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Separazione: utilizzabili in giudizio le prove prelevate da Facebook Tribunale Santa Maria Capua Vetere, decreto 13.06.2013 (Giuseppina Vassallo) Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere si pronuncia in una delicata materia, quella della riservatezza dei dati pubblicati sui social network di sempre più frequente utilizzo. Il caso riguarda una coppia di coniugi ormai separati i quali avevano entrambi rinunciato alla richiesta di mantenimento nell’ambito della loro separazione consensuale, poiché autonomi economicamente. Dopo qualche tempo la donna perde il lavoro e ricorre al Tribunale per la modifica delle condizioni di separazione chiedendo la corresponsione di un assegno di mantenimento anche in considerazione di una grave patologia che aveva ridotto la sua capacità lavorativa. Il marito si difende asserendo che l’ex moglie intrattiene “notoriamente” una stabile convivenza con un medico, relazione che le consente un tenore di vita anche superiore a quello goduto durante il matrimonio. Come prova a sostegno della sua asserzione produce alcune immagini della donna in compagnia del nuovo compagno convivente, prelevate dal profilo Facebook della ex moglie. Secondo la giurisprudenza, il coniuge separato che intraprende una convivenza di fatto non perde automaticamente il diritto all’assegno di mantenimento. Rileva a tal fine la prova che la convivenza ha determinato un miglioramento delle condizioni economiche dell’avente diritto, miglioramento che deve essersi stabilizzato nel tempo anche se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità. Il miglioramento economico può derivare da un contributo al mantenimento dell’ex coniuge ad opera del convivente o, quantomeno, dal risparmio di spesa derivante dalla condivisione di queste (Cass. Civ. n. 1096/2010 e Cass. Civ. n. 23968/2010). La nuova convivenza, inoltre, rende irrilevante il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante il matrimonio sul quale era stato quantificato l’originario assegno di mantenimento (cfr. Cass. Civ. n. 3923/12 e Cass. Civ. n. 17195/11). La pronuncia dei Giudici campani è interessante per quanto attiene all’ammissibilità delle prove portate dal marito. Il provvedimento specifica che il social network “Facebook” consente agli iscritti di creare una propria pagina nella quale si possono inserire una serie d’informazioni di carattere personale e professionale, e si possono pubblicare, immagini, filmati e altri contenuti multimediali. Anche se l’accesso a questi contenuti è regolato attraverso le impostazioni sulla privacy scelte dall’utente, il Tribunale ha ritenuto che le informazioni e le fotografie pubblicate sul proprio profilo non siano assistite dalla segretezza che caratterizza invece quelle contenute nei messaggi scambiati utilizzando il servizio di messaggistica o di chat. Infatti, solo queste ultime possono essere assimilate a forme di corrispondenza privata, e ricevere la massima tutela sotto il profilo della loro divulgazione, mentre quelle pubblicate sul proprio profilo personale, in quanto già dì per sé destinate ad essere conosciute da terzi, anche se rientranti nella cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non possono ritenersi assistite da tale protezione. In altri termini, nel momento in cui si pubblicano informazioni e foto sulla pagina dedicata al proprio profilo personale, si accetta il rischio che le stesse possano essere portate a conoscenza anche di terze persone non rientranti nell’ambito delle c.d. “amicizie” accettate dall’utente, il che le rende, per il solo fatto della loro pubblicazione, conoscibili da terzi ed utilizzabile anche in sede giudiziaria. L’argomento è di stringente attualità. Dopo l’entrata in vigore della legge sulla Privacy sono stati enucleati i concetti di libertà di autodeterminazione nelle scelte di vita e di riservatezza come non ingerenza di terzi nella sfera personale. Con l’avvento dei social network si è avuto uno svuotamento dell’originario concetto di Privacy perché tali canali, attraverso “l’esposizione pubblica di sé”, consentono di esternare le proprie convinzioni e di diffonderne i contenuti nel circolo primario delle proprie relazioni o pubblicamente sul web. La giurisprudenza di oltreoceano ed europea è molto attenta nell’attribuire valenza probatoria al materiale reperito sui social network a causa della possibilità di manomissione di contenuti e immagini da parte di terzi e comunque sempre effettuando un bilanciamento dei diritti coinvolti. Nei processi di separazione e divorzio, è pur vero che il giudice gode di ampia discrezionalità nella valutazione delle prove, anche quelle puramente indiziarie che possono essere utilizzate unitamente ad altri elementi processuali, ma rimane il dubbio circa l’ammissibilità di questo tipo di prova, che potrebbe essere giudicata illecitamente assunta. La sentenza è dunque destinata a far discutere. (Altalex, 14 agosto 2013. Nota di Giuseppina Vassallo) / separazione / social network / facebook / prove / fotografie / Giuseppina Vassallo / Famiglie in crisi e autonomia privata Ceccherini Grazia - Gremigni Francini Lorenzo € 50.00 Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Ufficio Volontaria Giurisdizione Decreto 13 giugno 2013 Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – 1^ Sezione Civile – Coll. “A”, riunito in Camera di Consiglio, nelle persone dei seguenti Magistrati: Dott.ssa Ida D’Onofrio - Presidente - Dott. Luca Caputo - Giudice rel./est. - Dott.ssa Maddalena Natale - G.O.T. - ha pronunciato il seguente DECRETO nella causa civile iscritta al n. 809 del Ruolo Generale Affari di Volontaria Giurisdizione dell’anno 2012, riservata in decisione all’udienza camerale del 13.06.2013 avente ad oggetto: modifica delle condizioni di separazione e vertente TRA G. C., rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine del ricorso, dagli avv.ti omissis RICORRENTE E TR. S., rappresentato e difeso, in virtù di procura a margine della memoria difensiva, dagli avv.ti omissis RESISTENTE NONCHE’ Il PUBBLICO MINISTERO presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere INTERVENTORE EX LEGE Il Collegio, sciogliendo la riserva espressa all’esito dell’udienza camerale del 13.06.2013; letti gli atti, esaminata la documentazione e sentite le parti personalmente; OSSERVA rilevato che la ricorrente ha chiesto la modifica delle condizioni della separazione consensuale omologata il 31.05.2011, nella quale era previsto che entrambi i coniugi rinunciavano all’assegno di mantenimento deducendo, quale fatto sopravvenuto, che in data 5.07.2011 era stata licenziata e che, inoltre, era affetta da grave patologia, con conseguente difficoltà di svolgere attività lavorativa; in conseguenza di ciò ha chiesto porsi a carico del marito un assegno per il proprio mantenimento di euro 700,00; rilevato che il resistente ha eccepito il peggioramento della propria situazione reddituale ed ha dedotto che la moglie intrattiene una relazione con un medico ortopedico sin dal 2010, relazione che le consente un tenore di vita anche superiore a quello in costanza di matrimonio; considerato che, com’è noto, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 11488/2008), per la revisione delle condizioni della separazione e/o di divorzio, è necessario dimostrare che siano sopravvenuti fatti nuovi, modificativi della situazione in base alla quale la sentenza era stata emessa, o gli accordi erano stati presi; considerato, inoltre, che, secondo l’orientamento costante della Corte di Cassazione in tema di assegno di mantenimento e divorzile, l’instaurazione di una relazione more uxorio stabile da parte del coniuge avente diritto all’assegno incide nel senso di determinare una sospensione del diritto a percepire l’assegno di mantenimento; ciò, tra l’altro, alla luce del fatto che viene meno il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale (cfr. Cass. n. 3923/12, n. 17195/11 e n. 17643/07); ritenuto che, nel caso di specie, le risultanze documentali abbiano dimostrato la sussistenza di una relazione sentimentale duratura e stabile con il dott. B. Ga.; ritenuto che, in particolare, tale circostanza risulti documentata, in primo luogo, dalle fotografie e dalle informazioni tratte dal social network “Facebook”: in queste ultime, infatti, nelle informazioni di base relative al c.d. profilo della ricorrente, sotto la voce “situazione sentimentale” viene indicato espressamente “impegnata con N.B.”. Inoltre, vi sono numerose foto tratte dal c.d. profilo “Facebook” della ricorrente, che la ritraggono con il dott. B., foto pubblicate sul profilo in diversi periodi dell’anno ed in diverse località, anche turistiche. Sul punto, per completezza motivazionale, si osserva che tali documenti devono ritenersi acquisibili ed utilizzabili: è noto, infatti, che il social network “Facebook” si caratterizza, tra l’altro, per il fatto che ciascuno degli iscritti, nel registrarsi, crea una propria pagina nella quale può inserire una serie di informazioni di carattere personale e professionale e può pubblicare, tra l’altro, immagini, filmati ed altri contenuti multimediali; sebbene l’accesso a questi contenuti sia limitato secondo le impostazioni della privacy scelte dal singolo utente, deve ritenersi che le informazioni e le fotografie che vengono pubblicate sul proprio profilo non siano assistite dalla segretezza che, al contrario, accompagna quelle contenute nei messaggi scambiati utilizzando il servizio di messaggistica (o di chat) fornito dal social network; mentre queste ultime, infatti, possono essere assimilate a forme di corrispondenza privata, e come tali devono ricevere la massima tutela sotto il profilo della loro divulgazione, quelle pubblicate sul proprio profilo personale, proprio in quanto già dì per sé destinate ad essere conosciute da soggetti terzi, sebbene rientranti nell’ambito della cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non possono ritenersi assistite da tale protezione, dovendo, al contrario, essere considerate alla stregua di informazioni conoscibili da terzi. In altri termini, nel momento in cui si pubblicano informazioni e foto sulla pagina dedicata al proprio profilo personale, si accetta il rischio che le stesse possano essere portate a conoscenza anche di terze persone non rientranti nell’ambito delle c.d. “amicizie” accettate dall’utente, il che le rende, per il solo fatto della loro pubblicazione, conoscibili da terzi ed utilizzabile anche in sede giudiziaria; considerato, inoltre, che la relazione di convivenza stabile della ricorrente con il dott. B. Ga. presso il medesimo di residenza è stata riscontrata anche dalla Polizia Municipale negli accertamenti ad essa delegati dal Tribunale; considerato che, quanto al dedotto problema di salute della ricorrente, lo stesso era già esistente, per sua stessa ammissione, al momento della separazione; considerato, ancora, che la ricorrente ha riferito che dopo il licenziamento avvenuto nel 2011 ha percepito per un periodo l’indennità di disoccupazione ed ha cercato di reperire un lavoro senza esito; ritenuto che, da un lato, non sia stata fornita prova che la ricorrente, dotata di capacità lavorativa, avendo lavorato per circa tredici anni, si sia effettivamente adoperata per trovare lavoro e, dall’altro lato, che, in ogni caso, l’instaurazione del rapporto di convivenza stabile accertato abbia fatto venire meno, almeno allo stato, il parametro dell’adeguatezza al mantenimento del tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale; ritenuto che, in particolare, l’instaurazione della convivenza stabile costituisca una circostanza tale da escludere il diritto a percepire un assegno di mantenimento; ritenuto che, pertanto, la domanda vada rigettata; ritenuto, quanto alle spese processuali, che le stesse debbano seguire la soccombenza; stante l’entrata in vigore del D.M. n. 140/12, che ha modificato la disciplina delle spese di giustizia prevedendo un compenso complessivo per il professionista in luogo della distinzione tra diritti ed onorari, le spese sono liquidate d’ufficio applicando i valori medi di liquidazione di cui allo scaglione di riferimento (fino ad euro 25.000,00) ridotti di un terzo, attesa la natura semplificata e de-procedimentalizzata della presente procedura; ritenuto che non possa accogliersi la domanda di condanna della ricorrente al risarcimento dei danni per lite temeraria, per mancanza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo alla stessa, anche in considerazione della complessità e novità delle questioni giuridiche sostanziali e processuali affrontate. P.Q.M. -rigetta la domanda; -condanna G. C. al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 1.400,00 per compenso professionale ex D.M. n. 140/12, oltre IVA e CPA come per legge. Si comunichi. Così deciso in S. Maria C. V. nella Camera di Consiglio del 13.06.2013 Il Presidente dott.ssa Ida D’Onofrio Il giudice relatore/estensore dott. Luca Caputo
Posted on: Tue, 27 Aug 2013 16:49:30 +0000

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