Una storia di coraggio "Ogni volta che si addormenta rischia di - TopicsExpress



          

Una storia di coraggio "Ogni volta che si addormenta rischia di morire. Siamo i rianimatori di nostro figlio" In tutta Italia i casi censiti di sindrome di Ondine sono appena una cinquantina. Antonio Pio Franzese, bambino termolese che spegnerà la sua prima candelina il 1° agosto, è l’unico caso acclarato in Molise. La ipoventilazione centrale congenita gli è stata diagnosticata alcune settimane dopo la nascita. Daniela ed Armando, i suoi genitori, raccontano la corsa contro il tempo per salvargli la vita. Poi la diagnosi, arrivata a fine novembre. «Mio figlio - racconta Daniela - quando si addormenta è come se dimenticasse di respirare. Alla Tin (terapia intensiva neonatale) di Campobasso era arrivato in codice rosso. Si stava spegnendo lentamente. E’ stato ripreso appena in tempo. Una volta a Roma, ricoverato prima al Gemelli, poi al Bambin Gesù, gli è stata diagnosticata la sindrome di Ondine. A me e mio marito hanno insegnato ad essere i medici di nostro figlio. Abbiamo imparato a usare i ventilatori che gli insufflano l’aria. Siamo i suoi rianimatori. Cerchiamo di far vivere a nostro figlio una vita normale, perché non cresca vittima della sua malattia». di Rossella Travaglini Termoli. Antonio Pio gioca sereno. Ogni tanto si ferma e guarda chi gli sta intorno, con quella curiosità che ben si confa a un bimbo della sua età. Sorride, mentre prova a pronunciare qualche parola, quasi volesse anche lui partecipare alla conversazione. E’ un bambino pieno di vita. «A vederlo così non diresti mai che quando si addormenta rischia di morire. Quando è sveglio è un bambino come tutti gli altri, non gli manca nulla. Il problema arriva invece quando chiude gli occhi per addormentarsi. Il suo cervello si dimentica di respirare e c’è bisogno che qualcuno sia pronto ogni volta a sistemargli la mascherina sul viso e a vegliarlo», spiega Daniela, sua madre. Antonio va in apnea ogni qualvolta i suoi occhi si chiudono. E se non fosse per quel ventilatore che gli insuffla l’aria potrebbe morire. In Molise Antonio Pio è l’unico caso acclarato di ipoventilazione centrale congenita, meglio conosciuta come sindrome di Ondine. In tutto il mondo i pazienti a cui è stata diagnosticata questa malattia rara sono circa 300. In Italia solo una cinquantina. «Quando progetti il tuo futuro non pensi mai che possa capitare una cosa così proprio a te - aggiunge Daniela - ma può capitare. Può capitare a chiunque. Per quel che riguarda la mia famiglia, noi abbiamo cercato di farci forza fin dal primo istante, cercando di far vivere ad Antonio Pio una vita il più possibile normale. Voglio che mio figlio non cresca vittima della sua malattia». Daniela racconta in una intervista la sua "seconda" vita. Le difficoltà iniziali e quelle da affrontare nella quotidianità, «con la fortuna di avere un marito e dei familiari che sono stati e sono sempre presenti, pronti a darci una mano». Intanto a livello regionale sta nascendo un’associazione il cui intento è quello di raccogliere tutti i malati affetti da malattie rare, perché, come ha precisato Daniela, «al di là della malattia, esistono esigenze comuni. Spesso, una volta diagnosticata una malattia rara, specialmente quando si abita in un centro piccolo come può essere Termoli, il rischio è quello di essere lasciati soli. Ma noi, i nostri figli, abbiamo tutti il diritto di condurre una vita dignitosa. E’ per questo che vogliamo metterci insieme, per portare avanti e ottenere obiettivi comuni». Il Molise, una regione di poco più di 300mila anime, annovera circa 300 pazienti affetti da patologie rare. Daniela e Armando hanno imparato a convivere con la malattia del loro bimbo. Nonostante le mille difficoltà nel quotidiano fanno l’impossibile perché Antonio Pio abbia una vita normale. «I figli sono una benedizione e in questa situazione la fede ci ha aiutati molto. Abbiamo accettato le cose, prendendo il tutto come un fatto vivo nelle nostre vite». Dai primi sintomi alla diagnosi, fino ad oggi: Daniela racconta nell’intervista rilasciata a Primonumero il primo anno di vita di suo figlio: «E lancio qui il mio appello, perché se ci sono genitori che vogliono unirsi a questa associazione possono contattarmi (l’indirizzo mail è: [email protected])». Quand’è che vi siete resi conto che qualcosa non andava? «Antonio Pio è nato il 1° agosto. Mi hanno dimessa dall’ospedale dopo due giorni e fin da subito, quando lui dormiva nel carrozzino, mi sono resa conto che c’era qualcosa che non andava. Quando si addormentava diventava cianotico... è come se mio figlio fosse su off. Poi mangiava e non prendeva peso. I suoi primi 43 giorni di vita è riuscito tuttavia a farcela con le sue forze. In realtà si stava spegnendo lentamente... A Campobasso, nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale, è arrivato in codice rosso. Lì abbiamo avuto la fortuna di incontrare la dottoressa Di Nunzio e tutto il suo staff che si sono presi cura di Antonio Pio e gli hanno salvato la vita... anzi colgo l’occasione per ringraziare tutti loro». Come vi siete comportati successivamente? «Siamo andati a Roma, prima nel reparto di Terapia intensiva pediatrica del Gemelli e, successivamente, al Bambin Gesù. In Molise, purtroppo, non esiste la Tip... dovremmo batterci perché venga creato anche qui un reparto in grado di accogliere i bambini con più di un mese di vita. E’ importante. Ad ogni modo al Bambin Gesù abbiamo incontrato un altro medico straordinario, il dottor Paglietti. Mio figlio è rimasto in ospedale per circa 4 mesi. La diagnosi l’abbiamo avuta a fine novembre». E i giorni immediati alla diagnosi... come sono andati? «In ospedale ci hanno insegnato ad essere i dottori di nostro figlio... mio marito, mia madre, io... Abbiamo imparato a usare i ventilatori che gli insufflano l’aria. E’ come se fossimo i suoi rianimatori. La sua è una malattia rara e lui, attualmente, è l’unico bimbo censito in Molise, anche se so di un altro bimbo con la sua stessa patologia e vorrei tanto riuscire a rintracciare i suoi genitori. E’ importante, anche perché parlare con chi vive la tua stessa quotidianità ti aiuta a farti sentire anche meno sola». Anche voi siete entrati in contatto con le famiglie di altri bambini o ragazzi affetti da sindrome di Ondine? «Sì, tramite l’associazione Aisicc (Associazione italiana sindrome ipoventilazione centrale congenita, ndr) abbiamo avuto modo di metterci in contatto con altri genitori. E’ stato importantissimo, anzi. Sono stati loro a darmi tanti consigli utili, a partire dalla mascherina che era meglio utilizzare per evitare che si potesse deformare il viso di Antonio a tante altre cose... tramite queste famiglie ho conosciuto anche ragazzi 30enni che vivono la loro vita in modo apparentemente normale. Studiano, lavorano, si sono laureati. Sono persone apparentemente come tutte. Solo un po’ "speciali" perché hanno bisogno di un aiuto per respirare. Ma hanno imparato a convivere con la loro malattia. Certo è, della sindrome di Ondine esistono diversi stadi... mio figlio ce l’ha in una forma più leggera e per respirare è sufficiente il ventilatore esterno. C’è, però, anche chi si è dovuto impiantare dei ventilatori tramite tracheotomia o dei pacemaker interni». Come è cambiata la tua vita e quella di tuo marito? «Tantissimo. La notte, sia io che Armando, vegliamo nostro figlio. Questo significa che è da un anno che non dormiamo. Ma lui è piccolo e può succedere che la mascherina gli scivoli via... prima dicevo che siamo fortunati. Siamo fortunati perché abbiamo il sostegno delle nostre famiglie. Non tutti hanno questa fortuna. Se avessimo un supporto notturno sarebbe diverso... Io non sono più potuta rientrare a lavoro, anche perché mio figlio non può stare da solo. Se si addormenta, anche durante il giorno, è necessario che qualcuno gli metta la mascherina. Deve essere monitorato sempre. Anche quando sono in auto, c’è bisogno sempre di un’altra persona. Quando esco dietro porto sempre il ventilatore, il saturimetro. L’altro giorno al mare, ad esempio, mio figlio si è addormentato e gli ho dovuto mettere la mascherina. Molti genitori si sono meravigliati e mi hanno chiesto il perché. Per esempio, per spostarci, anche solo per poche ore, in un’altra città, dovremmo allertare il presidio ospedaliero e verificare se conoscono la sindrome di Ondine, qualora mio figlio avesse qualsiasi tipo di problema». Grazie ad Antonio Pio, però, adesso anche qui sul territorio sanno che esiste questa sindrome e nel caso in cui capitasse saprebbero come intervenire... «E’ così. Le possibilità che nasca un bimbo affetto da questo disturbo del sonno è di una su 200mila. Ma il punto è che può capitare. Ecco perché bisogna parlarne. Vogliamo costituire un’associazione che ci riunisca, anche qui in regione. Vorremmo arrivare a tutti, perché tutti hanno diritto a un’assistenza adeguata. Dobbiamo unirci per farci forza e dobbiamo farlo per i nostri figli. Vorrei che un giorno anche Antonio Pio possa avere memoria di ciò e continuare a farlo per altri». Un appello... «Per ora non esistono cure risolutive per la sindrome di Ondine. Ma la ricerca va avanti ed è importante sostenerla». *** Sabato 27 luglio, a Campomarino, nella sala consiliare a partire dalle 17 ci sarà un incontro - il terzo organizzato nel corso degli ultimi mesi - per affrontare con esperti e genitori "coraggio", testimoni delle malattie dei propri figli, il tema relativo alle malattie rare. Interverranno, oltre alle associazioni, la dottoressa Paola Picone, Rosa D’Addario; il dottor Pasquale Spagnuolo; il dottor Ferdinando Squitieri; il dottor Ernesto La Vecchia; l’avvocato Salvatore Di Pardo. Seguirà la notte bianca della solidarietà.
Posted on: Wed, 31 Jul 2013 06:23:23 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015