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Sommario Pagina precedente Pagina successiva Indice mostre "HO DATO POESIA AGLI UOMINI" CESARE PAVESE 1908 - 1950 Fotografie segnaletiche del Casellario Politico della pratica del confino Nel maggio 1935 Pavese fu arrestato perché coinvolto in attività antifasciste: riceveva infatti al proprio indirizzo lettere politicamente compromettenti indirizzate a una militante del partito comunista clandestino con la quale aveva avviato una relazione amorosa, Battistina Pizzardo. Venne condannato al confino a Brancaleone, un piccolo paese della Calabria, nel sud Italia, da cui non si poteva allontanare. Doveva recarsi alla stazione di polizia quotidianamente, poteva ricevere posta ma non visite. Durante il confino iniziò a registrare le sue inquietudini in un diario, pubblicato postumo con il titolo Il mestiere di vivere. Resterà a Brancaleone per circa un anno, fino al marzo 1936. Al ritorno dal confino trovò che la donna amata si era sposata: questa delusione sentimentale segnerà la sua esistenza e gli farà sfiorare il suicidio. La spiaggia di Brancaleone Calabro Lo steddazzu L’uomo solo si leva che il mare è ancor buio e le stelle vacillano. Un tepore di fiato sale su dalla riva, dov’è il letto del mare, e addolcisce il respiro. Quest’è l’ora in cui nulla può accadere. Perfino la pipa tra i denti pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquìo. L’uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare tra non molto sarà come il fuoco, avvampante. Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara che l’inutilità. Pende stanca nel cielo una stella verdognola, sorpresa dall’alba. Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco a cui l’uomo, per fare qualcosa, si scalda; vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne dov’è un letto di neve. La lentezza dell’ora è spietata, per chi non aspetta più nulla. Val la pena che il sole si levi dal mare e la lunga giornata cominci? Domani tornerà l’alba tiepida con la diafana luce e sarà come ieri e mai nulla accadrà. L’uomo solo vorrebbe soltanto dormire. Quando l’ultima stella si spegne nel cielo, l’uomo adagio prepara la pipa e l’accende. 9 –12 gennaio 1936 Pavese a Brancaleone Calabro Qui, sono l’unico confinato. Che qui siano sporchi è una leggenda. Sono cotti dal sole. Le donne si pettinano in strada, ma viceversa tutti fanno il bagno. Ci sono molti maiali, e le anfore si portano in bilico sulla testa. Imparerò anch’io e un giorno mi guadagnerò la vita nei varietà di Torino. La grappa non sanno cosa sia. Se me ne mandate qualche ventina di bottiglie, io penserei a berle. (DICO SUL SERIO). Ho ricevuto i denari e temo forte che, se il Ministero non cambia opinione sui miei mezzi, due volte al mese ve ne chiederò altrettanti. Aspetto sempre la cassa coi libri. Lettera alla sorella Maria da Brancaleone, 9 agosto (1935) La mia stanza ha davanti un cortiletto, poi la ferrovia, poi il mare. Cinque o sei volte al giorno (e la notte) mi si rinnova così la nostalgia dietro i treni che passano. Indifferente mi lasciano invece i piroscafi all’orizzonte e la luna sul mare, che con tutti i suoi chiarori mi fa pensare solo al pesce fritto. Inutile, il mare è una gran vaccata. Lettera alla sorella Maria da Brancaleone, 19 Agosto (1935) Brancaleone Calabro La casa abitata da Pavese durante il periodo del Confino Politico Stefano sapeva che quel paese non aveva niente di strano, e che la gente ci viveva, a giorno a giorno, e la terra buttava e il mare era il mare, come su qualunque spiaggia. Stefano era felice del mare: venendoci, lo immaginava come la quarta parete della sua prigione, una vasta parete di colori e di frescura, dentro la quale avrebbe potuto inoltrarsi e scordare la cella. I primi giorni persino si riempì il fazzoletto di ciottoli e di conchiglie. Gli era parsa una grande umanità del maresciallo, che sfogliava le sue carte, rispondergli: - Certamente. Purchè sappiate nuotare. Per qualche giorno Stefano studiò le siepi di fichidindia e lo scolorito orizzonte marino come strane realtà di cui, che fossero invisibili parete d’una cella, era il lato più naturale. Stefano accettò fin dall’inizio senza sforzo questa chiusura d’orizzonte che è il confino: per lui che usciva dal carcere era la libertà. Inoltre sapeva che dappertutto è paese, e le occhiate incuriosite e caute delle persone lo rassicuravano sulla loro simpatia. Incipit del romanzo Il carcere
Posted on: Sun, 30 Jun 2013 11:07:36 +0000

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