplina di tipo militaresco; insomma il suo lavoro è insieme pesante e insignificante; la sua intelligenza creativa ed operativa è costantemente mortificata. In queste condizioni la classe proletaria si presenta come classe irriducibilmente antagonista a quella dei capitalisti, come quella che sovvertirà le basi materiali della società borghese spontaneamente e irreversibilmente. Ad accentuare questo antagonismo è lo stesso ordinamento capitalistico, attraverso anche la proletarizzazione dei ceti medi, piccoli industriali, negozianti, titolari di piccole rendite, artigiani, agricoltori. Infatti il loro piccolo capitale soccombe nella concorrenza col capitale piú solido; le loro mera soccombono nella concorrenza commerciale con quelle prodotte dalla grande industria che, con` lo sfruttamento del lavoro, diminuisce il costo di produzione del prodotto, immettendolo sul mercato a prezzo inferiore. Sicché dapprima i ceti intermedi si costituiscono come piccola borghesia oscillante tra il proletariato e la grande borghesia; poi finiscono per precipitare inevitabilmente nella classe proletaria. Pertanto lordinamento capitalistico provoca due fenomeni concomitanti e connessi: da una parte, assorbe i capitali piú deboli, riduce sempre piú il numero dei capitalisti, e rende sempre piú potente la forza di dominio del capitale; dallaltra, riducendo il numero dei piccoli imprenditori, fino alla loro scomparsa, allarga sempre piú la classe proletaria, che acquista sempre piú carattere di massa, e con ciò piú potere di eversione. Quando la classe operaia sarà giunta alle condizioni di piena maturità, essa attuerà la lotta rivoluzionaria, in cui praticherà lespropriazione degli espropriatori, e instaurerà il comunismo. Marx sottolinea che i mali della società borghese capitalistica sono stati ben individuati sia dal socialismo piccolo-borghese che dal comunismo critico-utopistico; perciò essi hanno avuto il merito di aprire gli occhi alla classe proletaria. Inoltre hanno individuato obiettivi in sé buoni, come labolizione del contrasto città-campagna (Owen), leliminazione dello sfruttamento delluomo sulluomo, labolizione del contrasto uomo-macchina, linstaurazione del principio che ciascuno contribuisca secondo le sue capacità e sia compensato secondo il suo lavoro (Saint-Simon), la soppressione dello Stato come realtà che produce politica e la sua trasformazione in strumento di amministrazione e di gestione della produzione. Ma queste ideologie e questi movimenti sono affetti da mali incurabili. Il socialismo utopistico è espressione dei ceti intermedi, di quei piccoli borghesi che sono alle soglie della proletarizzazione, e che volendosi sottrarre alla loro inevitabile fine, sí contrappongono alla borghesia, ma con spirito conservatore, anzi reazionario. Non meno utopistico è, poi, il comunismo elaborato da Saint-Simon, Fourier, Owen, che, tuttavia, è espressione delle esigenze reali del proletariato. Il suo limite sta in ciò: individuato nel proletariato la classe sofferente, spinto dal desiderio di aiutarlo, si propone progetti di rigenerazione della società, delineando modelli ideali, non aderenti alla realtà e senza possibilità di attuazione. Marx, naturalmente, prospetta il suo comunismo come qualcosa di totalmente diverso. Il movimento operaio deve non sottrarsi alla lotta di classe, né attenuarla, ma esasperarla, assumendo il suo ruolo rivoluzionario al fine di impadronirsi del potere per attuare il rovesciamento dei rapporti di produzione capitalistici. Perché possa riuscire nellimpresa già sussistono le condizioni oggettive. Il capitalismo, infatti, non solo accresce la classe proletaria, ma la concentra, a grandi masse, in pochi luoghi; il che consente agli operai di contattarsi. Inoltre favorisce il sentimento di uguaglianza tra i lavoratori, sia perché li impegna in un lavoro alle macchine semplice e uguale per tutti, che annulla le differenze tra gli individui; sia perché corrisponde salari uguali per tutti, e ai limiti inferiori, cioè alle soglie della sopravvivenza, generando in tutti il senso della propria precarietà e della propria dipendenza. Ancora: questo senso di precarietà esso alimenta con le ricorrenti crisi commerciali e con le conseguenze della lotta concorrenziale tra imprenditori, che portano i proletari sempre piú vicini al limite della rottura dei rapporti di produzione. E poi, i mezzi di comunicazione, che la borghesia ha creato per i suoi interessi, consentono che anche una piccola lotta locale assuma il valore di lotta nazionale e la funzione di lotta di classe, cioè di lotta politica. Con tutto ciò, insomma, il capitalismo pone oggettivamente le condizioni dellunità del proletariato e della nascita della sua coscienza di classe. Cè bisogno dunque che maturino le condizioni soggettive perché limpresa rivoluzionaria sia portata a compimento. Infatti la borghesia fa di tutto perché il movimento operaio non si costituisca in forza politica. È necessario allora che questo passi dalla spontaneità allorganizzazione della sua azione, attraverso la creazione di un partito che promuova e favorisca la coscienza e lunità di classe, annulli le tendenze disgregatrici che la borghesia provoca nella classe, diffonda la coscienza della necessità dellazione rivoluzionaria, proponga obiettivi a breve e a lungo termine di tale azione, preveda le possibili contraddizioni e le opposizioni alla marcia verso il socialismo, insomma prepari il proletariato sia teoricamente che organizzativamente. Tale partito deve porsi come espressione organica di tutta la classe operaia, pur essendo animato e guidato dalla sua avanguardia piú cosciente, che sola può riuscire ad utilizzare ai fini rivoluzionari gli strumenti culturali (quali ad esempio la dialettica hegeliana, leconomia politica) che finora hanno sancito anche teoricamente la supremazia della borghesia, e che ora, cambiati di segno, possono diventare strumenti di una concezione veramente scientifica della storia e, nello stesso momento, strumenti capaci di dare base scientifica alla prassi rivoluzionaria. 9. Dalle società preborghesi alla società comunista Nel marzo del `48, allo scoppio della rivoluzione in Francia, Marx corre a Parigi, che però abbandonerà presto, per recarsi quando gli eventi rivoluzionari si estendono anche in Germania - a Colonia. Qui fonda la Nuova Gazzetta Renana, che tuttavia resta in vita per un solo anno; infatti viene soppressa nel `49, nellondata restauratrice che sabbatte su tutta lEuropa. Espulso quindi dalla Germania, Marx torna per brevissimo tempo in Francia, per poi trasferirsi definitivamente a Londra, dove, nel 1850, pubblica, su una rivista da lui stesso fondata, alcuni studi sul significato degli eventi del `48; studi che verranno poi riuniti in volume col titolo Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Frattanto si dedica pure alla fondazione della Società Universale dei Comunisti, il cui scopo è, naturalmente, lattuazione del comunismo; ma poiché in essa vengono presto alla luce dissidi tra lala marxiana e quella blanquista, che scalpitava per lorganizzazione a breve termine di concrete azioni rivoluzionarie, Marx, dopo poco tempo, fa in modo da scioglierla di fatto. Quindi si ritira dallimpegno politico attivo e si dedica al lavoro, scarsamente redditizio, presso il British Museum. Ma non attenua il suo lavoro intellettuale; infatti pubblica nel 1852, su un giornale di New York, alcuni articoli sul colpo di stato bonapartista dellanno precedente; articoli che, insieme, costituiranno lopera Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte. Dal 1857 al 1859 scrive i Lineamenti fondamentali della critica delleconomia politica, che passano ormai, per consolidata consuetudine, col nome abbreviato di Grundrisse. Questopera contiene i temi di fondo che Marx svilupperà nel Capitale; su di essi, pertanto, non ci soffermeremo ora. Qui conviene piuttosto centrare lattenzione sul disegno dello sviluppo storico della società umana, che Marx presenta come il succedersi necessario di tre stadi che sono luno opposto radicalmente allaltro per i suoi caratteri fondamentali, e che sono tuttavia connessi dialetticamente. Ognuno non presenta un carattere monolitico, omogeneo, ma è caratterizzato da un movimento interno che lo trasforma nello stadio successivo. Schematizzando si può dire che Marx, riprendendo echi hegeliani, distingue un primo stadio, quello delle società pre-borghesi, caratterizzato originariamente dallunità delluomo con la natura e con gli altri uomini; un secondo, quello delle società borghesi in cui quellunità immediata si scinde; e un terzo, ancora inesistente - ma che necessariamente sattuerà -, in cui quellunità verrà ricostituita in forma piú ricca e piú complessa, cioè a un grado piú alto, nella società comunista. Si diceva che Marx non presenta questi momenti come omogenei in sé. Infatti egli distingue, nel primo stadio, tre forme di produzione particolari. La prima forma è quella del comunismo primitivo, in cui lumanità passa dalla appropriazione diretta dei beni di sussistenza alla appropriazione collettiva, perché lindividuo si identifica con una comunità costituita da una collettività fondata su un vincolo naturale, di sangue (famiglia, poi tribú, poi unione fra tribú), con una comunità non organizzata in stato perché non sussiste divisione del lavoro e quindi non cè divisione tra le classi. La seconda forma insorge quando nasce lesigenza dello scambio dei prodotti: essa sarticola in una variante asiatica, che è la piú vicina a quella delle comunità naturali, in cui la proprietà è ancora comune e la collettività è autosufficiente, in una variante antico- classica (greco-romana) in cui, accanto alla proprietà di stato si presenta la proprietà privata dei mezzi di produzione, a cominciare dalla terra stessa, e in una variante germanica, in cui non cè una vera società, perché sussistono varie tribú distanziate localmente fra loro, unite dallaccordo tra i loro capi; e in ogni tribú la proprietà è del capo, a cui spetta il compito della divisione del lavoro. La terza forma, quella feudale, è costituita da una società agricola in cui lunità economica è il feudo guidato da un signore che detiene la proprietà privata della terra e gestisce il potere politico in quanto rappresenta lo stato, e in cui domina la condizione della servitú della gleba come condizione giuridica ed economica degli addetti al lavoro agricolo-artigianale. Si verifica cosí allinterno dello stadio pre-feudale un cammino dalla produzione di semplici valori duso a quella di valori di scambio; dal rapporto immediato delluomo con la natura, o meglio con la terra e con gli attrezzi del lavoro, al rapporto mediato dai detentori della proprietà privata dei mezzi di produzione; dal rapporto immediato e naturale del singolo con gli altri uomini, allo smembramento della comunità. Questo cammino sfocia dunque nel secondo stadio in cui quelle scissioni, anticipate nelle società pre-borghesi, diventano caratteri distintivi della società borghese, anche se raggiungono il loro acme nella società borghese moderna, per essere poi annullate, negate, attraverso la lotta di classe tra proletariato e capitalisti, fino alla instaurazione della società comunista, nel terzo stadio, in cui viene ricostituita lunità uomo-natura e quella uomo-uomo. Contemporaneamente ai Grundrisse Marx scrisse, nel 1857, lIntroduzione alla Critica delleconomia politica. In essa Marx assimila gli economisti classici ad Hegel. Essi commettono lo stesso errore: trascendono le condizioni empiriche della produzione, cioè quelle condizioni che fanno sí che la produzione borghese, ad esempio, sia diversa da quella feudale; estrapolano un modello astratto di produzione, che contiene quei caratteri comuni sia alla produzione borghese che a quella feudale (produzione come appropriazione della natura attraverso strumenti di lavoro); indicano quel modello come lessenza della produzione in epoca borghese, dando un corpo alla loro astrazione; concludono che la produzione borghese è la produzione, qualcosa di eterno, immutabile, indipendente dallevoluzione storica, e che le sue leggi sono leggi oggettive, naturali, universali, immodificabili. Con ciò pongono la produzione e luomo che produce fuori della società e fuori della storia. Evidentemente, si deve, per Marx, capovolgere questo metodo, che comporta altre gravi conseguenze e distorsioni. Infatti - è questo laltro tema di rilievo dellIntroduzione del 57 - gli economisti classici distinguono arbitrariamente la produzione, che produce oggetti adeguati ai bisogni, e che è retta da leggi eterne, dalla distribuzione, che invece è guidata dalle leggi proprie di una specifica società, che sola determina il grado di partecipazione del singolo allutilizzazione dei prodotti. Quindi per loro la distribuzione, a differenza della produzione, è modificabile, e si modifica effettivamente lungo il corso della storia. Inoltre essi distinguono ancora lo scambio, con cui si attua la redistribuzione dei beni in relazione ai bisogni individuali, e il consumo, che è il momento in cui lindividuo gode effettivamente del bene prodotto. Per gli economisti classici questi quattro elementi della vita economica sono non solo distinti logicamente, ma separati realmente. Ed è qui, secondo Marx, il loro errore. Questa separazione è artificiosa. E dopo aver criticato analiticamente quella separazione, esponendo dettagliatamente le ragioni per le quali egli la giudica artificiosa, Marx conclude: il risultato al quale perveniamo non è che produzione, distribuzione, scambio, consumo, siano identici, ma che essi rappresentino i membri di una totalità, differenze di una unità. Una produzione determinata determina quindi un consumo, una distribuzione, uno scambio determinati, nonché i determinati rapporti tra questi diversi momenti. 10. Merce, valore, lavoro Dopo aver pubblicato, nel 1859, lopera Per la critica delleconomia politica, Marx, nel 1861, fece un viaggio in Europa, durante il quale incontrò Ferdinand Lassalle (1825-1864), un agitatore socialista che rivendicava suffragio universale, diritti delluomo, legislazione diretta, ecc. Ma i rapporti con lui si ruppero appena un anno dopo. Nel 1862-3 Marx compose poi Teorie sul plusvalore, e nel 1864 contribuí alla fondazione dellAssociazione Internazionale dei lavoratori, di cui redasse gli Statuti. Nel 1866 si dedicò alla stesura del I libro del Capitale; di questopera il II e il III libro non videro mai la luce durante lesistenza del suo autore, e furono pubblicati postumi, rispettivamente nel 1885 e nel 1895, a cura di Engels. Considerato nel suo insieme Il Capitale è unopera complessa, riccamente articolata. Ci soffermeremo allora solo su alcuni suoi temi di fondo, premettendo che ogni sua presentazione sintetica non può se non essere riduttiva. Marx dà inizio al suo discorso sul modo capitalistico di produzione e sui corrispondenti rapporti di produzione e di scambio con lanalisi della merce, che, comegli dice, appare come la forma elementare della ricchezza nelle società borghesi. Quando i membri di unazienda rustica a dimensione familiare producono beni in relazione ai loro bisogni e destinati quindi ad esser da loro stessi consumati, questi prodotti non sono merci. Essi acquistano invece forma di merce solo quando siano destinati allo scambio con altri prodotti. Dunque la merce ha in comune con il prodotto di quellazienda rustica il fatto chessa è un valore duso, cioè è un oggetto esterno che per le sue proprietà fisiche, ossia per le qualità inerenti al suo stesso corpo, ha la capacità di soddisfare, quando lo si consuma, bisogni umani di qualunque specie, siano essi naturali, o anche spirituali. Ma ciò che caratterizza un prodotto come merce è il fatto che il suo corpo è depositario anche di un altro valore che ne permette la scambiabilità, in determinate quantità, con altre quantità definite di altri prodotti; è depositario cioè di un valore di scambio. Dunque una determinata merce ha insieme un valore duso, in relazione alla sua qualità, e un valore di scambio, in relazione alla sua quantità; il primo sussiste rispetto al consumo, il secondo rispetto allo scambio. Ad esempio se un uomo possiede ferro ed ha bisogno di grano, il valore duso del ferro non può soddisfare il bisogno di grano; egli può tuttavia scambiare il ferro col grano di un altro. Detto per inciso, lo scambio avviene sempre e necessariamente tra valori duso diversi tra loro, cioè tra merci che hanno proprietà specifiche e differenti fra loro (che senso, infatti, avrebbe scambiare grano con grano?). Ma su quale base avviene lo scambio? Non su quella della qualità, ma su quella della quantità; infatti la diversità dei valori duso di ferro e grano costituiscono solo la motivazione dello scambio, ma non sono le qualità del ferro e del grano che determinano quanto ferro bisogna cedere per avere una certa quantità di grano. Comunque su questo punto torneremo tra breve. Sta di fatto che due merci sono permutabili solo ponendo tra loro un rapporto quantitativo, che prescinde dalle loro intrinseche qualità; ossia ponendo un rapporto tra i loro valori di scambio. Per avere un quarter di grano, dunque, bisogna cedere mezza tonnellata di ferro, perché a livello di mercato, mezza tonnellata di ferro vale quanto un quarter di grano. Detto in altro modo, mezza tonnellata di ferro ha uguale valore (naturalmente, di scambio) di un quarter di grano; o meglio ancora, queste due diverse quantità di merci hanno uguale valore, per cui esse sono equivalenti. Questo rapporto quantitativo tra merci, tuttavia, muta in continuazione coi tempi e coi luoghi. Può accadere infatti che in altre circostanze, per avere un quarter di grano, bisogna cedere non piú mezza, ma una tonnellata di ferro. Il che significa che il valore incorporato nella singola merce - in questo caso, nel grano - è relativo e non fisso. Inoltre, il rapporto quantitativo tra merci varia a seconda del tipo di merce. Infatti si può scambiare mezza tonnellata di ferro con dieci libbre di thè; ma con la stessa quantità di ferro si possono ottenere ben quaranta libbre di caffe. In ogni caso, è caratteristica del mercato che una stessa quantità di merce può essere scambiata con determinate quantità - diverse da caso a caso - di qualsiasi altra merce. Cioè, ad esempio, in un determinato tempo e in un determinato luogo, si può permutare mezza tonnellata di ferro, oltre che con dieci libbre di thè, anche con un abito o con due once doro, o con venti braccia di tela, e cosí via. Il che allora significa che ognuna di queste merci, nelle quantità indicate, è scambiabile con una qualsiasi altra; infatti, in quanto valori di scambio, si possono sostituire luna allaltra, perché la grandezza dei loro valori è identica. Ma perché in determinate circostanze di tempo e di luogo, una certa quantità x di grano è scambiabile con una certa quantità y di ferro, e la quantità y di ferro è permutabile con la quantità z di oro? Che cosa hanno in comune queste tre quantità di merci per cui esse hanno uguale valore e quindi sono scambiabili? Ovvero, in altri termini, che cosa determina il loro valore di scambio, per il quale x grano vale y ferro? Marx risponde: la stessa quantità di lavoro impiegato per produrle e in esse cristallizzato. Qui evidentemente non si tratta di lavoro determinato, ad esempio quello del sarto o del contadino, o del minatore, o del fabbro. Come il valore di scambio delle merci non è determinato dalle sue intrinseche qualità, cosí non è determinato dalla qualità o dal tipo di lavoro. Una merce, in quanto valore di scambio, è permutabile con unaltra merce perché entrambe incorporano, nelle rispettive quantità, uguale lavoro indistinto, lavoro inteso semplicemente come dispendio di energia, lavoro in quanto tale, lavoro astratto. Dunque la grandezza di valore di una merce è determinata dalla quantità di lavoro astratto in essa materializzato. Per misurare la grandezza di valore bisogna allora misurare la quantità di lavoro. Come? Misurando, dice Marx, il tempo di lavoro impiegato per produrre quella merce, attraverso determinate frazioni di tempo, come lora, il giorno, ecc Sicché si può dire: a) tutte le merci, come valori, sono solo misure determinate di tempo di lavoro congelato, b) lequivalenza delle merci - cioè luguaglianza del loro valore - è data dalluguaglianza del tempo di lavoro astratto impiegato nel produrle. E non vale, osserva Marx, lobiezione che allora la singola merce prodotta da un operaio piú lento o piú pigro ha maggiore valore della stessa merce prodotta da un lavoratore piú svelto o piú solerte. Il valore di scambio è determinato dalla quantità di lavoro astratto, astratto anche dal tempo particolare impiegato dal singolo operaio; ossia è dato dalla quantità di lavoro socialmente necessario per produrre quella merce; o, in altri termini, dal tempo medio che occorre ad un operaio di media abilità per produrla nelle normali condizioni ambientali, sociali e produttive; cioè dal tempo medio impiegato relativamente al grado di sviluppo tecnologico dellattività produttiva, alla efficacia dei mezzi di produzione, alle abituali condizioni naturali del luogo in cui si produce, e al livello di organizzazione della società in cui il lavoro viene effettuato. Ma perché possa aver luogo effettivamente lo scambio, bisogna chesso avvenga attraverso la moneta. Infatti, comè possibile ottenere, ad esempio, cinque libbre di thè se il suo valore di scambio è solo una parte del valore dellabito che io posso cedere per ottenere quello di cui io ho bisogno? Per superare inconvenienti di tal genere, lattività di mercato, nelle condizioni evolute, avviene, appunto, attraverso la moneta. Che cosè la moneta? Sappiamo che è possibile stabilire lequivalenza tra valori di scambio di merci diverse. Dunque si può assumere anche una di quelle merci come equivalente universale di tutte le altre merci, e come misura per determinare la grandezza dei valori di scambio di tutte le altre merci. Questa merce particolare allora svolgerà il ruolo di moneta; ma deve avere dei requisiti specifici perché possa compiere tale funzione; cioè, ad esempio, deve avere molto valore in piccolo corpo, devessere divisibile anche in quantità piccolissime, ecc. Storicamente si sono affermati come moneta i metalli preziosi: in particolare loro. Dunque, loro è, insieme, una merce particolare, col suo valore duso e il suo valore di scambio (in quanto incorpora pur sempre forza-lavoro per produrlo), ed è una merce universale, che rappresenta la forma comune di valore di tutte le merci; e, daltra parte, tutte le merci, nelle loro definite quantità, rappresentano nello scambio una determinata quantità doro. Sia oro o argento, in ogni caso la moneta è merce. E reciprocamente, ogni merce è moneta; o meglio, a livello di mercato, assume forma di moneta. Quindi la moneta è lequivalente universale delle merci, e le merci sono gli equivalenti particolari della moneta. 11. Plus-lavoro e plus-valore Che cosa avviene, allora, nello scambio? Una metamorfosi della merce. Seguiamo, dice Marx, un tessitore di lino sul teatro del processo di scambio, cioè nel mercato delle merci; egli possiede venti braccia di tela che valgono due sterline; le vende e ottiene le sue due sterline; ma, da uomo di vecchio stampo, permuta di nuovo le due sterline, acquistando una Bibbia di ugual prezzo. Dunque la tela, la sua merce, depositaria di valore, viene ceduta in cambio delle due sterline doro, che sono la figura di valore della tela; poi cede questa figura di valore in cambio di una Bibbia che viene acquistata dal tessitore per soddisfare i bisogni di elevazione spirituale della sua famiglia. Dunque, osserva Marx, in questo processo si sono verificate due metamorfosi opposte che si integrano a vicenda: trasformazione della merce in denaro, e ritrasformazione del denaro in merce. La formula è M-D-M, dove M-D rappresenta la vendita e D-M rappresenta lacquisto. Lo scambio delle merci, secondo questa formula, è sintetizzabile, nella sua totalità, con lespressione: vendere per acquistare. In esso il valore iniziale (venti braccia di tela = M) è uguale al valore finale (Bibbia = M); solo che la merce acquistata (Bibbia) ha diversa utilità rispetto a quella venduta; detto in modo diverso, alla fine del processo, il tessitore, cioè, ha una merce di ugual valore di scambio, ma di diverso valore duso. Contestualmente alla circolazione delle merci si verifica anche la circolazione del denaro, la cui formula è D-M-D; anche qui cè lacquisto (D-M) e la vendita (M-D), solo che ora lacquisto precede la vendita; il processo tuttintero è pertanto sintetizzabile con lespressione acquistare per vendere. Lo scopo di questa doppia trasformazione, ora, è non, come nel caso precedente, un valore d uso, ma il denaro; infatti il denaro iniziale si trasforma in merce, con lacquisto, per ritrasformarsi in denaro, con la vendita. Ma mentre colui che possiede merce la vende per acquistare un oggetto duso di uguale valore (M = M), colui che possiede denaro compirebbe azione insensata se comprasse merce che, venduta, gli procurerebbe la stessa quantità di denaro (D = D). Perché la circolazione del denaro costituisca un affare, il denaro acquisito alla fine del processo deve essere maggiore di quello detenuto al suo inizio. Dunque, dice Marx, la forma compiuta di questo processo è perciò D-M-D, in cui D = D +[[Delta]]D; dove [[Delta]]D rappresenta un incremento, uneccedenza rispetto al valore iniziale, cioè un plus-valore. Sicché il valore originariamente anticipato non solo si mantiene nella circolazione, ma in essa aumenta pure la sua grandezza di valore, aggiunge un plus-valore, cioè si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale. È evidente che colui che investe il suo denaro, mettendolo a rischio, non mira semplicemente ad avere maggiore quantità di denaro con cui acquistare un valore duso; egli mira piuttosto a reinvestire il capitale perché produca un maggiore e ulteriore plus-valore: il movimento acquistare per vendere, dice Marx, è un movimento senza fine. Il possessore di 100 lire sterline acquista cotone che, venduto, gli procura 100 + 10 lire sterline; egli reinvestirà questo capitale di 110 lire sterline, acquistando magari ancora cotone, perché gli produca 110 + 15 sterline. E cosí via. Lo scopo del denaro come capitale è infatti quello di crescere infinitamente su se stesso, quello di valorizzarsi continuamente; è acquistare per vendere indefinitamente. Ma, nota Marx, il movimento D-M-D sembra essere la forma propria soltanto di una specie di capitale, del capitale commerciale. In realtà, egli fa notare, pure il capitale industriale è denaro che si trasforma in merce e che, a seguito della vendita di questultima, si riconverte in maggior denaro. Dunque - egli conclude - in pratica D-M-D è la formula generale del capitale. Donde nasce allora il plus-valore nella produzione industriale? Con una parte del suo denaro il capitalista acquista materie prime e strumenti di produzione (fattori oggettivi della produzione) in cui il suo denaro sta come capitale costante, perché esso non saccresce in valore nel processo produttivo; con laltra acquista forza-lavoro (fattore soggettivo della produzione), che rappresenta il suo capitale variabile, in quanto è proprio questo lelemento che nellattività produttiva produce eccedenza di valore: infatti nella merce chesso produce, riproduce se stesso e, in piú, dà plus-valore. Ma come? Poniamo che nelle condizioni medie di produzione la forza-lavoro di un operaio può essere impiegata per dodici ore giornaliere; il capitalista lacquista per il suo valore duso, cioè per utilizzarla tutta. Tuttavia la paga secondo il suo valore di scambio; questo corrisponde a sei ore di lavoro: infatti basta il salario percepito per sei ore di lavoro perché loperaio acquisti quei mezzi di sussistenza che gli consentono di riprodurre la sua energia lavorativa. Dunque il capitalista corrisponde il salario per sei ore. Le altre sei ore lavorate dalloperaio, e per le quali egli non percepisce salario, costituiscono per lui un plus-lavoro, e per il capitalista la fonte del plus-valore. Infatti, la merce prodotta in un giorno dalloperaio conterrà incorporato in sé - oltre al valore della materia prima e a quello corrispondente al consumo dei mezzi di produzione - il valore delle prime sei ore di lavoro, regolarmente retribuite, e un plus-valore corrispondente alle altre sei ore non retribuite. Quindi il capitale sè accresciuto, perché quando la merce sarà venduta, il capitalista avrà recuperato il capitale investito, e si troverà in tasca il plus-valore, che, rileva Marx, è il frutto dello sfruttamento delloperaio. Il capitale industriale, come quello commerciale, ha però esigenza di crescere ancora; il capitalista induce perciò il lavoratore a produrre ulteriore plus-valore. Come? Dilatando la giornata lavorativa, ad esempio, fino a quattordici ore; e - per dir cosí - ciò è nel suo diritto, perché ha acquistato la forza-lavoro giornaliera delloperaio. Ricaverà in tal caso altro plus-valore corrispondente alle altre due ore di plus-lavoro. Ma tale dilatazione ha un limite che, per quanto variabile, è invalicabile; cioè oltre un certo numero t di ore di lavoro, la forza-lavoro diventa scarsamente produttiva e, inoltre, loperaio, nel tempo di riposo, non riesce a riprodurre lenergia lavorativa per il giorno seguente. Sembrerebbe allora che giunti a quel limite, non sia possibile ricavare altro plus-valore. Ma osserva Marx - non è possibile ricavare piú plus-valore assoluto. Ma il capitalista sindustria dottenere plus-valore relativo. Egli cioè fa in modo da retribuire il lavoro delloperaio non per sei ore ma per cinque. Ma non semplicemente con una riduzione arbitraria del salario, che sarebbe un cattivo affare per il capitalista, in quanto un salario piú basso non permetterebbe alloperaio di reintegrare completamente quella forza-lavoro che egli deve impiegare il giorno seguente. Bisogna, insomma, che il salario minore sia sempre equivalente al valore di scambio della forza-lavoro; allora bisogna fare in modo da diminuire quel valore di scambio; cioè bisogna che alla forza-lavoro basti il salario di cinque ore di lavoro perché si riproduca; ciò è ottenibile diminuendo i prezzi dei mezzi di sussistenza. Sicché la diminuzione del prezzo delle merci legittima quella del tempo necessario di lavoro perché la forza-lavoro si riproduca; e la riduzione di tale tempo necessario legittima la diminuzione del salario. Pertanto il valore di quellora di lavoro non piú necessaria alloperaio è ulteriore plus-lavoro che frutta al capitalista il plus-valore relativo. In tal modo risulta ingrandito il saggio del plus-valore, cioè il rapporto tra plus-valore e capitale variabile, che poi altro non è che il rapporto tra plus-lavoro e lavoro necessario (altra cosa è il saggio di profitto, che, invece, è il rapporto tra il plus-valore e lintero capitale investito). Ma comè possibile abbassare il prezzo delle merci? Aumentando la produttività e quindi la produzione. Ad esempio, introducendo strumenti di lavorazione piú efficaci, perché piú differenziati e piú specialistici. Sicché con strumenti piú adatti e adeguati alle diverse fasi della lavorazione, lo stesso lavoratore, nello stesso tempo di lavoro, produce una quantità maggiore di merce (è piú produttivo). Poiché la quantità maggiore di merci prodotta in un solo giorno ha un costo di produzione uguale a quello che precedentemente aveva una quantità minore di merci lavorate con i vecchi arnesi, allora ogni singola unità di merce avrà costo di produzione minore; pertanto è possibile abbassarne il prezzo; cosí il costo della vita sarà inferiore per loperaio, e ciò consentirà al capitalista la riduzione del suo salario e lappropriazione del plus-valore relativo. 12. La divisione del lavoro e la grande industria Ma lesigenza del capitalista è quella di produrre ancora plus-valore. Bisogna incrementare ancora la produttività. Egli allora organizza in modo nuovo il lavoro dei suoi operai, introducendo la cooperazione, con cui la produzione capitalistica - nota Marx - entra nella sua fase matura. Con essa nasce la manifattura, cioè un organismo produttivo in cui ogni singolo operaio è addetto ad una singola fase dellintero ciclo produttivo della merce. La manifattura nasce unificando e coordinando nello stesso luogo il lavoro che prima diversi operai compivano, secondo il loro mestiere artigianale, in modo separato e indipendente, oppure dividendo in momenti distinti lunico processo di lavorazione effettuato, prima. da ogni singolo operaio. Nella manifattura, dunque, domina la divisione del lavoro; ogni lavoratore compie unoperazione elementare; tecnicamente semplice, e solo quella. Però la cooperazione moltiplica la forza produttiva dei singoli operai; infatti, ad esempio, tempi di produzione di una merce vengono depurati da tutti glintervalli improduttivi, necessari quando lintero processo lavorativo era compiuto da un singolo operaio; pertanto la forza-lavoro viene utilizzata in modo piú intensivo. Ciò consente, evidentemente, di generare altro margine di plus-lavoro e quindi nuovo plus-valore relativo. Infatti alla fine della giornata il capitalista troverà prodotte, col lavoro cooperativo, piú merci di quante ne otteneva prima senza cooperazione, con lo stesso numero di lavoratori; il che significa che la cooperazione ha potenziato la singola forza-lavoro, chè divenuta piú produttiva; tuttavia egli non retribuisce quella forza-lavoro in modo adeguato alla sua capacità produttiva incrementata attraverso la cooperazione; il che vuol dire che la merce ha inferiore costo di produzione perché essa incorpora maggiore plus-lavoro. Sicché il capitalista mette sul mercato le merci a prezzo inferiore, legittimando cosí la riduzione del tempo necessario di lavoro e quindi quella del salario; operazione con cui egli intasca ulteriore plus-valore relativo. Marx si sofferma sulle condizioni di lavoro degli operai nella manifattura. Essi devono eseguire un lavoro piú intenso, soggetto a controllo rigoroso, per evitare pause improduttive; inoltre il loro lavoro è semplice, ripetitivo, per nulla inventivo, e quindi poco soddisfacente. Peraltro, con la divisione del lavoro, non viene diviso solo il ciclo produttivo, ma anche il lavoratore stesso, il quale deve scindere in sé la limitata abilità richiestagli da tutto il resto della sua umanità, cioè dalle sue antiche competenze, dalle sue disposizioni naturali, dalla sua intelligenza, dalla sua immaginazione; col che egli, degradato nella sua personalità, finisce col dipendere sempre piú strettamente dai voleri e dagli obiettivi del capitalista. Ma lavanzata del capitale procede ancora oltre. Bisogna generare ulteriore plus-valore aumentando ancora la produttività. Sicché Lindustri; la manifattura si trasforma in industria meccanizzata con lintroduzione, nel ciclo di lavorazione, delle macchine, che sostituiscono sempre piú il dispendio di energia fisica e i vecchi arnesi di lavoro. Con esse aumenta notevolmente la quantità di merce prodotta nello stesso tempo con lo stesso numero di operai; perciò le merci saranno poste sul mercato a prezzo ancora inferiore. Ma il lavoratore subisce unulteriore degradazione; egli è solo un mezzo per far funzionare le macchine: è un loro servo; svalorizza la sua forza-lavoro fino allestremo limite; anche il suo salario raggiunge i limiti minimi, mentre è massimo il plus-lavoro ed è massimo quindi il plus-valore. Anche le operazioni da svolgere sono ridotte ad estrema semplicità, il che, unito al livello minimo dei salari, genera limmissione, nel processo di produzione, anche della forza-lavoro delle donne e dei bambini, in concorrenza con quella degli uomini Infatti il salario percepito precedentemente dal capo famiglia, che prima copriva lesigenza dellintera famiglia, ora, ridotto al minimo, non basta piú; richiede dessere integrato da quello degli altri membri della stessa famiglia. Cosí si allarga il numero dei lavoratori e con ciò s allarga lo sfruttamento del lavoro, sincrementa ulteriormente il plusvalore, e si amplia e sintensifica il dominio sociale del capitale. Inoltre la logica delluso capitalistico delle macchine, che è quella di rendere piú produttiva la stessa quantità di forza-lavoro, comporta la progressiva intensificazione del lavoro sia mediante laumento della velocità dei macchinari, sia mediante lampliamento del volume del macchinario posto sotto il controllo del singolo operaio. Sicché si configura un rapporto inevitabilmente conflittuale fra lavoratore e macchina, che è forma particolare del conflitto tra lavoratore e capitale. In ogni caso, con le macchine, lattività produttiva giunge al suo acme. Peraltro non convivono piú industrie e manifatture, perché i prezzi delle merci manifatturiere non possono esser competitivi con quelli delle merci industriali. Sembra, questa, una condizione paradisiaca per il capitalista. Ma in realtà il perseguimento del profitto genera un regime di concorrenza tra capitalisti per conquistare i mercati, inondati ormai di merci. Per fronteggiare questa concorrenza si impone il rinnovamento tecnologico delle macchine; il che comporta una perdita temporanea per il capitalista che sostituisce il vecchio macchinario senza averlo utilizzato per tutto il tempo possibile. Inoltre lacquisto di nuovo macchinario piú efficace, cioè capace di sostituire il piú possibile la forza-lavoro umana muta la composizione organica del capitale investito; infatti il capitale costante aumenta, quello variabile diminuisce; e poiché quello variabile produce immediatamente plusvalore, la sua riduzione provoca la caduta temporanea del livello del profitto. E poiché è necessità insita al regime capitalistico aumentare di continuo il capitale costante rispetto a quello variabile, Marx parla di una caduta tendenziale del saggio di profitto, cioè del rapporto tra plusvalore e tutto il capitale investito. Tuttavia il capitalista recupera presto questo svantaggio, facendo emigrare i propri capitali in zone ove i saggi di profitto sono piú vantaggiosi e, soprattutto, intensificando, proprio attraverso i nuovi macchinari, lo sfruttamento del lavoro del numero, ridotto forzosamente, degli operai occupati. Con lincremento della produttività, aumenta la produzione globale di tutte le merci, che ormai saturano i mercati; i loro prezzi sono al minimo, ma non ci sono piú compratori; si è giunti cioè ad una fase in cui lanarchia della produzione ha prodotto la crisi di sovrapproduzione, che comporta la necessità di operare una drastica riduzione del numero dei lavoratori attivi, perché si diminuisca la quantità di merci prodotte. Il capitale sembra in crisi, ma non muore; anzi esso risorge piú forte in virtú della stessa crisi. Lalternarsi di fasi critiche con fasi di ripresa - le fluttuazioni cicliche - è una costante dellassetto capitalistico industriale. Nel regime di concorrenza le industrie piú deboli chiudono i battenti o falliscono; il loro capitale viene fagocitato da quello piú solido, che quindi, proprio con la crisi, si irrobustisce e giunge a un livello maggiore di prosperità. Insomma si verifica un processo caratterizzato dalla progressiva concentrazione dei capitali (e del loro potere sociale) attraverso la progressiva concentrazione delle imprese (le piú deboli infatti vengono acquisite dalle piú forti), le quali diminuiscono di numero, ma si estendono in grandezza; il che favorisce lincremento della loro capacità produttiva e quindi assicura la produzione di ulteriore plusvalore. Contestualmente, in virtú delladeguamento tecnologico delle macchine, e per far fronte alla caduta del saggio di profitto, di cui già abbiamo parlato, sallarga larea dellesercito industriale di riserva, cioè il numero dei lavoratori disoccupati a cui i capitalisti possono attingere forza-lavoro nel momento della ripresa produttiva; è un esercito che cresce sempre piú nella misura in cui, nella fase di incremento produttivo, i capitalisti introducono macchine piú perfezionate che sostituiscono sempre piú il lavoro muscolare dei lavoratori. Questo esercito svolge un doppio ruolo: nei momenti di crescita economica, in cui cè maggior bisogno di forza-lavoro, con la concorrenza chesso esercita rispetto ai lavoratori occupati, ne frena lascesa salariale; nei momenti di stagnazione economica, la stessa concorrenza chesso esercita ne frena le rivendicazioni. Quindi anche quando i salari dei lavoratori occupati son piú alti in senso assoluto (ma in realtà son cresciuti in modo piú contenuto rispetto al plusvalore prodotto), non si ferma il fenomeno della miseria crescente della società; quanto piú lindustria si attrezza per lincremento produttivo, con lintroduzione di nuove macchine, tanto piú si diffonde la miseria nella società; e non solo nel senso che aumenta il numero dei disoccupati, ma anche in quello che i salari, per quanto incrementati, non corrispondono allaumento del costo della vita determinato, nelle fasi crescenti dellattività economica, dallinnalzamento dei prezzi delle merci, divenute piú scarse sul mercato, per la riduzione produttiva conseguente alla crisi di sovrapproduzione. A questo punto non seguiremo piú il discorso di Marx. Ricorderemo solo che la miseria crescente della classe operaia porta alla polarizzazione della società in due classi antagoniste; per cui si acuiscono le contraddizioni della società borghese finché non si verifica lespropriazione degli espropriatori, che non è un ideale etico delle masse, ma il risultato oggettivamente necessario dello sviluppo interno della società capitalista. 13. La collaborazione con Engels Dopo il 1866 Marx, oltre a redigere scritti minori, tra i quali è da segnalare La guerra civile in Francia - in cui analizza lesperienza della Comune di Parigi -, fu impegnato a fronteggiare lopposizione che nellInternazionale gli veniva mossa contro dallanarchico Bakunin; opposizione che divenne cosí accentuata che Marx, col trasferimento della sede dellAssociazione a New York, ne decretò lo scioglimento di fatto. Contro Bakunin tuttavia compose gli Appunti sul libro di Bakunin Stato e anarchia, in cui svolse in modo agile unaspra critica delle tesi dellanarchico. E quando, poi, fu indetto un congresso per sancire lunificazione dei lassalliani con il movimento capeggiato da Bebel e Liebknecht, egli pubblicò la Critica al programma di Gotha, in cui appunto criticava il programma sulla base del quale doveva avvenire quellunificazione. Infine, nel 1883, alletà di 65 anni, chiuse la sua feconda esistenza terrena. Nella Critica al programma di Gotha Marx parla della società dellavvenire. Invero già nel 18 brumaio egli aveva indicato come fine della lotta di classe non già lappropriazione dello Stato borghese, bensí la distruzione delle sue interne articolazioni; questo però era per lui un fine di lungo termine, perché egli prevedeva tempi lunghi di lotta, in cui il passaggio alla meta finale della società comunista doveva compiersi attraverso la dittatura del proletariato sulla borghesia e lattuazione del socialismo, che dovevano depurare la mente degli uomini dalla convinzione della ineluttabilità della proprietà privata, del privilegio, del parlamentarismo e cosí via. Ma quale organizzazione avrebbe avuto la società comunista? Marx è restio a prescrivere ricette per losteria dellavvenire, per non cadere nella prospettiva utopistica. Le indicazioni che egli offre sono quindi indicazioni di massima. La società futura sarà senza classi, senza divisione del lavoro, e quindi senza sfruttamento delluomo sulluomo; e senza stato, perché lorganizzazione statale ha senso solo quando è espressione del dominio di una classe sullaltra, e non lo ha quando sono scomparse le classi. Si tratta dunque di una società in cui vige luguaglianza reale tra gli uomini. Dice Marx, nella Critica al programma di Gotha: In una fase piú elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto fra lavoro intellettuale e fisico, dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora langusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni. (Critica al programma di Gotha) Collaboratore di Marx, Friedrich Engels (1820-1895), oltre a vari saggi giovanili, pubblicò, nel 1878, lAntidühring, contro appunto il positivista tedesco KARL EUGEN DÜHRING (1833-1921), fautore di un socialismo personalistico, di un socialismo cioè in cui il capitale e la proprietà privata dovevano armonizzarsi con i diritti della persona umana. Quindi redasse Lorigine della famiglia della proprietà privata e dello stato, in cui erano esposti i lineamenti di una concezione materialistica della storia sulla base delle riflessioni maturate nello studio del saggio La società antica, pubblicato dallamericano Lewis Henry Morgan. Poi scrisse Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca. Ma solo dopo la sua morte fu pubblicata, nel 1925, la sua opera Dialettica della natura, che gli studiosi che vogliono sottolineare la diversità e lautonomia del discorso engelsiano rispetto a quello marxiano giudicano lopera maggiore. Egli rilevò che la storia della natura mostrava una sua interna trasformazione dialettica, che avveniva attraverso tre leggi fondamentali: a) conversione della quantità in qualità, e viceversa; b) compenetrazione reciproca degli opposti; c) negazione della negazione. Certamente il discorso engelsiano sulla dialettica della natura rappresentava per lui un completamento filosofico della teoria di Marx. Forse è anche vero che Engels concepí naturalisticamente la trasformazione storica delluomo e il passaggio alla società comunista. Resta però il fatto che tra Marx ed Engels ci fu - al di là delle differenze di personalità, di interessi, ecc. - una piena identità di vedute, se, ad esempio, a proposito del Manifesto, WILHELM LIEBKNECHT (1826-1900), domandandosi quale parte si deve attribuire a Engels e quale a Marx risponde: Questione oziosa! Esso è di un solo getto. Marx ed Engels sono un solo spirito, inseparabili... in tutta la loro attività. Tra i due infatti vi fu una collaborazione che maturò e si prolungò per quarantanni circa, unammirazione reciproca, un clima di sincera amicizia (che portò Engels ad aiutare anche economicamente Marx in vari momenti critici), e una solidarietà nella comune militanza politica. Essi avevano comuni presupposti culturali, come liniziale entusiasmo per i giovani hegeliani e il distacco dallhegelismo sotto linflusso del pensiero di Feuerbach. Sulla loro unitarietà di vedute dà testimonianza lo stesso Engels quando, nella prefazione allopera di Marx Rivelazioni sul processo dei Comunisti in Colonia, ricordando lesperienza da lui stesso fatta nellambiente operaio di Manchester, dice: ho toccato con mano che i fatti economici ... sono nel mondo attuale una potenza storica decisiva; che essi sono il fondamento degli attuali contrasti di classe nei paesi in cui, grazie alla grande industria, si sono sviluppati completamente, come ad esempio in Inghilterra; sono la base della formazione dei partiti, delle lotte dei partiti, e con ciò di tutta la storia economica. Marx era giunto alle stesse conclusioni... Allorché nellestate del 1844 io lo visitai a Parigi, ci accorgemmo della nostra piú completa concordanza in tutti i punti teorici, e da quel momento data il nostro comune lavoro. (Rivelazioni sul processo dei Comunisti in Colonia) Un comune lavoro che sfociò, da una parte, nella comune redazione del Manifesto, nella collaborazione, in fase di preparazione, a La sacra famiglia, e nella cooperazione alla stesura del Capitale, e, dallaltra, nellapporto marxiano alla composizione dellAntidühring.
Posted on: Tue, 03 Dec 2013 16:05:49 +0000

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